Ucraina anno tre. Ospedali in prima linea
Crimini di guerra, cooperazione in emergenza e bambini che nascono: nonostante tutto, alla clinica numero cinque di Odessa e pure nel bunker a Kherson, sulla linea del fronte
Ospedali in prima linea. Nel mirino, e non solo al fronte. Capita così che si finisca sotto le macerie, come all’ospedale pediatrico Ohmatdyt a Kiev, o si scappi nei rifugi, nella capitale e in tante altre città dell’Ucraina. Come ha fatto Anzhelika Volonits, oggi in vestaglia celeste: è mamma di una piccola che ha poco più di un mese di vita e che si è salvata grazie a un’incubatrice mobile.
“La felicità non ha confini” sussurra, incontrandoci alla clinica numero cinque di Odessa. “Lei è nata il 25 maggio, con un’operazione di emergenza, proprio qui; è stata quattro settimane in rianimazione ma si è salvata, grazie alle incubatrici mobili e ai dottori: io non smetterò mai di ringraziarli”.
La felicità non ha confini perché le bambine non conoscono né la politica né la guerra. Anzhelika invece sì, entrambe, sulla propria pelle, come tanti in Ucraina. Prigionieri e prigioniere, che qualche volta hanno una seconda opportunità. “Lavoravo come medico all’ospedale militare di Mariupol” ricorda Anzhelika, 32 anni, le parole lente, un sorriso a suggerire forse quel che avrebbe potuto essere e quel che è stato. “Il 12 aprile 2022, dopo che la città era stata presa dai russi, sono stata fatta prigioniera nell’ospedale e poi trasferita nello scantinato di una fabbrica” racconta. “Sono stati 11 mesi terribili: mi accusavano di essere una spia e di stare dalla parte del Battaglione Azov; poi una mattina, era il 7 marzo, mi hanno detto che c’era un regalo per me: per la festa della donna, il giorno dopo, non ho capito perché”.
Un sacchetto sulla testa e via, non farti più vedere. Con altre due compagne di prigionia, Anzhelika se n’è andata, lasciando dall’altra parte del confine i genitori, che di lei in quegli 11 mesi non avevano saputo più nulla. Il padre è ancora a Krinichnoe, nella regione di Donetsk che è sotto il controllo russo. “Avevo amici e qualche parente a Odessa, sentivo questa città come più vicina di tutte le altre” ricorda Anzhelika. “Sono arrivata qui ed è qui che conosciuto il padre di mia figlia”.
Alle spalle dei grattacieli che guardano i lidi sul mar Nero, in via Marshala Hovorova, la numero cinque è una delle sei cliniche materne di Odessa. Grazie ai generatori e alle incubatrici mobili, i bambini nascono nonostante gli allarmi per i raid missilistici e i blackout elettrici. “Le portiamo giù nel rifugio quando suonano le sirene, anche più volte al giorno” spiega il direttore dell’ospedale, Ihor Shpak. “Giù c’è spazio per oltre 150 persone, tra personale e pazienti, con anche la sala operatoria, i compressori per l’ossigeno e le incubatrici”.
Secondo Shpak, prima dell’offensiva militare della Russia del 2022 a Odessa nascevano circa 11mila bambini l’anno, mentre ora il numero non supera i 6.500. “Sarebbe però ancora più basso se non ci fosse il supporto delle organizzazioni umanitarie e di Paesi amici” sottolinea il direttore: “Riceviamo finanziamenti da Usaid, l’agenzia del governo americano, e poi contributi per le medicine, il materiale sanitario e le incubatrici mobili da Unfpa, il Fondo dell’Onu per la popolazione”. La solidarietà delle Nazioni Unite salva la vita dei neonati, anche se non cancella l’incertezza per il futuro, lo stress causato dal conflitto o la separazione delle famiglie, con un servizio militare di fatto a tempo indeterminato, anche per giovani che hanno appena compiuto 25 anni.
Eppure, la felicità può essere senza confini. Lo sa la madre di Anzhelika, che per stare accanto alla nipotina è arrivata a Odessa aggirando la linea del fronte. E lo sanno Iryna e Volodymyr Bahaiev, che nella clinica numero cinque occupano la stanza accanto. Mostrano orgogliosi il loro bimbo e poi, è un attimo, lo lasciano sul letto. Il papà ha dieci giorni di permesso prima di tornare in trincea. Il piccolo tiene le gambette all’insù e mostra calzini verde speranza.
Sono raggi di luce nel buio della guerra, ci dice Massimo Diana, una vita in aree di conflitto, dalla ex Jugoslavia al Sudan fino all’Ucraina, dove oggi è responsabile del Fondo dell’Onu per la popolazione (Unfpa), una realtà impegnata per il diritto alla salute, anche sessuale e riproduttiva. “È il terzo anno di guerra su ampia scala e ci sono problematiche nuove” sottolinea il responsabile. “La stanchezza e lo stress sono reali, mentre la speranza di riconquistare territori che c’era ancora lo scorso anno è svanita e tutta la linea del fronte è sotto pressione, da Kharkiv alla regione di Donetsk e più a sud fino a Kherson”.
Le spese militari, alimentate da rischi di nuove escalation, sottraggono risorse anche al sistema sanitario. “Tanto stress ha portato a un aumento delle complicazioni nei parti, sempre più spesso prematuri” denuncia Diana. “Servono tecnologie nuove, come gli incubatori mobili, indispensabili quando ci sono i bombardamenti e perché con i raid sulle infrastrutture la corrente elettrica è garantita sempre di meno”. Ci sono però anche buone notizie. La prima riguarda l’ospedale pediatrico Ohmatdyt, a Kiev, nonostante proprio a luglio sia stato colpito da un raid che ha provocato due morti e decine di feriti: l’ambasciatore Carlo Formosa ha rilanciato l’impegno in favore della struttura, già interessata da un progetto da 100mila euro dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) che insieme con la onlus Soleterre e la fondazione Zaporuka prevede l’apertura di un reparto di riabilitazione da venti posti letto.
L’iniziativa è una delle tante per il diritto alle cure. Contributi di Aics hanno riguardato di recente ospedali a Dnipro, nell’est, a soli 90 chilometri dalla linea del fronte, e a Leopoli, una delle principali città dell’ovest, non lontana dal confine con la Polonia. Nel primo caso sono stati consegnati macchinari per endoscopia e gastroscopia, essenziali per migliorare le capacità diagnostiche e terapeutiche della clinica numero quattro. Nell’ospedale vengono trasportati feriti dalle zone sulla linea del fronte dopo che le vittime hanno ricevuto una prima assistenza nelle strutture da campo. A volte Dnipro è poi direttamente bersaglio di raid missilistici. Secondo Natalia But, direttrice generale dell’ospedale numero quattro, dal 2022 il numero di pazienti trattati annualmente è salito da 20mila a 44mila, mentre le operazioni eseguite sono aumentate da 8mila a 15mila.
“Con questa donazione, vogliamo dimostrare il nostro concreto sostegno al sistema sanitario ucraino in un momento così critico” sottolinea Pietro Pipi, titolare della sede Aics di Kiev. “La nostra priorità è fornire strumenti essenziali che possano salvare vite umane e migliorare le condizioni di cura per i pazienti colpiti dal conflitto”. Secondo Pipi, “la dedizione di questi medici, operativi 24 ore al giorno per fronteggiare le emergenze, è un esempio straordinario di servizio”.
L’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo opera nel campo della salute in Ucraina dal 2022. Nell’arco di due anni, ha avviato 24 progetti dedicati alla salute, alla protezione e al benessere della popolazione, con un impegno finanziario per oltre 20 milioni di euro. Il lavoro è condotto in sinergia con le organizzazioni multilaterali, a partire dalle agenzie dell’Onu. “Una notizia importante riguarda Kherson, in riva al fiume Dnepr, che nel sud segna la linea del fronte” ci dice ancora Diana, il responsabile di Unfpa. “In città stiamo ristrutturando un ospedale pediatrico: l’obiettivo è realizzare un bunker con tutti i servizi”. Sottoterra, al riparo dalle bombe.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
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