Siria, la tragedia ai tempi del Coronavirus
A nove anni dall’inizio della guerra, una tragedia umanitaria rischia di trasformarsi in una catastrofe sanitaria. Ma la cooperazione resta in campo. In Giordania, in Libano...
La sofferenza al tempo del Coronavirus. Una sofferenza indicibile che ha il suo epicentro nella martoriata Siria. E anche al tempo della pandemia, la cooperazione internazionale non va in “quarantena”. L’Aics è in campo. A sostegno dei più indifesi tra gli indifesi. Lo è, con i suoi programmi e col sostegno alle ong nei campi profughi in Giordania, in Libano, laddove la vita è in pericolo. E non solo per l’emergenza sanitaria. A sostegno dei più indifesi tra gli indifesi: i bambini.
Non hanno ospedali per essere assistiti, né scuole in cui studiare, né case sicure in cui rifugiarsi. Perché ospedali, scuole, case sono stati rasi al suolo in una sporca guerra per procura entrata nel decimo anno. Ed oggi alla tragedia umanitaria si sta per aggiungere una catastrofe sanitaria, dovuta al diffondersi del Coronavirus. E a pagarne il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini siriani, che oltre a perdere l’infanzia rischiano ora, a migliaia, di perdere il bene più prezioso: la vita.
Essere bambini in Siria.
Secondo l’UNICEF, 4,8 milioni di bambini sono nati durante la guerra in Siria da quando il conflitto è iniziato nove anni fa. Un ulteriore milione di bambini è nato come rifugiato nei Paesi vicini. Continuano ad affrontare le devastanti conseguenze di una guerra brutale. I numeri di questa emergenza sono drammatici: 7,5 milioni di bambini hanno bisogno di aiuto. Di questi 5 milioni si trovano in Siria e 2,5 nei paesi limitrofi. 2,6 milioni di bambini sono sfollati interni e 2,5 milioni di bambini sono registrati come rifugiati nei paesi limitrofi. “La guerra in Siria segna oggi un’altra vergognosa pietra miliare”, ha detto il Direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore, che è stata in Siria la scorsa settimana. “Mentre il conflitto entra nel suo decimo anno, milioni di bambini stanno entrando nel loro secondo decennio di vita circondati dalla guerra, dalla violenza, dalla morte e dallo sfollamento. Il bisogno di pace non è mai stato così pressante”.
Secondo i dati verificati dal 2014 (anno in cui è iniziato il monitoraggio ufficiale), fino al 2019: più di 9.000 bambini sono stati uccisi o feriti nel conflitto; quasi 5.000 bambini – alcuni anche di sette anni – sono stati reclutati nei combattimenti; quasi 1.000 strutture scolastiche e mediche sono state attaccate.
Poiché questi sono solo i numeri verificati, il vero impatto di questa guerra sui bambini sarà probabilmente più ampio.
L’impatto più ampio di quasi un decennio di conflitto comprende: due scuole su cinque non possono essere utilizzate perché distrutte, danneggiate, per dare rifugio alle famiglie sfollate o per scopi militari; oltre la metà di tutte le strutture sanitarie non sono funzionanti; oltre 2,8 milioni di bambini non frequentano la scuola in Siria e nei Paesi vicini. oltre due terzi dei bambini con disabilità fisiche o mentali richiedono servizi specializzati che non sono disponibili nella loro zona; quasi 20mila bambini sotto i 5 anni sono colpiti da malnutrizione acuta grave e in serio pericolo di vita; 1 su 3 di tutte le mamme in stato di gravidanza e allattamento nel nord-ovest della Siria sono anemiche; i prezzi degli articoli di base sono aumentati di 20 volte dall’inizio della guerra.
Nel nord-ovest della Siria, l’escalation del conflitto armato, unita alle dure condizioni invernali e al crollo delle temperature, oltre a una già disastrosa crisi umanitaria, ha imposto un pesante tributo a centinaia di migliaia di bambini e famiglie. Più di 960mila persone, tra cui più di 575mila bambini, sono sfollate dal 1° dicembre 2019.
Nel nord-est, almeno 28mila bambini provenienti da più di 60 Paesi continuano a languire nei campi di sfollamento, privati dei servizi più elementari. Solo 765 bambini sono stati rimpatriati nei loro Paesi d’origine a partire dal gennaio di quest’anno. “Il contesto in Siria è uno dei più complessi al mondo. La violenza e il conflitto attivo continuano tristemente in diverse parti, anche nel nord-ovest, con gravi conseguenze sui bambini, mentre in altre parti i bambini si stanno riconnettendo con parte della loro infanzia perduta, ricostruendo lentamente le loro vite”, afferma Ted Chaiban, Direttore regionale dell’Unicef per Medio Oriente e Nord Africa, che ha accompagnato Fore nella sua missione in Siria. “È evidente, tuttavia, che nove anni di brutali combattimenti hanno portato il Paese sull’orlo del baratro. Le famiglie ci hanno detto che in casi estremi non avevano altra scelta se non quella di mandare i figli a lavorare o far sposare presto le loro ragazze. Nessun genitore dovrebbe essere costretto a prendere tali decisioni”.
“Le parti in guerra e coloro che le sostengono non sono riusciti a porre fine alla carneficina in Siria”- ha detto Fore – “Il nostro messaggio è chiaro: smettete di colpire scuole e ospedali. Smettete di uccidere e mutilare i bambini. Concedeteci la linea di confine e l’accesso transfrontaliero di cui abbiamo bisogno per raggiungere chi ne ha bisogno. Troppi bambini hanno sofferto per troppo tempo”
L’Unicef ha attualmente bisogno di 682 milioni di dollari per mantenere questi programmi salvavita, ma i finanziamenti sono limitati. “L’unica soluzione alla crisi in Siria è attraverso la diplomazia” – ha detto Chaiban – “L’assistenza umanitaria non porrà fine alla guerra, ma aiuterà a mantenere in vita i bambini. Contiamo sul generoso sostegno dei nostri donatori per continuare a sostenere i bambini siriani, nonostante tutte le altre crisi che si stanno verificando nella regione e nel mondo”.
Epicentro Idlib
A causa dell’escalation del conflitto a Idlib – città della Siria occidentale, vicina al confine con la Turchia – quasi 1 milione di persone, di cui più della metà bambini, sono state costrette a fuggire dalle loro case, abbandonando più del 45% del territorio del governatorato. Aree in cui un terzo delle abitazioni e delle infrastrutture civili sono state distrutte o gravemente danneggiate, rendendo così impossibile, in futuro, il ritorno a casa dei profughi. Intere famiglie, per sfuggire alle violenze, si sono riversate nei campi profughi a Nord di Idlib, che ad oggi risultano più che raddoppiati rispetto al 2017, in termini di dimensioni e di sovraffollamento. In questi campi, le famiglie vivono in condizioni terribilmente precarie, in aree prima destinate ad attività agricole. È lo scenario devastante e desolante che emerge da una inedita analisi delle immagini satellitari di Idlib, prima e dopo il conflitto, diffusa da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – Harvard Humanitarian Iniziative e World Vision; immagini rese pubbliche alla vigilia del nono anniversario dell’inizio del conflitto in Siria, che cade oggi, 15 marzo.
I bambini – sottolineano nell’analisi le Organizzazioni – sono le prime vittime dell’escalation del conflitto in corso a Idlib, la peggiore crisi umanitaria nella Siria nord-occidentale in questi nove anni. Solo lo scorso gennaio, almeno 77 bambini sono stati uccisi o sono rimasti feriti nel nord-ovest del Paese e poche settimane fa, il 25 febbraio, 10 scuole e asili sono stati bombardati a Idlib provocando la morte di 9 bambini e il ferimento di altre decine. Numeri che raccontano la morte e la distruzione in corso a Idlib e a cui si aggiungono i circa 280mila bambini in età scolare nella zona la cui possibilità di studiare e andare a scuola è gravemente pregiudicata“. I bombardamenti implacabili hanno praticamente svuotato gran parte di Idlib nel giro di poche settimane, con conseguenze catastrofiche per centinaia di migliaia di bambini e di donne. Mezzo milione di bambini sono stipati in campi e rifugi di fortuna al confine con la Turchia senza accesso a beni essenziali e alla possibilità di condurre una vita dignitosa: non hanno un luogo caldo dove dormire, né acqua pulita, né cibo nutriente e non possono neanche studiare. Le famiglie sono ormai arrivate al limite e i nostri partner sul campo devono confrontarsi ogni giorno con gli enormi bisogni della popolazione. Senza una vera de-escalation, il decimo anno del conflitto in Siria rischia di essere uno dei più sanguinosi. Il mondo non può continuare a restare a guardare e aspettare mentre i bambini vengono uccisi, feriti e sono costretti a fuggire”, dichiara Sonia Khush, direttrice di Save the Children in Siria.
Tragico bilancio
A nove anni dall’inizio del conflitto in Siria, che risale al 15 marzo 2011, la crisi umanitaria – aggravatasi da dicembre – rimane più che mai grave. Dal 1° dicembre 2019, più di 961mila persone sono sfollate nel nord-ovest del Paese, di cui 950mila scappate da Idlib e Aleppo: la maggior parte di loro sono donne e bambini, costretti a dormire all’aperto in balìa delle temperature rigide perché i campi hanno raggiunto la loro massima capienza. Oggi, quella siriana è la popolazione rifugiata di dimensioni più vaste su scala mondiale. Una situazione su cui l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) lancia l’allarme, diffondendo anche un appello per le donazioni destinate a supportare le attività di soccorso della popolazione civile stremata dal conflitto, dagli stenti e dall’inverno. Ad oggi, fa sapere l’Unhcr, l’intervento umanitario è stato finanziato solo per il 9%
Oltre un milione di sfollati entro poche settimane La maggior parte delle persone sfollate nel nord-ovest della Siria, spiega l’Unhcr, si trova ora nei governatorati del nord di Idlib e Aleppo, aggravando una situazione umanitaria già allo stremo. Infatti i recenti spostamenti di massa superano l’attuale capacità di risposta, e a causa dei combattimenti il numero degli sfollati interni cresce di ora in ora: si calcola che arriverà a 1,1 milioni di persone entro poche settimane. I combattimenti stanno avanzando verso aree densamente abitate, aumentando l’impatto del conflitto sui civili, e rapporti recenti indicano un aumento degli attacchi aerei e bombardamenti che hanno coinvolto scuole, ospedali e altre infrastrutture civili, causando un alto numero di vittime. Per rispondere attivamente anche ai bisogni dei nuovi sfollati, i partner che fanno parte con Unhcr del cluster di protezione stanno identificando le terre più adatte ad estendere i campi
I numeri dell’assistenza
Ad aggravare la situazione sono anche le rigide temperature invernali. Al 31 gennaio 2020 l’Unhcr, insieme ai suoi partner, ha fornito kit per l’inverno a circa 50mila persone (10mila famiglie). Tra il 24 febbraio e il 1° marzo nel governatorato di Idlib sono stati distribuiti kit di emergenza a 5.830 persone. Altre 7.854 persone colpite dal conflitto hanno ricevuto 1.309 tende nei governatorati di Idlib e Aleppo. Inoltre, il 25 e 26 febbraio sono state effettuate due spedizioni tra Turchia e Siria nord- occidentale, trasportando 3.500 kit di emergenza e 900 tende destinate a 22.900 persone di recente sfollate. In totale, 21 camion sono stati utilizzati per effettuare le spedizioni. La situazione dei rifugiati e i Paesi che li accolgono Negli ultimi nove anni, spiega ancora l’Unhcr, i governi e le popolazioni di Turchia, Libano, Giordania, Iraq, Egitto, nonché di alcuni Paesi al di fuori della regione, hanno assicurato ai siriani protezione e sicurezza aprendo loro scuole, ospedali e le proprie case. Nonostante la maggior parte dei rifugiati presenti nei Paesi limitrofi viva al di sotto della soglia di povertà, fa tutto il possibile per guadagnarsi da vivere, investire in un futuro per sé e per le proprie famiglie e contribuire alle economie dei Paesi che li accolgono. Allo stesso tempo, in altre aree del Paese, numerose famiglie e comunità cercano di ricostruire le proprie vite e andare avanti, nonostante la diffusa carenza di servizi, la distruzione delle proprietà e le difficoltà economiche. Ma alcune comunità di accoglienza, ad esempio in Libano, devono far fronte a ristrettezze economiche, e la carenza di aiuti e l’accesso limitato a servizi sanitari e istruzione generano un aumento dei costi giornalieri e rischiano di spingere le famiglie rifugiate in una spirale di vulnerabilità. Per la disperazione, alcuni rifugiati sono costretti a ritirare i propri figli da scuola per farli lavorare e contribuire al sostegno della famiglia. Altri riducono il numero di pasti giornalieri. Esposti a sfruttamento e abusi, altri ancora si danno alla prostituzione, contraggono matrimoni precoci o cadono vittime di lavoro minorile.
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