
Maria e l’Ospedale di Dergachi: la cura come resistenza
“Quando le persone vedono che ogni giorno viene fatto qualcosa, allora sono motivate a rimanere, convinte che più gente ritornerà”
Prima dell’invasione, Maria insegnava all’università, formando nuovi terapisti dopo il tirocinio. Aveva studiato medicina generale all’Università di Kharkiv e lavorava nella clinica cardiologica della città. La guerra ha stravolto la sua vita: suo figlio, che aveva appena sei anni, ha frequentato l’asilo per poco tempo prima che le scuole chiudessero per motivi di sicurezza. Kharkiv è stata devastata dai bombardamenti e Maria si è trasferita a Kyiv, mentre il resto della sua famiglia è rimasto. Poi, nel febbraio 2023, ha deciso di tornare: “Kharkiv è casa mia. Ho sentito il bisogno di esserci.”
Maria è coinvolta nel progetto implementato da WeWorld e finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) nell’ambito dell’Iniziativa di emergenza a favore della popolazione colpita dal conflitto in Ucraina e nei Paesi limitrofi (AID 012832), che attraverso oltre 26 progetti e 100 partner porta aiuto a un milione di persone in Ucraina e Moldova. Grazie al supporto di AICS, WeWorld sta rafforzando il sistema sanitario della regione: ha formato il personale dell’ospedale di Dergachi con il metodo WASH FIT (Water and Sanitation for Health Facility Improvement Tool ) e ora sta riabilitando l’ambulatorio del villaggio di Slatino, nella comunità di Dergachi, per garantire accesso alle cure mediche di base.
Oggi Maria dirige il Centro di assistenza sanitaria di Dergachi, nell’oblast di Kharkiv, guidando un team di medici e infermieri che ogni giorno garantisce cure in un contesto in cui l’ordinario è diventato emergenza. Qui, la guerra non ha solo portato feriti e traumi: ha reso difficile anche la gestione delle malattie comuni. Un’influenza trascurata può trasformarsi in un rischio grave, un diabete non trattato porta a complicazioni irreversibili, un attacco d’asma senza farmaci può diventare fatale.
I bisogni sono enormi. Squadre mobili attraversano le aree più difficili per raggiungere i pazienti, spesso senza le condizioni minime di sicurezza. L’ospedale di Dergachi è diventato un punto di riferimento per i villaggi circostanti, dove molti sono fuggiti dopo lo scoppio della guerra. Eppure, in moltissimi, per lo più anziani, hanno scelto di non andarsene. “Facciamo tutto il possibile per raggiungere tutti. Quando le persone vedono che ogni giorno si costruisce qualcosa, trovano la forza di restare. E credono che altri torneranno.”
Maria trova ispirazione nella determinazione dei suoi colleghi che come lei hanno scelto di restare. Tra loro c’è il direttore di una clinica a Nova Kozacha, bombardata dalle truppe russe nel dicembre 2023. L’edificio è stato gravemente danneggiato, costringendo il personale all’evacuazione. Ma lui non ha rinunciato. Senza un ambulatorio dove ricevere i pazienti, ogni giorno ha percorso fino a 25 km per raggiungere chi aveva bisogno, offrendo assistenza nei villaggi più vicini al confine russo. Circa 800 persone sono ancora lì, in attesa di cure.
Maria non cerca riconoscimenti. Sa solo che ogni giorno, ogni visita, ogni farmaco consegnato, ogni paziente raggiunto fa la differenza. Qui, la resistenza non è solo sopravvivere: è tenere in piedi un sistema sanitario che rischia di crollare.
In un contesto in cui tutto si sgretola – case, certezze, legami – curare significa anche ricostruire. Ogni gesto, ogni trattamento, ogni forma di assistenza è un filo che tiene insieme la comunità, impedendole di sfilacciarsi del tutto: “Restare, prendersi cura degli altri: è così che si resiste”.