Cooperazione significa pace, soprattutto in un mondo che va indietro
Molteplici fattori stanno conducendo il mondo a fare passi indietro in termini di stabilità, pace, progresso. A maggior ragione, sottolinea Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, è il momento di investire sulla cooperazione e di capire gli errori fatti
Cooperazione significa innanzitutto pace, ne è allo stesso tempo sinonimo e condizione necessaria. Se c’è cooperazione tra Paesi e popoli, lo spazio della guerra diminuisce, si azzera. Viceversa, gli attriti aumentano. Pace e Persone, quindi, e poi Prosperità, Pianeta e Partnership, i cinque pilastri distinti ma indissolubilmente legati che sono alla base dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu e che hanno costituito il filo rosso lungo il quale si sono dipanati i due giorni di dibattito e confronto della seconda edizione di Coopera, la Conferenza nazionale della Cooperazione allo sviluppo. E sul parallelismo tra Pace e Cooperazione, nel corso dell’incontro romano, ha insistito Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio.
Presidente Impagliazzo, la Comunità di Sant’Egidio ha svolto un ruolo da protagonista in diversi scenari di crisi, lavorando costantemente per la pace. Come appare dal vostro osservatorio privilegiato un mondo, in particolare l’Africa, ferito dagli effetti non solo sanitari della pandemia?
“I problemi sono molti, derivano da una globalizzazione che ha alcuni aspetti positivi ma molti negativi. Ci troviamo ora in mezzo a una tempesta provocata da vari fattori, il primo dei quali è stato il Covid. Ma non è colpa solo della pandemia. C’è una guerra in Europa, c’è una crisi economica, stiamo tutti vedendo l’aumento dei prezzi, siamo di fronte a Paesi deboli insidiati da colpi di Stato e, in alcune aree, dalla violenza del jihadismo. Guardando all’Africa, si è formata una grammatica della rivolta che sta travolgendo alcuni popoli del Sahel e della fascia orientale del continente. Per questi motivi, oggi la cooperazione non può che essere rafforzata. Noi possiamo intervenire per contrastare tutti questi fenomeni di crisi o almeno alcuni di essi e ridare alle popolazioni dei Paesi africani delle nuove possibilità che né i governi (alcuni purtroppo presi da fenomeni di corruzione molto evidenti) né la violenza jihadista garantiscono”.
C’è un paese in cui la Comunità di Sant’Egidio è stata storicamente presente che è il Mozambico. Negli ultimi anni nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, gruppi armati jihadisti hanno riportato la guerra…
“La pace è stata firmata 30 anni fa a Roma e questo ha legato il Mozambico alla Comunità di Sant’Egidio e soprattutto all’Italia in maniera indissolubile. Oggi il problema è molto diverso da quello di 30 anni fa. Prima si trattava di un governo marxista che combatteva contro una guerriglia. Oggi si tratta di gruppi jihadisti che hanno invaso la provincia di Cabo Delgado. Quindi è più difficile una mediazione a livello della comunità internazionale. Come è più difficile stare accanto alla popolazione, portare aiuti in zone in cui non c’è da mangiare. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, non lasciare da sole queste popolazioni”.
Sembra ci sia un’Africa che si sta allontanando dall’Occidente, che non capisce l’Occidente, e che sta aprendo le porte alla Russia, come avvenuto in Mali o in Centrafrica.
“Purtroppo qualcosa non ha funzionato nelle nostre politiche europee o di alcuni paesi europei verso l’Africa. L’Africa è stata in parte dimenticata o è stata usata per scopi economici particolari. Non so se questo abbia aperto le porte alla Russia, certamente dobbiamo fare autocritica su come abbiamo lavorato negli ultimi anni nel partenariato tra Paesi europei e Africa. Ma c’è sempre tempo, c’è sempre spazio e immagino e spero che i risultati della conferenza Coopera 2022 possano contribuire ad aprire nuove piste, nuove visioni per la cooperazione tra Italia e Africa”.
La Russia ha invaso l’Ucraina e a qualcuno potrebbe sembrare fuori luogo parlare di cooperazione con l’Africa o altre regioni del mondo nel momento in cui abbiamo problemi alle nostre porte, vicino casa nostra.
“Io dico che cooperazione significa innanzitutto pace. E proprio a fronte di questa grande guerra che scatenerà purtroppo tanti altri conflitti e problematiche molto serie, è il momento oggi di investire sulla cooperazione, stare accanto ad alcuni popoli che soffrono di questa guerra, per la mancanza di grano, per l’aumento dei prezzi dei carburanti… già se ne vedono le tragiche conseguenze. Quindi più cooperazione, più pace e più sviluppo. Questa è l’unica strada che l’Europa può imboccare”.
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.