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La diplomazia come carità, in un mondo che non sarà più come prima

La guerra in Ucraina e il suo antidoto, la cooperazione in Europa. E poi le responsabilità del dialogo, tra le Chiese e non solo. Parla padre Germano Marani, gesuita, animatore del Pontificium Collegium Russicum

“La diplomazia, se è autentica, è una forma di carità; è attenzione all’altro, tentativo di capire che cosa vuole dire, senza cercare di sopraffarlo”. Siamo a Roma, presso la basilica di Santa Maria Maggiore, in un luogo di incontro, conoscenza e cooperazione. Si parla di modo e metodo delle relazioni internazionali della Santa Sede. Di legami tra mondi e di spirito, che risente dei tempi, della politica e oggi anche della guerra. Temi al centro di un’intervista di Oltremare al Pontificium Collegium Russicum, istituto cattolico di formazione che dal 1929 approfondisce lo studio della cultura e della religiosità della Russia. A dire della diplomazia come “forma di carità” è padre Germano Marani, 60 anni, gesuita, professore di teologia e di missione delle Chiese orientali all’Università gregoriana e alla Lateranense. Del Russicum, che accoglie una trentina di studenti originari di diversi Paesi dell’Europa dell’est, è animatore. Alla parola “cooperazione” ne associa subito un’altra, “chiese”. Padre Marani ne conosce i meccanismi da tempo, ben prima di quando nel 2016 è stato incaricato dall’arcivescovo di Mosca, monsignor Paolo Pezzi, di curare la causa di beatificazione moscoviensis-coloniensis di Friedrich Joseph Haass (1780-1853): medico, tedesco di nascita, laico cattolico, trascorse la maggior parte della vita in Russia, dove curò senza compenso molti malati poveri e dove poi, da primario degli ospedali delle carceri, si impegnò ad alleviare le condizioni di vita dei prigionieri destinati alla deportazione nella lontana Siberia. “Raccolse fondi per la costruzione e l’ampliamento degli ospedali, operò a livello istituzionale per evitare abusi e inutili crudeltà, offrì a migliaia di deportati il proprio sostegno materiale e morale” sottolinea padre Marani. “Oggi la sua figura resta molto popolare, è una sorta di leggenda metropolitana: presso la sua tomba a Mosca ci sono sempre fiori freschi; è ricordato e venerato dalla Chiesa ortodossa russa e il processo canonico del quale sono incaricato è stato presentato a Roma grazie ad almeno dieci testimoni ortodossi russi, partecipanti al processo diocesano a Mosca”.

Quello di Haass è un culto che unisce, cattolici, ortodossi, vecchi credenti, luterani, ebrei, mussulmani, non credenti. E che prova a tenere accesa una speranza nell’Europa dilaniata dalla guerra, con i combattimenti per il Donbass e l’Ucraina deflagrati il 24 febbraio con l’offensiva ordinata dal Cremlino. Anche il Russicum ha una vocazione unitaria, che pone al centro lo strumento della cooperazione. L’istituto fu fondato da papa Pio XI, che intendeva creare un luogo di formazione per i seminaristi spinti a lasciare l’Unione Sovietica dai divieti e dalla repressione anti-cristiana e anti-cattolica. Il desiderio di dialogo e collaborazione, scavalcando frontiere, dall’est all’ovest, segna pure Bells of Europe, “Campane d’Europa”, in russo Kolokola Evropy, un documentario curato nel 2011 da padre Marani insieme con un altro gesuita, padre Federico Lombardi, allora direttore del Centro televisivo vaticano (Ctv) e portavoce papale. L’opera, tuttora disponibile su Rai Play, è stata promossa sia da Rai Cinema che dal Ctv. “Abbiamo tentato una riflessione di ampio respiro sulla questione europea, intervistando tutti i capi delle Chiese del continente, dal patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo al patriarca di Mosca Kirill, dal primate anglicano Rowan William ai rappresentanti luterani a Berlino e a Papa Benedetto XVI” ricorda padre Marani: “Volevamo capire quale fosse la loro visione di futuro per l’Europa”. Nel documentario Kirill parla per circa sei minuti: “Ci fece un’accoglienza straordinaria e la parola chiave era Vatikan; fu perfino possibile effettuare riprese da una torre all’interno del Cremlino e dal tetto della cattedrale del Cristo salvatore”.

Il Russicum

Allora come oggi resta profonda la lontananza tra le visioni del russkij mir, il mondo nazionale russo, e quella universalistica, caratteristica di Papa Francesco. Nei rapporti con Mosca, però, secondo il professore, si è quantomeno persa un’occasione. “La Russia non può essere lasciata sola, va invece inclusa nel consesso delle nazioni, dei patriarcati e delle Chiese, compresa quella cattolica romana” l’appello di padre Marani. “Negli ultimi 20 o 30 anni è mancata la volontà diplomatica di un dialogo vero, sincero, profondo, da ambo le parti, e quando pure lo si è cercato c’è stato spesso un pregiudizio: “Tanto è inutile, perché Vladimir Putin sappiamo com’è”.

La guerra, ci dicono al Russicum, sarebbe anche una possibile conseguenza di “una responsabilità di dialogo franco che non è stata assunta appieno”. È possibile, questa la tesi, che Putin volesse collaborare con l’Europa e la Nato e che abbiano queste ultime espresso un diniego. La tensione sarebbe allora cresciuta, ben prima che alcune settimane fa, in un’intervista al Corriere della Sera, Francesco ricordasse che l’Alleanza atlantica “abbaiava” ai confini della Russia. C’è, è vero, il nodo dei fondamentalismi. Padre Marani lo denuncia ricordando il discorso pronunciato da Kirill il 6 marzo, pochi giorni dopo l’inizio della guerra, nella prima domenica di quaresima, quando sarebbe riemerso il nodo del cesaropapismo, con la connotazione nazionale della Chiesa russa e la sua sinfonia con il potere politico. “Si dovrebbe intraprendere un percorso per capire che il mondo è piu’ grande, ma non è facile” sottolinea padre Marani. La sua tesi è che, comunque, dopo la guerra in Ucraina, “nulla sarà piu’ come prima” e che “sono ormai lontani gli anni migliori del XX secolo”. Restano sullo sfondo, lontane, le speranze nel multilateralismo, e anche quel G20 forum globale di pace e sviluppo che è stato celebrato solo pochi mesi fa proprio a Roma. “E’ difficile immaginare come sarà questa fase nuova” dice padre Marani abbassando lo sguardo, assorto. “Questa fase forse dobbiamo crearla, insieme alle Chiese, nella Chiesa”.

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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