Negoziatrici di pace nel cuore dell’Africa
A Khartoum a trattare un accordo erano in quattro, tra le file del governo e dei gruppi armati. Ecco le loro parole, immaginando una Repubblica Centrafricana nuova
Nel cuore dell’Africa la pace la costruiscono le donne. È il messaggio arrivato questo mese da Khartoum, la capitale sudanese che ha ospitato i negoziati tra il governo di Bangui e 14 gruppi armati coinvolti in vario modo nel conflitto civile divampato nel 2012. L’intesa per la pace nella Repubblica Centrafricana, annunciata nella Sala dell’università, è una delle tante sottoscritte dopo la caduta del presidente François Bozizé, l’ascesa al potere dei ribelli dell’alleanza Seleka e ancora gli agguati e le rappresaglie che hanno coinvolto le milizie cosiddette Anti-balaka. Di mezzo ci sono state anche le elezioni del 2015, con l’entrata in carica del presidente Faustin Archange Touaderà.
Il suo governo, però, ha incontrato e continua a incontrare mille difficoltà ad affermare la propria autorità al di fuori di Bangui e nel resto del Paese. Ecco, allora, le donne per la pace. Nelle settimane di negoziati a Khartoum almeno quattro hanno avuto un ruolo di primo piano. Da un lato, tre ministri: Virginie Baïkoua, responsabile di Aiuti umanitari e riconciliazione nazionale, Marie Nöelle, titolare di Difesa e ricostruzione dell’esercito, e Sylvie Baïgo-Temon, alla guida degli Esteri; da un altro, Esther Guetel, rappresentante della formazione ribelle Révolution et Justice. Le fotografie dei loro incontri, le strette di mano e gli impegni, sono state rilanciate sul sito online della Monusca, la missione di pace delle Nazioni Unite.
Didascalie e articoli avevano in comune un elemento: la centralità del contributo femminile pur nella consapevolezza che lungo il cammino resta più di un ostacolo. Secondo Nöelle, “durante i colloqui sono state portate le rivendicazioni e le preoccupazioni delle reti delle donne, comprese quelle dell’Organisation des Femmes Centrafricaines”. Il ministro ha aggiunto: “Quando a parlare è chi ha donato la vita è più semplice addolcire i cuori e comprendere la necessità del dialogo”. Parole di circostanza, forse. Sta di fatto che dichiarazioni analoghe sono state rilasciate da Guetel, la rappresentante dei ribelli. Convinta per altro che “le vicende della Repubblica Centrafricana hanno dimostrato che le prime vittime sono proprio le donne” e che “difendere la causa nazionale vuol dire impegnarsi anzitutto per loro”. Sull’accordo di pace e sulla sua tenuta molto resta da capire. Onu e Unione Africana hanno lavorato insieme, facendosi garanti dell’intesa, ma gli ostacoli a una sua applicazione sono diversi.
Per settimane i negoziatori si sono scontrati sui nodi dell’“amnistia generale” chiesta da alcuni dei gruppi ribelli, a lungo osteggiata dal governo, che non vuole comunque estenderla a reati classificabili come crimini contro l’umanità o di guerra. E c’è il nodo del nuovo esecutivo, allargato ai rappresentanti delle formazioni armate, che hanno chiesto di esprimere il primo ministro. Nodi che già nelle prossime settimane potrebbero tornare al pettine. Al netto delle incertezze e degli accordi in passato disattesi, comunque, a Khartoum il commissario dell’Unione Africana Smail Chergui ha detto di “un grande giorno per la Repubblica Centrafricana e la sua gente”.
Sperare è un dovere, dopo sei anni di incursioni e rappresaglie, da Bangui ai confini con il Ciad, il Camerun o il Congo, che hanno costretto oltre un milione di persone a lasciare le proprie case. Secondo l’Onu, i rifugiati all’estero sono all’incirca 570mila. Ad Alindao, nel sud, poche settimane fa, il raid di un commando di miliziani nel campo profughi allestito a ridosso della cattedrale ha provocato oltre 50 morti. L’impegno delle donne si spiega anche così. Nasce e si rafforza da un’urgenza. Prima dell’ultima tornata di colloqui, a Bangui 60 attiviste dell’Organisation des Femmes Centrafricaines, della Réseau pour la leadershio féminin en Centrafrique (Relefca) e della Réseau des femmes ministre set parlementaires (Refamp) avevano consegnato un documento all’inviato speciale dell’Unione Africana Moussa Nébié. “Chiediamo si prema sulle parti che partecipano al processo di dialogo e riconciliazione affinché tengano in conto i timori delle donne e le coinvolgano nel meccanismo per l’attuazione degli accordi”. La pace potrebbe essere nelle loro mani.