Foo Jem, parlare ai giovani del Senegal per scelte consapevoli
Con la kefiah oppure in video con immagini di proteste e dimostrazioni, in ogni caso dando voce con le sue canzoni alle esigenze, ai sogni, alla rabbia dei giovani del suo Paese. Matador, nome d’arte di Babacar Niang, è una delle figure più importanti del panorama musicale hip hop del Senegal, e dal 2005 ha deciso di avviare un progetto a Pikine, popoloso sobborgo di Dakar, per offrire uno spazio di formazione, di musica, di progettualità per i giovani.
Dal 2005, il centro di Africulturban – questo il nome dell’associazione sostenuta da Matador – ha visto passare centinaia di ragazze e ragazzi: “L’idea iniziale – racconta il rapper incontrato nel suo ufficio di Pikine a margine di una iniziativa organizzata a Dakar dalla Cooperazione italiana – era di metter su un centro di aggregazione, un luogo dove si facesse cultura. Poi abbiamo cominciato a organizzare corsi di formazione”.
Entusiasmo e voglia di cambiamento sono stati il carburante iniziale su cui si è retta Africulturban. E i corsi organizzati, soprattutto nella fase di avvio, danno anche l’idea della spontaneità con cui tutto è partito. I corsi erano i più disparati: da quello dedicato ai graffiti, al corso di montaggio video, a sessioni di alfabetizzazione. L’esperienza oggi ha portato a puntare su specializzazioni molto amate dai più giovani come tecnico del suono e cameraman.
Tra Matador e i frequentatori di Africulturban si è instaurata una sorta di accordo: il rapper insegna ad aver fiducia in se stessi, a rispettare le regole, a puntare sulla qualità; in cambio, i ragazzi devono dimostrare di essere regolari, puntuali, di seguire in maniera seria e impegnata i corsi. Il risultato è significativo: centinaia di ragazzi formati, molte esperienze all’estero e una percentuale altissima di giovani che dopo la formazione ha deciso di mettere a frutto quanto appreso restando nel proprio Paese.
Questa linea richiama l’indirizzo seguito dalla Cooperazione italiana in Senegal (uno tra i Paesi prioritari per l’Italia) in seno al programma “Choisir en toute connaissance”, scegliere con consapevolezza, ovvero valutare bene ciò che si lascia e ciò che si trova prima di compiere una scelta. È così che la collaborazione tra Cooperazione italiana e Africulturban ha portato alla realizzazione di pillole radiofoniche che sono state trasmesse per diverse settimane su una delle principali emittenti senegalesi. Il format è molto semplice e diretto con un nome che rinvia subito al centro della questione: “Foo Jem”, cioè “Dove vai?” in lingua wolof, è un programma che racconta le storie di giovani senegalesi che hanno deciso di credere nelle potenzialità del proprio Paese, restandovi, investendo nel loro lavoro e impegnandosi per dimostrare che riuscire in Africa non è un’impresa impossibile.
Come Charlotte Ndiaye, una delle senegalesi intervistate da Foo Jem, la quale, dopo aver completato gli studi in Canada, è tornata a Dakar per avviare una sua attività legata alla moda: “Venendo dal Canada – racconta mostrando un certo orgoglio negli occhi lucidi e profondi – avevo pensato di mettere a frutto quanto appreso. Poi mi sono resa conto che l’idea di bellezza che avevo sviluppato nel corso degli studi era diversa da quella locale e andava anche oltre la moda. Ho capito che potevo valorizzare tanti prodotti naturali tipici del Senegal e non soltanto per la realizzazione di abiti, ma anche per la bellezza, per la ristorazione. Così con il mio compagno ho avviato un progetto che si chiama Fab Dakar e che spero possa presto allargarsi ad altri Paesi”.
Il messaggio che emerge, ascoltando anche altre esperienze raccontate su Foo Jem, è chiaro ed efficace: puntare sulla propria formazione, sfruttare le nuove tecnologie, scommettere sulle potenzialità ancora inespresse del Senegal consente scelte consapevoli sul proprio futuro, consente di restare o di andare via ma secondo logiche non dettate dall’emergenza.
Perché, come ci dice Matador salutandoci, “lavorare con i giovani può in realtà aprire opportunità che magari fino a quel momento potevano essere inimmaginabili”.