Cooperazione sempre più strategica e necessaria, a partire dal Sahel
Le previsioni del rapporto di Banca Mondiale Poverty and Shared prosperity 2020: Reversals of Fortune tratteggiano un futuro incerto. Un motivo in più perché la cooperazione giochi un ruolo attivo in zone, come il Sahel, teatro di instabilità eppure decisive anche per il Mediterraneo
Nel rapporto di Banca Mondiale Poverty and Shared prosperity 2020: Reversals of Fortune (qui per leggere l’articolo sul rapporto e clicca qui per l’intervista al suo co-autore, Samuel Freije-Rodríguez), l’Africa subsahariana è al centro dei riflettori. Se la tempesta perfetta delle tre C – conflitti armati, cambiamenti climatici e Covid-19 – per la prima volta in due decenni imprimerà una svolta negativa nella corsa alla riduzione della povertà, questa tendenza avrà riflessi ancora più pesanti in Africa subsahariana, ovvero colpirà con più forza quelle regioni che vivono una contemporaneità di questi tre fattori negativi. A maggior ragione sarà ancora più decisivo il ruolo che la cooperazione internazionale potrà svolgere in queste zone.
Secondo i dati di Banca Mondiale, la concentrazione di alti tassi di povertà in Africa subsahariana porta questa regione ad occupare 18 caselle in una classifica di venti tra le nazioni che al mondo contano più poveri: le restanti due caselle sono occupate da Siria e Yemen, Paesi che da anni sono teatro di conflitti aperti con gravi ripercussioni sulla popolazione civile.
Abbandonare le regioni dell’Africa subsahariana adesso significherebbe aprire la strada a una crisi economica ancora più pesante in grado di alimentare fenomeni di destabilizzazione sociale e politica, di violenza, di terrorismo. Emblematico è il caso del Mali, che lo scorso agosto ha sperimentato un nuovo pronunciamento militare confluito poi nell’avvio di una fase di transizione politica mediata dalla comunità internazionale.
E sul fatto che le sorti del Sahel non riguardino semplicemente il Sahel e l’Africa ma anche il bacino del Mediterraneo, ne è consapevole l’Italia, che negli ultimi anni ha aperto proprie sedi diplomatiche in Niger e Burkina Faso (oltre che in Guinea) e che lo scorso ottobre ha deliberato l’apertura di un’ambasciata a Bamako, la capitale del Mali. “La scelta dell’Italia di venire in Mali in un momento particolarmente complesso come quello attuale e di aprire un’ambasciata è un gesto d’amore” ha detto il presidente Bah N’Daw, accogliendo a Bamako a fine ottobre la vice ministra degli Esteri Emanuela Del Re.
Secondo la vice ministra, che ha compiuto diversi viaggi in Africa e che proprio di recente è stata oltre che in Mali anche in Niger, la scelta di rafforzare la presenza diplomatica è un riconoscimento del “rilievo e delle prospettive del partenariato italo-maliano nel contesto degli sforzi per la stabilizzazione del Sahel, dove sta crescendo gradualmente la nostra presenza in molteplici settori”.
Una presenza che è fatta ovviamente di cooperazione e la cooperazione, in un contesto complesso come quello saheliano, assume un rilievo strategico in termini di capacity building, progetti di rilievo sanitario e rurale, costruzione di consapevolezza dei propri mezzi. Questo è stato per esempio il ruolo e lo spirito di diverse iniziative condotte dalla ong umbra Tamat, che sta operando sia in Burkina Faso che in Mali con progetti dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e con il fondo Asilo integrazione e migrazione (Fami) della Commissione europea . Di recente, in iniziative ospitate a Perugia e Città di Castello, Tamat ha dedicato una settimana di lavori e incontri al futuro della cooperazione nel Sahel, partendo dai risultati di un progetto appena concluso denominato AwArtMali: “Vogliamo dare continuità al nostro lavoro di cooperazione continuando a fare perno su un network locale costruito nel tempo per rispondere ai bisogni di creazione di opportunità concrete per garantire anche in questo modo la permanenza in Mali di potenziali migranti” ha sottolineato Piero Sunzini, direttore generale di Tamat.
Una strada non facile quella della cooperazione in Sahel eppure necessaria, perché può concorrere al rafforzamento della stabilità in una regione oggi attraversata da faglie di insicurezza che trovano alimento dalle ineguaglianze e da contesti di estrema povertà. E proprio il rafforzamento del partenariato internazionale sarà il tema centrale attorno a cui si svilupperà il 17 novembre la nona riunione degli inviati speciali per il Sahel che questa volta sarà organizzata a Roma dal ministero degli Affari esteri italiano.