Decolonizzare l’aiuto: ecco la scommessa delle diaspore (e della cooperazione)
Se n’è parlato alla quarta edizione del Summit nazionale delle diaspore. Che ce la mettono tutta, preparandosi al Forum permanente
Le diaspore protagoniste della cooperazione allo sviluppo. Ponti tra mondi, capaci come nessuno di “decolonizzare l’aiuto”, liberandolo da ogni paternalismo. Pronte a proporre alleanze di mutuo beneficio, mettendo radici nei territori. E decise ora a diventare Forum, spazio aperto e partecipato “collettore di idee ad alto impatto”. Sono le parole, le speranze e anzi molto di più – gli impegni – che hanno segnato a Roma la quarta edizione del Summit nazionale delle diaspore.
Al Centro congressi Angelicum, oltre il chiostro alto sul foro di Traiano e piazza Venezia, le associazioni e le realtà animate da attivisti e comunità con origini straniere sono tornate a incontrarsi dopo la pandemia di Covid-19, mentre la guerra dilania l’Ucraina e l’Europa.
Quello del Summit è un progetto che guarda avanti. “Draft the Future!”, disegna il futuro, questo lo slogan della nuova fase. A guidarla sono l’associazione culturale Le Reseau e l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), supportate da realtà istituzionali che fanno “sistema”: la Cooperazione italiana, che nelle diaspore vede il ponte, la diplomazia quotidiana, sociale e profonda che può riportare l’Italia nel mondo nel modo migliore.
È sabato, 4 febbraio. All’Angelicum si confrontano attivisti, associazioni e semplici cittadini, con radici migranti e orizzonti globali. Tra loro c’è Jaime Noriega Adrianzen, presidente Cical Odv, una sigla che sta per Centro internazionale di cooperazione afro-latinoamericano: “Il tema”, dice, “è il nuovo multilateralismo, che non può che essere multiculturale”. Noriega Adrianzen ha origini peruviane ma cita Thomas Sankara, presidente-rivoluzionario del Burkina Faso icona del panafricanismo: “Per ottenere un cambiamento bisogna avere coraggio e osare inventare l’avvenire”.
Nuovo multilateralismo, dunque. Cosa vuol dire oggi, rispetto ai diritti sociali e dei popoli? “Dobbiamo decolonizzare l’aiuto” risponde Emilio Ciarlo, responsabile Comunicazione e relazioni istituzionali di Aics. “L’impegno è puntare sempre più su partnership paritarie, cambiando approccio e riconoscendo appieno il ruolo delle comunità di origine straniera”. L’idea sta già scritta nella legge 125 del 2014: le diaspore protagoniste della cooperazione internazionale allo sviluppo perché sono ponti naturali tra Paesi e culture.
Ne parla anche Aurica Danalachi, imprenditrice di 32 anni originaria della Moldavia. In Italia si è trasferita adolescente per un ricongiungimento familiare e ha partecipato al Summit da subito, sin dal 2017. Oggi gestisce un ristorante nel centro storico di Roma e nonostante i contraccolpi della pandemia può contare su 40 collaboratori. “Ho una bambina di due anni e mezzo”, dice accennando un sorriso, “ma voglio mantenere un impegno sociale e uno sguardo sul mondo”.
Accanto a Danalachi c’è Mehret Tewolde Weldemicael, origini eritree, vicepresidente di Le Réseau. “Forse avevamo anche perso le speranze di riprendere questo percorso” dice del Summit, ultima edizione nel 2019, prima della pandemia. “Questa nuova fase è la dimostrazione del commitment della Cooperazione italiana: dal 2017 a oggi ci sono stati cinque governi, che non è poco, ma nonostante le traversie politiche siamo ancora qui, con un forte impegno che richiede risorse e vuole tramutarsi in azioni”.
Tewolde cita il titolo della nuova edizione del Summit, dedicata a “protagonismo” e “leadership” delle diaspore. E pone una domanda: “Il sistema della Cooperazione è pronto a includere e integrare?” Dialoga con lei Marco Riccardo Rusconi, responsabile politiche per l’Africa della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del ministero degli Affari esteri. Il dirigente ricorda l’etimologia della parola greca “diaspora”, “disseminazione”, con quei “semi” senza i quali non ci sono né piante né vita; e definisce “fondamentale” il nesso tra migrazioni e sviluppo.
Durante il Summit si riferisce che nell’elenco delle realtà titolate a realizzare progetti della Cooperazione italiana figura una prima associazione con radici migranti. Ne servono molte di più ed ecco allora l’idea di costituire un Forum delle diaspore, spazio aperto, permanente e partecipato, con un proprio regolamento e un proprio statuto. “Deve essere un contenitore da riempire di contenuti”, avverte Laurence Hart, direttore per il Mediterraneo di Oim: “Ecco, ci serve un collettore di idee ad alto impatto”.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
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