L’inverno della Siria e il ricordo di Mar Musa nel Paese che non trova la pace
C’erano già state la Tunisia, la Libia, l’Egitto e lo Yemen. E in tanti nel 2011 si aspettavano che la cosiddetta Primavera araba toccasse la Siria di Bashar al-Assad. A dieci anni anni dall’inizio del conflitto ricordando il sogno di pace e dialogo di padre Dall’Oglio.
Ero un giovane studente a Damasco, era il 1996, Internet non era quello che è oggi, ma le informazioni su Deir Mar Musa al-Habashi ovvero il Monastero di San Mosè l’Etiope già circolavano. Così come già quasi leggendaria era la figura di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita, romano, sparito (rapito? ucciso?) il 29 luglio 2013 mentre tentava di mediare con i vertici dello Stato islamico, l’Isis. Padre Dall’Oglio aveva rimesso in piedi questo antico monastero trasformandolo in un luogo di incontro tra cristiani e musulmani, uno spazio di preghiera, riflessione e lavoro. C’ero stato a Natale, ci tornai a Pasqua arrivando a Nabk e poi camminando un paio d’ore. Una vista bellissima, un luogo affascinante in cui si respirava pace. In un Paese da secoli crocevia di religioni e popoli che avevano trovato una misura per convivere e rispettarsi formando un mosaico straordinario. Una pace oggi purtroppo un ricordo lontano.
Inverno siriano
C’erano già state la Tunisia, la Libia, l’Egitto e lo Yemen. E in tanti nel 2011 si aspettavano che la cosiddetta Primavera araba toccasse la Siria di Bashar al-Assad. E così non fu una sorpresa quanto avvenne il 15 marzo del 2011. Quel giorno la protesta di amici, parenti e sostenitori di una quindicina di giovani arrestati alcuni giorni prima a Daraa per aver imbrattato con graffiti anti-governativi i muri di una scuola fu la miccia che diede il via al conflitto siriano. Un conflitto a tappe che ha visto il coinvolgimento di vari attori interni ed esterni, di gruppi armati divenuti poi molto noti al grande pubblico e che è tuttora teatro di uno dei peggiori disastri umanitari della storia.
La Primavera araba siriana comincia in realtà con una serie di proteste e per i primi sei mesi il governo di Damasco sembra essere in grado di controllare la situazione. Ma presto si assiste a un’escalation che porterà a vani tentativi di mediazione delle Nazioni Uniti (con un primo piano messo a punto da Kofi Annan nel 2012) e a un conflitto aperto tra le varie anime dell’opposizione e il governo centrale. Un conflitto che diventa una “occasione” per gruppi estremisti con agende ampie e ambiziose e che disponevano di combattenti ben addestrati. Il passo successivo è l’emergere dalla galassia jihadista di alcune formazioni che riescono a imporsi ben presto come attori di primo piano: è il caso dello Stato islamico (Isis o Daesh per usare due sigle che connotano questa formazione), che dalle sue basi irachene si espanderà in Siria e alla guida di Abu Bakr al-Baghdadi dichiarerà la nascita del califfato – attirando come una calamita migliaia di persone da tutto il mondo – e sceglierà Raqqa come sua capitale. Proprio a Raqqa – dove negli ultimi anni la Cooperazione italiana è tornata a operare – si perdono nel 2013 le ultime tracce di padre Paolo Dall’Oglio. Padre Paolo scomparve il 29 luglio del 2013 in questa città nel nord-est della Siria, quando ancora la sigla Isis non era di uso comune. Se padre Paolo è per l’Italia uno dei simboli di questa guerra, le macerie di Aleppo, stretta in una conflitto nel conflitto che l’ha vista attraversata da una delle linee di fronte, sono un altro potente e drammatico simbolo delle sofferenze patite dalla popolazione locale. Da Aleppo, da Raqqa, da Homs i siriani hanno abbandonato il loro Paese in milioni e ancora in milioni si sono spostati da una punta all’altra, anche più volte, per sfuggire a violenze e bombardamenti. Forte, fortissima l’immagine del corpo senza vita del piccolo Alan Kurdi, il bimbo di tre anni morto tentando di arrivare con i suoi genitori a Bodrum, in Turchia.
“Dopo dieci anni, metà della popolazione siriana è stata costretta a lasciare le proprie case” ha detto Filippo Grandi, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, riportando dati impressionanti: più di 5,5 milioni i siriani rifugiati nella regione, mentre altre centinaia di migliaia sono sparsi in 130 Paesi; e altri 6,7 milioni di siriani sono stati sfollati internamente. “In dieci anni – ha detto ancora Grandi – quasi nessun villaggio o città in Siria è stato risparmiato da violenze e sofferenze”.
Sullo sfondo restano i tanti episodi chiave che danno un’idea del grado di coinvolgimento di piccole e grandi potenze: l’arretramento dell’Isis, con la caduta di Raqqa sotto i colpi delle milizie curde sostenute dagli Stati Uniti; l’avanzare delle truppe governative grazie all’alleanza russa; le incursioni della Turchia, a sua volta sostenitrice di milizie locali in chiave anti-curda; le incursioni aeree israeliane contro postazioni filo-iraniane; l’incapacità della comunità internazionale di imporre una soluzione.
“Dopo un decennio di conflitto – ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres – nel mezzo di una pandemia globale e di fronte a un flusso costante di nuove crisi, la Siria è scomparsa dalle prime pagine, eppure la situazione resta un incubo”. La Siria, è stato il monito del massimo esponente dell’Onu, non fa più notizia ma centinaia di migliaia di siriani sono morti, milioni sono stati sfollati e innumerevoli altri rimangono illegalmente detenuti, scomparsi o vivono nell’incertezza. “È impossibile comprendere appieno l’entità della devastazione in Siria, ma la sua gente ha subito alcuni dei più grandi crimini a cui il mondo abbia assistito in questo secolo”, ha detto ancora Guterres, ricordando le violazioni umanitarie, gli assedi, gli attacchi con armi chimiche e altri orrori commessi durante la guerra.
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.