Georges Mbatsogo, psicologo di cooperazione
L’esperto racconta a Oltremare il suo lavoro nell’assistenza psicologica a favore delle vittime dell’insicurezza nell’Africa centrale
Cosa puo accadere nella testa delle vittime del gruppo terrorista jihadista Boko Haram? E come fare per permettere a chi è colpito da violenze e disastri naturali di superare il dolore? Georges Blaise Mbatsogo Mbatsogo, camerunense classe 1975, ha gestito per anni svariati progetti della cosidetta “clinica psicologica” ambulante nelle missioni di cooperazione e umanitarie in cui è stato coinvolto in Africa. Lo scopo quello di fornire un supporto psicologico e psicosociale alle vittime di violenza fisica e psicologica causate dai crimini di Boko Haram in Camerun, al confine con Ciad e Nigeria. In particolare era incaricato di coordinare l’assistenza e sostegno alle vittime nelle sette unità amministrative del dipartimento di Logone e Chari nella regione del Far North.
La storia di Mbatsogo è come quella di tanti ragazzi della sua generazione, nati negli ospedali cattolici e cresciuti correndo e giocando negli oratori e negli impianti sportivi costruiti dai missionari italiani nella capitale Yaoundé. Questi impianti, popolari perché aperti a tutti, hanno visto correre anche futuri campioni come Zambo Anguissa, calciatore del Napoli Campione d’Italia o Andre Onana, ex portiere dell’Inter, cresciuti nel quartiere piu popoloso della capitale. La vita di Mbatsogo intreccia l’Italia anche in altri modi: “Ho avuto l’opportunità di essere borsista dei fondi italiani per beneficiare della formazione in animazione socio-culturale presso un centro di formazione, promosso dal Coe – Centro Orientamento Educativo (prima Osc italiana arrivata all’inizio degli anni ‘60 dopo l’indipendenza del Paese, Ndr)” racconta durante il colloquio con Oltremare. Successivamente, ha avuto l’opportunità di lavorare con Intersos, un’organizzazione italiana finanziata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics). Durante “le mie attività sul campo – prosegue – ho anche collaborato molto con Coopi, un’altra organizzazione italiana con cui abbiamo lavorato per il benessere psicologico delle vittime dei terroristi di Boko Haram”.
A Mbatsogo piace definirsi “un umanitario”, ma di formazione è socio – antropologo con una doppia laurea e perfezionamenti aggiuntivi nei campi dello sviluppo e della salute della comunità, della salute mentale e della difesa dei diritti umani, che lo hanno portato a lavorare oltre 15 con organizzazioni della società civile e agenzie delle Nazioni Unite. I suoi interventi in progetti di emergenza e follow-up medico per l’Hiv nei Campi profughi di Borgop e Ngam, nella regione di Adamaoua, e di supporto psicosociale nella regione dell’Estremo Nord del Camerun hanno avuto una pluvalenza sociale importante nelle attività umanitarie e di cooperazione implementate localmente.
Attualmente ricopre la carica di coordinatore di programma per l’implementazione del sotto progetto intitolato “Impegno del settore privato nella risposta all’Hiv, alla tubercolosi e alla malaria” svolto dal Gicam – la Confindustria nazionale del Camerun – con il Comitato Nazionale per la Lotta contro l’Aids (Cnls), grazie ai fondi del Global Fund. È stato coinvolto come operatore sul campo in progetti di assistenza ai rifugiati centrafricani nelle regioni dell’est, dell’Adamaoua e del Nord del Camerun. Da segnalare anche l’assistenza ai rifugiati nigeriani e agli sfollati interni vittime di violenze provenienti dall’estremo nord del Camerun. Infine l’impegno con il settore privato nella risposta all’Hiv, alla tubercolosi e alla malaria da parte delle aziende. Ma la salute della comunità e la salute mentale lo hanno da sempre affascinato. “Le mie responsabilità rientrano maggiormente nell’ambito dell’organizzazione, pianificazione e coordinamento delle attività presso la sede centrale. L’obiettivo è che un settore privato che vigila sulla buona salute dei suoi lavoratori sia competitivo, produttivo e vincente”.
Nel 2009, “ho avuto il piacere di lavorare per una Osc locale facendo molto sviluppo della comunità con finanziamenti da Cordaid”, ricorda. Questa esperienza gli ha permesso di entrare in contatto più vulnerabili delle popolazioni svantaggiate. Per lui la cooperazione allo sviluppo è “una benedizione” per aver incentivato la questione legata alla salute psicologica delle vittime di guerre e catastrofe. “Mentre i miei colleghi si occupano di curare le persone, di costruire dei pozzi, di regalare illuminazione pubblica, formazione e responsabilizzazione dei giovani, sviluppo di strade di accesso, riabilitazione di edifici scolastici, io faccio questo”, prosegue convinto. Il suo miglior ricordo in questa lunga storia professionale appassionata e talvolta turbolenta risale probabilmente otto anni fa, mentre si trovava in un campo per fornire assistenza medica ai rifugiati centrafricani in Camerun: “Siamo stati chiamati d’urgenza per prendere una donna in travaglio e portarla lì in una struttura sanitaria per il parto. Sulla via del ritorno con la partoriente, ha dato alla luce un bel maschietto, grazie all’intervento dell’infermiera che si era servita anche dell’autista e di me durante questa operazione in ambulanza. Il nome Georges è stato dato a questo bambino dalla famiglia in mio onore. Ero molto commosso.”
Mbatsogo ha piena consapevolezza della complessità del lavoro dei “cooperanti” reso ancora piu delicato dai discorsi e dai dibatitti sulla cooperazione stessa. Secondo lui, se l’Africa vive ancora molte difficoltà in termini di sviluppo, salute primaria, scolarizzazione e fame, c’è il malgoverno, oltre che la povertà, dietro a tutto questo. Con questo quadro “la cooperazione allo sviluppo rimane un mezzo appropriato con cui Paesi, organizzazioni e individui possono sostenere gli sforzi africani per risolvere crisi aperte”, afferma Mbatsogo che incoraggia la cooperazione allo sviluppo in Africa a farsi partner degli Stati per il maggior bene delle loro popolazioni, senza intaccarne la sovranità.