Passaggio in Libano
La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale possono essere vettori di sviluppo nei Paesi partner. Per questo in Libano la Cooperazione italiana ha puntato anche sul restauro, la riabilitazione e il potenziamento di siti archeologici e musei. Un racconto
In tempi di crisi, peggio ancora di guerra, sembra anacronistico, quasi un lusso superfluo, ricordare quanto si fa in tempo di pace o almeno di non conflitto. Eppure costruire – ponti, dialoghi, opportunità – è un esercizio necessario. Anche ri-costruire, contribuire a riedificare. L’Italia, con le sue iniziative di cooperazione, lo fa da tempo anche nel vasto campo della tutela, del restauro e della valorizzazione del patrimonio culturale, come è emerso di recente alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, che si è tenuta a Paestum dal 2 al 5 novembre.
Un esempio in questo senso è il Libano, Paese che si dibatte nella peggiore crisi economica della sua storia, tra dollarizzazione totale del mercato, inflazione a tre cifre, l’emergenza umanitaria dei rifugiati dalla Siria, la consueta partita politica di dosaggi e partizioni, le linee di separazione e incrocio delle molteplici identità. Eppure, a volte, il patrimonio culturale può essere un importante “motore di sviluppo sostenibile”, una strategia da tempo adottata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) in Libano, “Paese prioritario della Cooperazione italiana”, ricorda la direttrice dell’ufficio di Beirut dell’Aics, Alessandra Piermattei. Come mostrano, da una parte, la riqualificazione del sito archeologico di Baalbek e la conclusione dei lavori di restauro del suo spettacolare Tempio di Giove; e, dall’altra, la riapertura del Museo Sursock, riconsegnato alla città dopo circa tre anni di chiusura a causa dei danni subiti in seguito all’enorme esplosione del 4 agosto 2020 nel porto della capitale libanese che ha causato oltre 200 morti, 7.000 feriti, centinaia di migliaia di sfollati, devastando l’area attorno per un raggio di 24 chilometri.
Situato sulla collina di Achrafieh a soli 800 metri dal luogo della deflagrazione, il Museo Sursock ha riaperto dopo le necessarie riparazioni all’edificio e alle collezioni danneggiate anche grazie a un finanziamento da parte dell’Aics, il contributo più rilevante di un singolo donatore. Palazzo novecentesco in stile ottomano veneziano, residenza privata dell’aristocratico e collezionista d’arte Nicolas Ibrahim Sursock, divenne nel 1961 il primo (e unico) museo pubblico di arte moderna e contemporanea di Beirut.
Ora è rinato, fedele al mito dell’araba fenice, “un simbolo di rinascita e speranza”, sottolinea la storica dell’arte e direttrice del museo Karina el-Helou: “una guarigione, dopo lo choc, rivedere i muri, le opere, infine il pubblico nelle sale. Perché un museo non è solo le sue collezioni, la sua architettura, ma è scambio continuo con i visitatori, luogo di dialogo, piattaforma di riflessione e libertà”. Oggi, attorno all’area colpita, è stato tutto ricostruito, sono nati nuovi palazzi e strade. Ma sono rimasti molti interrogativi e, al porto, un enorme moncone di cemento e una statua di 25 metri realizzata con i rottami metallici sopravvissuti all’esplosione, intitolata The Gesture dal suo creatore, l’artista libanese Nadim Karam, per commemorare le vittime e sottolineare la “volontà del popolo libanese di continuare ad andare avanti”. Dall’arte contemporanea ai tesori dell’antichità.
A circa 90 chilometri a nord-est di Beirut e a pochi chilometri dalla frontiera siriana, nella valle della Beqaa, sorge il complesso di templi di Baalbek, iscritto dal 1984 nella lista del Patrimonio mondiale Unesco. Baalbek è uno dei più impressionanti esempi di architettura romana di epoca imperiale al suo apogeo, una combinazione di resti di epoca greco-romana con tracce fenicie più antiche. Il nome deriva probabilmente dal termine fenicio Baal (il Signore) unito al toponimo della valle; successivamente, in epoca ellenistica, venne ribattezzata Heliopolis, la “città del sole”.
A splendere a Baalbek è soprattutto il Tempio di Giove, consideratoil santuario più grande del mondo romano, chesi distingueva per le colossali colonne – alte 20 metri (con la base e il capitello) e realizzate con blocchi di pietra dal diametro di oltre 2 metri – e per le gigantesche pietre della terrazza ricavata da rovine di epoca precedente. Oggi restano sei colonne, spettacolari, restaurate grazie a un intervento dell’Aics, che si possono raggiungere da qualche mese con un nuovo percorso realizzato nel quadro della riqualificazione del sito archeologico.
Per due anni, nell’ambito di progetti per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale del Libano, esperti italiani hanno lavorato al recupero e consolidamento della colonnata e il cantiere ha anche rappresentato un’occasione di formazione per esperti e operai libanesi, di opportunità di lavoro legate al turismo e alla conservazione, processi virtuosi di sviluppo economico sostenibile, come ha sottolineato Nicoletta Bombardiere, ambasciatrice d’Italia in Libano, partecipando alla cerimonia che ha sancito la conclusione del restauro. Accanto al Tempio di Giove si erge quasi intatto il Tempio di Bacco, risalente a un periodo stimato tra il 150 d.C. e il 250 d.C., ritenuto uno degli edifici di epoca romana più grandiosi e meglio conservati al mondo. In estate, fa da scenografia a un festival internazionale di musica, teatro e danza, aperto quest’anno dallo spettacolo di Roberto Bolle and Friends. Insomma, la cultura come bellezza e memoria, ricerca, dialogo, sviluppo.