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Le donne sono il futuro dell’Africa. E del volontariato.

Volti da riconoscere, dall’Italia alla Guinea Bissau. Protagoniste di cooperazione, insieme con la federazione Focsiv, per un 2025 migliore.

Avviare dialoghi. Mettersi in ascolto, valorizzare ciò che accomuna. Il primo passo, con gli strumenti della cooperazione internazionale, per contrastare odio, polarizzazioni, chiusure. È la lettura e allo stesso tempo il vissuto condiviso dei volontari insigniti dei riconoscimenti della federazione Focsiv per il 2024. Sono operatori di cooperazione, donne, uomini, ragazze e ragazzi di pace, comunicatori o attivisti impegnati in percorsi per lo sviluppo.

Durante la cerimonia di premiazione al Nuovo teatro ateneo, all’università Sapienza di Roma, lo sguardo è rivolto verso sud. È l’Italia che cerca ispirazione, ascoltando altre voci. Come quelle delle lavoratrici della cooperativa Esperança e alegria das mulheres (Esam): in Guinea Bissau, nel villaggio di Higat, danno lavoro e possibilità anche alle rifugiate costrette a lasciare i villaggi della regione senegalese della Casamance. A loro, con l’organizzazione italiana partner Cope, nata 40 anni fa a Catania, va il riconoscimento “società civile del sud”. “Si può vivere in un Paese pieno di contraddizioni, dove esistono ancora enormi sacche di povertà ed esclusione sociale, mentre si cerca di fare passi in avanti virtuosi per uscire dal novero delle realtà più depresse del continente africano” sottolinea conferendo il riconoscimento Ugo Ferrero, dirigente dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). In primo piano, nelle motivazioni del premio, l’aver dimostrato “una nuova capacità di autonomia” e il “potenziale moltiplicatore” garantito dalla combinazione di “azioni pratiche e attività formative”.

Che le donne siano il futuro dell’Africa lo conferma la storia di Ana Djedjo, presidente della cooperativa. “Ero arrivata in Guinea Bissau quando erano riprese le violenze, attraversando la frontiera con mio marito e i nostri bambini” ricorda. “Eravamo senza lavoro e bisognosi di tutto; con Cope ci hanno messo in contatto le suore che si trovavano a Bula: avevano un orto ed è lì che ho cominciato a lavorare”. Sottolinea Michele Giongrandi, presidente dell’organizzazione catanese: “L’obiettivo è permettere alle donne della cooperativa di essere in grado di coltivare, produrre, trasformare e commercializzare i prodotti agricoli”. Secondo il responsabile di Cope, “più in generale l’impegno è in favore di un miglioramento delle condizioni di vita delle donne in Guinea Bissau, che portano su di sé il peso dell’intera famiglia, con corsi specifici di alfabetizzazione, sui diritti, di gestione economica”. Oggi dalle iniziali dieci lavoratrici, provenienti dalla Casamance, si è passati a 18 con l’aggiunta di quattro uomini. Non solo: la cooperativa è riuscita ad autofinanziarsi, reperendo ad esempio fondi per migliorie agli orti, che le rifugiate hanno recintato.

Le migrazioni, con le sfide dello sviluppo, dei diritti umani e dell’inclusione sociale, sono il filo rosso che lega i riconoscimenti di Focsiv. Ecco allora la voce di suor Albertina Pauletti, missionaria scalabriniana con origini padovane, cittadinanza brasiliana e una vita a Tijuana, al confine del Messico con gli Stati Uniti. La religiosa spiega che “otro lado” – l’altro lato, del confine, del muro, del mondo – è l’espressione usata dalle donne migranti accolte nel suo Istituto madre Asunta. Si tratta di una casa di accoglienza e supporto dove da oltre 30 anni fanno tappa donne e bambini migranti, in arrivo da altre regioni del Messico, da altri Paesi dell’America centrale o anche, spesso, di ritorno dal confine con gli Stati Uniti dove sono stati respinti. Quello delle missionarie, supportate dalla Fondazione scalabriniana, un’organizzazione della società civile, è riconosciuto come “miglior progetto di cooperazione internazionale”. “La situazione non è sempre la stessa” dice suor Pauletti raccontando di Tijuana. “Molto dipende dai pericoli legati alla criminalità e molto anche dalle leggi adottate dagli Stati Uniti o dal Messico”. Novità potrebbero arrivare da Donald Trump, neoeletto presidente che preannuncia “chiusura dei confini” e “deportazioni” di massa di persone senza permessi di soggiorno o di lavoro. Si vedrà. Suor Pauletti sottolinea che “non ci sono muri, se non ci sono muri nei cuori” e assicura che continuerà comunque a lavorare, per accogliere, aiutare, rincuorare.

È lo spirito di servizio che accomuna i volontari e i cooperanti premiati al Nuovo teatro ateneo. Alcuni sono impegnati in Medio Oriente, come Daniel Mirzrahi e Tarteel Al Junaidi, delle organizzazioni Mesarvot e Community Peacemaker Teams, palestinesi e israeliani insieme in tempi di guerra contro ogni violenza. O ancora al fianco di persone migranti, in Libano o in Grecia, come Silvia Dellapiana, piemontese di Alba, 29 anni, già impegnata con l’Associazione papa Giovanni XXIII. E poi, durante la premiazione, si ascoltano altre voci: sono quelle di “Tutta un’altra storia”, progetto di sensibilizzazione promosso dall’organizzazione della società civile Cisv e co-finanziato da Aics e dalla Fondazione compagnia di San Paolo. Uno dei riconoscimenti va a Ghali, rapper milanese con genitori tunisini, che in rima mischia lingue, influenze ed estetiche, con l’orizzonte del dialogo e dell’inclusione tra culture. Raccontano “tutta un’altra storia” anche Ariman Scriba, ideatrice insieme con Selam Tesfai e Ariam Tekle di ‘My-Zone Podcast’, visioni e incontri nei quartieri milanesi di Quarto Uggiaro, Corvetto e San Siro. C’è poi l’associazione Ubuntu, un percorso avviato nel 2018 a Salerno. “Tra le sue attività”, si evidenzia nelle motivazioni del riconoscimento, “ci sono i laboratori di lingua d’origine per i bambini dai sei ai dieci anni, che consentono di recuperare le proprie radici identitarie rafforzando così l’autostima di ciascuno, un sentimento importante soprattutto per gli adolescenti”. A ritirare il riconoscimento è Bahia Lahboub. Nel nome delle “nuove generazioni italiane”, spiega lei, che si è trasferita in Campania dalla città marocchina di Casablanca quando era ancora bambina.

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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