Il diritto umanitario riparte da Dublino
Aperta alla firma in Irlanda la Dichiarazione politica per tutelare i civili dalle conseguenze dell’uso di armi esplosive in aree popolate
Piani di palazzi residenziali spazzati via. Sistemi fognari o centrali elettriche bombardate. Come scuole o parchi giochi, nel mirino oggi in Ucraina come già nello Yemen, in Siria o in Libia. Con nove vittime su dieci che non sono militari ma civili, uccisi, mutilati, comunque segnati per sempre. Sono i numeri della guerra contemporanea, quella che non risparmia le città, anzi le assedia e le sventra, senza riguardo né per le vite né per il diritto umanitario.
L’emergenza è al centro della Dichiarazione politica per tutelare i civili dalle conseguenze dell’uso di armi esplosive in aree popolate, aperta alla firma degli Stati da venerdì 18 novembre. “Contiamo sulle adesioni di Germania, Giappone, Stati Uniti, Svizzera e Austria e anche l’Italia ha dato parere favorevole in occasione della presentazione del testo definitivo il 17 giugno scorso” riferisce a Oltremare Sara Gorelli, responsabile dell’Associazione nazionale vittime civili di guerra (Anvcg), parte della rete International Network on Explosive Weapons (Inew). La Dichiarazione è frutto di oltre dieci anni di negoziati, con le organizzazioni della società civile a far pressione e a pungolare i governi. L’ultimo ciclo di trattative si è tenuto al Palais des Nations, a Ginevra, ed è stato parte di un processo partito con la Conferenza di Vienna del 2019. “L’azione di advocacy di Inew è supportata da più di 45 organizzazioni umanitarie in tutto il mondo impegnate nella protezione dei civili nei conflitti armati” sottolinea Gorelli, presente ai negoziati in Svizzera. “In Italia, con il coordinamento di Anvcg, hanno aderito Campagna italiana contro le mine e Rete italiana pace e disarmo”.
Nel merito va sottolineato che la Dichiarazione non è un accordo vincolante ma un impegno politico. L’obiettivo è sensibilizzare e lanciare un allarme, nella convinzione che gli strumenti a disposizione non sono piu’ sufficienti. Perché, come spiega Laura Boillot, campaign manager di Inew, “l’utilizzo di armi esplosive non è vietato dal diritto umanitario internazionale, che è stato pensato in un’altra epoca, quando le guerre si combattevano sul campo di battaglia e non nelle città”. Secondo stime rilanciate dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, negli ultimi dieci anni le vittime di guerre nel mondo sono state più di 230mila, delle quali nove su dieci civili e non militari. Le conseguenze sulle popolazioni possono peraltro essere letali nell’immediato ma gravi anche nel medio periodo. È il caso ad esempio di danni a infrastrutture civili, come i sistemi fognari, o magari della disseminazione di ordigni in aree abitate o agricole, con campi che diventano minati e rischi quotidiani di incidenti nelle città. Al riguardo la Dichiarazione prevede sia il principio della necessità di risarcire il danno sia il riconoscimento dei cosiddetti “effetti riverberanti” delle conseguenze che si propagano nel tempo e nello spazio.
Punti, questo, che informano anche la posizione del parlamento italiano. Il 6 aprile, in particolare, la Commissione Affari esteri della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione nella quale si riconosce il valore della Dichiarazione come strumento di protezione dei civili. Secondo Gorelli, “le iniziative parlamentari hanno impegnato il governo di Mario Draghi non piu’ in carica ma ora niente fa supporre che il nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni possa non firmare”.
Nell’arena internazionale, però, il tentativo di tutelare i civili si scontra con resistenze politiche e geopolitiche. “Durante i negoziati”, sottolinea ad esempio Boillot, “Russia e Cina hanno manifestato scetticismo e non ci aspettiamo che firmino nella capitale irlandese”. Ma attenzione: veti, assenze o distinguo non sono una novità al tempo della guerra in Ucraina ma hanno segnato sin dagli anni Novanta l’impegno in favore del “disarmo umanitario”. E’ accaduto con il Trattato per la messa al bando delle mine antipersona, che poi è stato però ratificato in tempi record. E con il piu’ recente Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, che ne vieta sia il possesso che il trasferimento e lo stazionamento. Tra i circa 90 Paesi che si sono impegnati a rispettare l’accordo manca anche l’Italia, uno dei Paesi membri della Nato che ospitano testate atomiche nel cuore dell’Europa.
Dublino conferma che però qualcosa si muove. Secondo Gorelli, la firma della Dichiarazione è una conferma della “grande attenzione da parte dell’Italia per l’impatto dei conflitti” e allo stesso tempo della “centralità del cosiddetto triplo nesso, tra impegno umanitario, cooperazione e pace”.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
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