Il turismo responsabile non è andato in quarantena
Il presidente dell’Aitr, Maurizio Davolio racconta come sia possibile trasformare una situazione di crisi in occasione per rilanciare uno dei settori trainanti del sistema-Italia.
In molti sostengono che la crisi pandemica che sta segnando il pianeta può essere vissuta in due modi opposti: come una tragedia, non solo sanitaria, dalla quale è difficile, se non impossibile, risollevarsi a breve-medio termine, oppure come l’occasione per ripensare l’intera sfera del vivere sociale, economico, umano. Il turismo responsabile ha scelto la seconda via. E, sia pure tra mille difficoltà, scommette sul futuro. Come?Oltremare ne parla con Maurizio Davolio, presidente di Associazione Italiana Turismo Responsabile (Aitr), componente del Consiglio Nazionale per la Cooperazione.
Parlare di turismo nell’era, speriamo breve, del coronavirus, sembra essere un azzardo, una fuga dalla realtà. In che termini il turismo responsabile e le sue associazioni hanno cercato di far fronte a questa emergenza planetaria?
Tutto il turismo sta soffrendo questa situazione, a livello mondiale. I nostri organizzatori di viaggi, che da tanti anni propongono destinazioni nel Sud del Mondo, spesso in paesi e territori dove le Ong nostre associate hanno gestito progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo, hanno dovuto sospendere i loro viaggi e le loro programmazioni tradizionali e si sono dedicati a destinazioni in Italia. Però si preparano a ripartire, i loro partner locali sono fiduciosi e in attesa della ripartenza. Le comunità locali hanno subito e stanno subendo danni pesantissimi. Si tenga presente che nei Paesi europei l’impossibilità di compiere viaggi in Paesi lontani e anche di ricevere turisti da altri Paesi è stata parzialmente compensata dal turismo interno, domestico. Si tratta di una compensazione, ripeto, molto parziale, ma che consente alle imprese turistiche la sopravvivenza in attesa di tempi migliori. Nei paesi più poveri la situazione è molto diversa, spesso il turismo interno non esiste, si punta esclusivamente o quasi sul turismo dall’estero. Inoltre la consapevolezza che in certi territori dei paesi del Sud del Mondo il sistema sanitario è molto fragile costituisce un ulteriore elemento di preoccupazione e di cautela nelle fasi di scelta della destinazione del viaggio e della vacanza..
Il turismo, soprattutto quello che punta alla conoscenza e alla valorizzazione delle comunità locali, non è solo fonte di ricchezza materiale e di occupazione, ma è anche un importante fattore culturale, di conoscenza. Avendo come orizzonte il mondo, quali considerazioni si sente di fare a tal proposito?
La nostra idea è che il turismo debba svilupparsi sempre in aggiunta alle attività economiche tradizionali e mai in sostituzione. L’emergenza Covid-19 lo ha dimostrato in modo chiarissimo, ma noi ne siamo sempre stati a conoscenza. Nei nostri progetti di cooperazione allo sviluppo il turismo viene sempre collegato con le attività preesistenti, l’agricoltura, l’allevamento, la pesca, l’artigianato ovvero con la salvaguardia e il recupero del patrimonio monumentale e artistico. In questo modo il turismo offre opportunità di occupazione sia imprenditoriale che professionale e di lavoro dipendente, e genera reddito aggiuntivo. Inoltre noi proponiamo un turismo basato sull’incontro fra la comunità locale e i suoi ospiti, con l’obiettivo di favorire la conoscenza reciproca, di facilitare occasioni di esperienze e di narrazioni, di superare anche stereotipi e pregiudizi. Valorizziamo la cultura locale tangibile e intangibile, attraverso la mappatura partecipata degli attrattori, che coinvolge in profondità la comunità locale, individuiamo tanti aspetti della territorio e della vita locale che agli abitanti possono apparire consueti, banali ma che invece ai visitatori appaiono curiosi, interessanti, sorprendenti. Esiste infatti uno scostamento nella percezione del pregio e della rarità fra il punto di vista dell’abitante e quello del turista. Dal turismo responsabile per la comunità locale può derivare reddito, ma anche crescita della consapevolezza del proprio patrimonio culturale e dell’autostima.
Se dovesse raccontare alcune delle vostre esperienza pilota, quelle che andrebbero prese a modello, quali sceglierebbe?
In Italia è nato in seno alla nostra associazione il progetto Migrantur, ideato e gestito da alcuni nostri soci come Viaggi Solidali e Acra. Un’iniziativa che è nata a Torino e che si è sviluppata in altre città come Milano, Roma, Napoli e anche in varie città europee. Attraverso il coinvolgimento di immigrati che hanno frequentato appositi corsi si organizzano visite ai luoghi dell’immigrazione nelle diverse città: mercati, negozi, centri culturali, luoghi di culto, ristoranti etnici. Gli immigrati di varia provenienza accompagnano i visitatori, soprattutto scuole ma non solo, illustrano, spiegano, facilitano incontri con commercianti, artigiani, autorità religiose, intellettuali, artisti. Offrono la possibilità di conoscere le tante culture che convivono nel nostro Paese e che spesso apportano un contributo di novità, come nella cucina, nell’arte, nella musica, nei sistemi di solidarietà e di aiuto reciproco che esistono all’interno delle diaspore. Abbiamo anche tante altre esperienze di significato sociale e civile, come le visite alle cooperative che gestiscono i beni confiscati alla criminalità organizzata (Palma Nana, Addio Pizzo Travel, Consorzio Goel), che consentono di conoscere, attraverso la diretta testimonianza dei giovani protagonisti, l’impegno per la creazione di opportunità di lavoro onesto e di contrasto alla diffusione del fenomeno mafioso. Ovvero le cooperative che propongono turismo di comunità, come la Valle dei Cavalieri, premiata due anni fa dall’Organizzazione mondiale del turismo, una cooperativa che ha evitato la scomparsa del paese montano di Succiso avviando una adeguata varietà di attività sia di servizio alla comunità che agricola e turistica. Oggi il paese, che era destinato allo spopolamento, si è rigenerato ed è meta di tantissimi visitatori e anche delegazioni da tutto il mondo.
Un comparto importante, su scala internazionale, è il turismo religioso.
Nei progetti di cooperazione allo sviluppo ci si trova spesso di fronte alla questione religiosa. In parecchi paesi coesistono varie fedi religiose. Noi insistiamo sempre sul rispetto reciproco e sottolineiamo che le credenze religiose costituiscono sempre una ricchezza culturale, a prescindere dalla fede di ciascuno. Operiamo anche per la collaborazione fra tutte le comunità religiose e per il superamento di possibili ostilità e diffidenze. Ad esempio in un progetto in Libano che riguardava la valorizzazione del Lebanon Mountain Trail, abbiamo collaborato con un’associazione locale in cui i giovani soci provengono da alcune fra le tante fedi religiose che sono riconosciute in Libano (18!) e che hanno vissuto periodi storici drammatici, fino alla guerra civile; e in nome del loro sentirsi prioritariamente Libanesi e soprattutto ambientalisti lavorano insieme nell’interesse del loro paese e delle sue montagne. Problemi analoghi li viviamo in Palestina, con la presenza a volte conflittuale fra le tre grandi religioni monoteiste che in parte si sovrappone al confronto interetnico e politico. Per quanto è nelle nostre possibilità operiamo per il dialogo, per la comprensione reciproca, per il rispetto quanto meno delle fedi e della loro professione. Tra le regole del turismo responsabile è incluso il rigoroso rispetto di tutti i luoghi di culto, per quanto riguarda l’abbigliamento e il comportamento durante le visite; e inoltre, quando possibile, proponiamo l’incontro con le autorità religiose per comprendere almeno l’essenza delle diverse religioni, che, tutte, sono basate su valori spirituali ed esperienze ricche di significati.
Umberto De Giovannangeli
Inviato speciale de l’Unità, segue da trentanni gli avvenimenti, le storie e le cronache del Medio Oriente. Ha collaborato con Huffington Post e attualmente con la rivista di geopolitica Limes, Il Riformista, Globalist e Ytali. E autore di saggi sul conflitto israelo-palestinese, sulle Primavere arabe e il radicalismo jihadista.