Etiopia, la pace si fa Nobel. E investe sul futuro
Il Premio Nobel per la pace assegnato ad Abiy Ahmed, primo ministro dell’Etiopia, non è solo il riconoscimento per l’impegno nello storico accordo di pace con l’Eritrea. E’ una scommessa sul cambiamento sulla quale l’Italia punta con forza attraverso la diplomazia del fare
La pace si fa Nobel. E investe sull’Africa. L’Africa che punta su un futuro di cooperazione e di crescita, di lotta alle disuguaglianze e sulla giustizia sociale. E’ l’Africa che guarda al futuro. L’Africa di Abiy Ahmed, primo ministro dell’Etiopia, insignito del Nobel per la pace 2019. Un Nobel politico, nel senso più alto e positivo del termine. “Il riconoscimento è per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea” è scritto nella motivazione. “E’ un riconoscimento e anche una spinta. In Etiopia, anche se rimane molto lavoro, Abiy Ahmed ha avviato importanti riforme che danno a molti cittadini la speranza per una vita migliore ed un futuro più luminoso. Come Primo Ministro, Abiy Ahmed ha cercato di promuovere la riconciliazione, la solidarietà e la giustizia sociale”. Ahmed, 43 anni, è premier dal 2 aprile 2018. In precedenza, era stato ministro della Scienza e della Tecnologia e capo della cyber security del Paese. Il Financial Times lo ha definito “un incrocio tra Che Guevara ed Emmanuel Macron”. Collaborando strettamente con il Presidente dell’Eritrea, Isaias Afwerki, Abiy Ahmed ha lavorato a un accordo di pace tra i due Paesi diverso dalla strategia “no peace, no war” da tempo vigente. L’accordo di pace formalizzato a luglio 2018 ha posto fine a 20 anni di stallo militare ai confini tra Etiopia ed Eritrea, risultato di un conflitto alla frontiera dal 1998 al 2000.
In Etiopia, Abiy Ahmed ha avviato importanti riforme che fanno sperare a molti cittadini un futuro migliore. Nei primi 100 giorni da Primo Ministro ha garantito l’amnistia di migliaia di prigionieri politici, interrotto la censura mediatica, legalizzato gruppi di opposizione che erano stati dichiarati fuori legge, licenziato leader militari e politici sospettati di corruzione e migliorato in modo significativo l’influenza delle donne nella vita politica e sociale. Ha inoltre promesso di rafforzare la tenuta democratica del Paese, organizzando libere ed oneste elezioni. Il Primo Ministro etiope ha condotto un’opera di mediazione nel conflitto che da tempo si protrae tra Kenya e Somalia per un’area marina contesa e contribuito al miglioramento delle relazioni diplomatiche tra Eritrea e Djibouti. In Sudan, il regime militare e l’opposizione sono ritornati ad un tavolo negoziale e Abiy Ahmed ha avuto un ruolo chiave nelle trattative. Ma resta ancora molto da fare. Il riacutizzarsi in Etiopia delle rivalità etniche e la nuova chiusura di alcuni posti di frontiera aperti con l’Eritrea per decisione di quest’ultima – fino a che la bozza di accordo di pace non sarà legalizzata a tutti gli effetti – minacciano di vanificare parte del lavoro fatto. Intanto, ci sarebbero fino a 3 milioni di cittadini etiopi in fuga dai loro paesi ed altri milioni di rifugiati ammassati ai confini negli stati vicini. Occorre proseguire con tenacia: la completa pacificazione del secondo Stato più popoloso d’Africa avrebbe effetti positivi in tutta la parte orientale del continente. “Abiy Ahmed è la migliore possibilità per l’Etiopia di rompere il ciclo di tirannie che ha rovinato la sua storia moderna – rimarca Gwynne Dyer, giornalista e scrittrice, su Internazionale – è il secondo Paese dell’Africa (102 milioni di persone) e una delle economie in più rapida crescita del mondo, ma la sua politica è stata maledetta.
Nel secolo scorso è passato da una monarchia medievale alla dominazione fascista (è stata conquistata dall’Italia di Mussolini negli anni trenta), per poi tornare a una tirannia solo leggermente meno medievale per altri trent’anni, fino a un colpo di stato guidato dai marxisti nel 1974. La giunta Derg ha assassinato l’imperatore e mezzo milione di altri etiopi – per lo più quelli più istruiti – durante il Terrore rosso, che quasi raggiunge il livello dei campi di sterminio dei Khmer rossi. Poi, dopo quasi due decenni, l’Unione Sovietica è crollata, gli aiuti stranieri ai paesi comunisti si sono fermati e la giunta è stata rovesciata a sua volta nel 1991. Questa volta il vincitore era una coalizione di gruppi ribelli – militarizzata e resa brutale da una lunga guerra di guerriglia contro la Derg – che rapidamente ha preso i posti del potere e ci è rimasta comodamente fino all’anno scorso, quando la difficile matassa è stata messa nelle mani di Abiy Ahmed. Dal 2015 circa tre milioni di etiopi sono diventati profughi interni, principalmente a causa di lotte per la terra. Lo hanno fatto – ricorda Gwynne Dyer – perché il caos stava sfuggendo di mano. L’Etiopia è un paese molto complicato: ci sono quattro grandi gruppi etnici, che si sono combattuti l’un l’altro nel corso della lunga storia del paese, e una miriade di piccoli gruppi etnici. Il paese è anche diviso tra una maggioranza cristiana e un’importante minoranza musulmana. A peggiorare le cose c’è il fatto che uno dei più grandi gruppi etnici, quello dei tigrini, dominava i servizi militari e di intelligence – e quindi il regime nel suo insieme – senza lasciare alcun brandello di democrazia in nessuna parte del sistema. C’erano delle elezioni pro forma, ma alle ultime, nel 2015, nessun candidato dell’opposizione ha vinto un seggio in parlamento. Più i tigrini dominavano il centro del paese, più il governo federale diventava impopolare, mentre nel frattempo l’incessante crescita demografica del paese intensificava le dispute sulla terra tra gruppi etnici rivali. Dal 2015 circa tre milioni di etiopi sono diventati profughi interni, principalmente a causa di lotte per la terra. Così nell’aprile 2018, in preda alla disperazione, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope, al potere, ha consegnato la guida del governo ad Abiy Ahmed. Abiy è certamente un ‘figlio del partito’, al quale si è unito a 15 anni, ma è un riformatore che può andare bene a tutti. Suo padre era musulmano, sua madre era cristiana. Essendo un oromo, appartiene ai più bassi gradini dell’ordine gerarchico etnico etiopico (nessun oromo ha mai ricoperto un incarico così elevato). Parla fluentemente afaan oromo, amarico, tigrino e inglese. Ed è un uomo molto moderno. Sapeva che doveva muoversi velocemente, così ha immediatamente messo fine allo stato di emergenza e ha cambiato quasi tutti gli ufficiali militari di alto livello.
Ha nominato un governo composto per metà da donne, più una donna come presidente e una a capo della Corte suprema”. Terra di profonde disuguaglianze e secondo paese più popolato dell’Africa dopo la Nigeria, in Etiopia il 33% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà; il 40% ha meno di 14 anni; l’aspettativa di vita si ferma a 64 anni. L’incremento demografico, l’indigenza e l’inefficienza del sistema sanitario sono i principali problemi che il paese deve fronteggiare. Questi generano gravi disagi sociali che coinvolgono soprattutto mamme, bambini e adolescenti e che portano ad un’elevata mortalità: ogni 100.000 parti, 412 mamme non sopravvivono; 48 neonati su 1.000 non superano il primo anno di vita, di questi 29 muoiono nel primo mese. Abiy Ahmed, che sta modernizzando l’Etiopia non senza tensioni anche etniche che rendono più fragile il governo, ha avviato un piano di privatizzazioni e liberalizzazioni che coincide con l’entrata in vigore dell’Area di libero scambio continentale africana. Nel sostenere gli sforzi del premier etiope, l’Italia è in prima fila. “Sul piano politico, va sottolineato che capovolgendo radicalmente la storica posizione di Addis Abeba, il Premier etiope si è fatto promotore della revoca delle sanzioni verso l’Eritrea, che verrà valutata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nei prossimi mesi – scriveva la Vice Ministra degli Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale, Emanuela Del Re, sul Corriere della Sera in una lettera al direttore -ma è l’intero Corno d’Africa a trarre beneficio: si apre una fase di rinnovato dialogo tra Etiopia, Eritrea e Somalia. Storica la visita ad Asmara di Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo, primo Capo di Stato somalo a recarsi in Eritrea dalla sua indipendenza nel 1991. Anche le dinamiche tra Eritrea e Gibuti potrebbero migliorare. Nuovo impulso deriverà dall’accordo nei rapporti commerciali, delle comunicazioni e dei trasporti come previsto dalle intese tra i due paesi, consapevoli che tali rapporti sono fondamentali perché i dividendi della pace possano diffondersi a tutte le popolazioni del Corno, sfruttando l’effetto traino dell’economia dell’Etiopia che nel 2017 è stato il paese a più alta crescita del mondo. Sono ripresi i voli commerciali tra i due Paesi, sono state riaperte frontiere e ambasciate, navi etiopi hanno iniziato ad usare il porto eritreo di Massaua.
I Paesi rivieraschi del Mar Rosso, la Turchia, la Cina, la Russia, gli Usa e alcuni attori europei, talvolta in ordine sparso, hanno intensificato le loro attività nell’area. L’Ue potrebbe avere grande influenza. L’Italia – ricorda la Vice Ministra – intrattiene rapporti di amicizia storici con Etiopia ed Eritrea. Una continuità storica confermata ad esempio dalle due grandi scuole italiane statali ad Addis Abeba e ad Asmara in cui crescono i figli dei due paesi. Nel Corno l’Italia già esercita un ruolo di primo piano (spesso fuori dai riflettori mediatici) nella sicurezza marittima, in Somalia, nella partnership a tutto campo con l’Etiopia, con una base militare logistica a Gibuti. Molte le imprese commerciali italiane in Etiopia, e forte è il potenziale incremento, per il nuovo assetto che potrebbe portare più investimenti esteri nella regione e una loro progressiva integrazione economica con la Free Trade Area. Potremmo investire di più in tanti settori, dall’agro-industria alla pesca, al turismo, alle energie alternative e altro. Importantissime sono le iniziative di cooperazione allo sviluppo: nel biennio 2017-2018 l’Italia ha donato oltre 81 milioni di euro per interventi di sviluppo e umanitari in Etiopia, Somalia ed Eritrea ed ha erogato crediti di aiuto all’Etiopia pari a 47 milioni di euro. Gli stanziamenti potrebbero aumentare, anche in funzione della stabilizzazione della regione. Etiopia ed Eritrea manifestano il desiderio di maggiore presenza italiana, per le specificità e la qualità del modello italiano in tutti i campi. Il premier etiope Abiy Ahmed ed il presidente Isaias Afwerki hanno saputo cogliere il nuovo senso della storia, superando perfino la questione dei confini territoriali, per lasciar spazio ad un’Africa globalizzata, che per noi costituisce un partner strategico prioritario perché è un continente di risorse, nonostante le sfide. Celebrare la pace tra Etiopia ed Eritrea, sostenerla, annunciarla con gioia, non è solo un dovere, ma costituisce un impegno a lungo termine, per la costruzione di uno sviluppo condiviso sostenibile nel lungo periodo, con sicuro beneficio per tutti”. L’articolo è del 30 settembre 2018. Un anno dopo, l’Italia mantiene i suoi impegni. A confermarlo è la stessa Vice Ministra Del Re he ha guidato una missione imprenditoriale in Etiopia dal 19 al 20 giugno, organizzata in collaborazione con Confindustria, ICE (Istituto per il Commercio Estero), Abi (Associazione Bancaria Italiana) e il Ministero dello Sviluppo Economico.
L’iniziativa ha avuto carattere plurisettoriale con un focus sui vari comparti: agricoltura, meccanica agricola e tecnologie per la trasformazione alimentare; infrastrutture e trasporti; industria tessile e della concia. Presenti 34 imprese e 2 banche dall’Italia, cui si sommano gli imprenditori in loco, italiani e etiopi, per un totale di circa 200 aziende rappresentate. ”Quella con l’Etiopia è una partnership in continua crescita”, ha detto aprendo il Forum la Vice Ministra. ”La presenza dei rappresentanti delle tante aziende italiane che arrivano in questa occasione ad Addis Abeba, insieme a quelle già presenti in Etiopia, testimonia – ha insistito – l’interesse del settore privato italiano per le opportunità offerte dalle importanti riforme economiche intraprese dal governo etiope e dall’entrata in vigore della zona di libero scambio continentale africana”. Il Forum, ha proseguito Del Re conferma l’interesse dell’Italia per l’Etiopia ”grazie alla sua stabilità economica e all’elevata crescita e al percorso delle recenti riforme”. Per questo, ha proseguito la numero due della Farnesina, ”l’industria italiana è pronta a dare un contributo significativo alla modernizzazione e al rafforzamento del settore privato etiope”. Un investimento sull’Africa che cambia. In Etiopia, e non solo.