Decolonizzare l’aiuto per progettare un futuro condiviso
Durante l'ultima edizione di Blue Sea Land l'Aics ha riportato l'attenzione sulla necessità per la cooperazione di abbandonare la logica dell'aiuto in favore di una collaborazione paritaria con i Paesi partner
Fare insieme per crescere insieme. Il co-sviluppo solidale è la direzione intrapresa dalla cooperazione italiana tramite partenariati paritari e una sempre maggiore ownership locale dei progetti nei Paesi in cui è presente. Nel passaggio dalla logica dell’aiuto a quella della collaborazione è però necessario riportare al centro della discussione il tema della decolonizzazione per non incappare, pur involontariamente, in modelli che replicano antichi sfruttamenti e nuove disuguaglianze. Questo il monito lanciato da Emilio Ciarlo, responsabile delle Relazioni istituzionali e della comunicazione dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics), dal palco di Blue Sea Land, l’expo dei cluster del Mediterraneo, dell’Africa e del Medio Oriente che si è tenuta a inizio dicembre a Mazara del Vallo. Nella città siciliana Aics ha proposto un panel per stimolare anche da noi il dibattito, già più che mai attuale nel mondo della cooperazione anglosassone, sui temi strettamente connessi della decolonizzazione e localizzazione dell’aiuto, accogliendo così gli inviti di InfoCooperazione.
In questa occasione sono stati anche ricordati i 35 anni dalla morte del leader burkinabè Thomas Sankara, tra i maggiori esponenti della lotta anticoloniale africana del secolo scorso. I Paesi partner, che soprattutto in Africa rivendicano oggi la loro unicità di modello economico e di pensiero, devono questa presa di coscienza, tra gli altri, proprio a Sankara, padre del Burkina Faso moderno, ha ricordato Ciarlo. Queste unicità vanno rispettate e incoraggiate sulla strada verso la sviluppo, ma a volte “anche volendo fare del bene” ha detto “si rischia di esprimere un pensiero coloniale”. Il pericolo è proprio “quello di essere troppo presenti, finendo per prevaricare le realtà con cui si viene in contatto. I partner locali con cui l’Agenzia lavora devono invece agire su un piano di parità”. Ora che in questi in Paesi è aumentata la consapevolezza della propria storia e del proprio modello di sviluppo deve, insomma, cambiare anche l’approccio della cooperazione che non può più permettersi di essere paternalista, ha continuato Ciarlo. “Adesso dobbiamo trasferire ai nostri partner sempre più responsabilità perché sono pronti ad affrontarle e vogliono affrontarle”. Come ha detto a The Humanitarian Muthoni Wanyeki, direttore regionale per l’Africa di Open Society Foundations, intervenendo proprio su questo dibattito: “Non vogliamo più un pezzo di torta. Vogliamo fare noi la torta”.
Un esempio del rovesciamento della prospettiva di aiutante e aiutato lo ha offerto durante il panel di Blue Sea Land anche Odile Sankara, attivista, artista e sorella dell’ex presidente del Burkina Faso. “L’Africa, a causa del colonialismo, non ha mai valorizzato a pieno le proprie ricchezze, materiali e immateriali, ma credo che possa fare molto per gli altri Paesi, per esempio proponendo il proprio rapporto con la natura, con l’uomo, e con la comunità: valori spirituali che l’Occidente sta perdendo” ha spiegato. Odile ha poi testimoniato l’importanza dell’eredità dell’ex leader burkinabè arrivata fino a noi. “Thomas ha indicato una via nuova ai popoli africani che si basa sulla conoscenza e l’insegnamento delle proprie tradizioni e dei propri valori. Mio fratello è diventato anche un simbolo che mobilita ancora molti giovani in nome della libertà dei propri Paesi”, ha aggiunto. Una spinta decoloniale, veicolata oggi in Africa da ferventi movimenti artistici, culturali e di attivismo, che chiedono ascolto.
Da parte di chi opera nei Paesi in via di sviluppo “serve fare uno sforzo per sganciarsi dai meccanismi mentali occidentali che alimentano le difficoltà ad aprire un ragionamento inclusivo sulla decolonizzazione” ha aggiunto Guglielmo Micucci, direttore di Amref Health Africa-Italia, nella sua puntuale riflessione durante il panel di Aics. A questo proposito, concentrandosi sull’Africa, Micucci ha sottolineato l’importanza di ripensare anche il linguaggio e la comunicazione per fornire un racconto più complesso di un continente “sì pieno di difficoltà, ma anche di opportunità e di spazi di emancipazione”. I bambini denutriti, immagine preponderante di tante campagne comunicative e di raccolta fondi, sono solo una piccola parte della realtà africana e di quello di cui si occupa la cooperazione, ha spiegato.
Secondo Micucci “decolonizzando e localizzando l’aiuto non stiamo cedendo spazio o potere, ma fornendo responsabilità. Non è un processo pericoloso, bensì arricchente”. Localizzare, in particolare, non significa altro che personalizzare gli aiuti in base alle specifiche esigenze e ai bisogni dei beneficiari, favorendo la partecipazione e il coinvolgimento dei gruppi locali. La localizzazione dell’aiuto contribuisce anche a creare una maggiore accountability e trasparenza nell’utilizzo dei fondi, garantendo che questi siano impiegati in modo efficace e responsabile. Quando questo modello sarà accettato allora “parleremo della localizzazione come di una realtà e della decolonizzazione come una questione del passato in un mondo veramente interconnesso”.