Giuseppe Mistretta: Impariamo a rispettare i tempi dell’Africa
Nel suo nuovo libro una riflessione sui sessantennali delle indipendenze, i “nuovi attori” e soprattutto cosa dobbiamo aspettarci. Intervista a un diplomatico-scrittore
“Dobbiamo rispettare i tempi dell’Africa” scandisce Giuseppe Mistretta, già ambasciatore in Angola e in Etiopia, ora direttore centrale in Farnesina per la regione subsahariana. L’intervista con Oltremare si tiene in giorni di anniversari per i 60 anni delle proclamazioni d’indipendenza. Ci sono stati il Congo, il 30 giugno, e a seguire la Somalia, il primo luglio, e nelle stesse settimane ancora Mali, Madagascar e Burundi. Occasioni di riflessione, dibattito, in qualche caso anche scuse (come quelle del re del Belgio, Filippo, trasmesse al presidente congolese Felix Tshisekedi, per le “ferite profonde” inflitte dal colonialismo).
Eppure con Mistretta, 62 anni, origini siciliane, già scrittore di guide di viaggio e cultura e pure di racconti, lo sguardo è rivolto soprattutto al presente e a quello che sarà. Lo si intuisce sin dal titolo del suo ultimo lavoro, Le vie dell’Africa. Il futuro del continente fra Europa, Italia, Cina e Nuovi attori (Infinito Edizioni). “Immaginavo una fotografia che riflettesse la mia esperienza sul campo” la premessa, prima di entrare nel merito, con lo zoom e lo sguardo di insieme. “Oggi esiste un’Africa nuova, differente rispetto a quella che vidi 30 anni fa al principio della mia carriera diplomatica” sottolinea Mistretta. “Chi visita adesso il continente non vede solo il progresso economico, con più strade e infrastrutture, e non solo il segno dei rapporti con vecchi Paesi europei, di origine coloniale; incontra anche i Nuovi attori, come Cina, India, Russia, Turchia, Giappone, Emirati Arabi, Qatar o Arabia Saudita”.
Il rapporto con le ex potenze coloniali, con i mutamenti sia sul piano delle relazioni politiche, della cooperazione o del linguaggio stesso, è solo uno dei riferimenti. “Da parte europea è cambiata in maniera evidente anche la narrativa nei confronti dell’Africa” annota Mistretta: “Ci sono espressioni che non si usano più, come assimilazione, oppure rapporto donatore-beneficiario, Terzo mondo o Paese in via di sviluppo”. Parole differenti si affiancano a sud del Sahara a presenze e modalità più recenti, come quella ormai centrale della Cina, ma non solo: “I Nuovi attori, in genere, non chiedono in contropartita riforme di carattere democratico e miglioramenti nella governance, ciò che in gergo diplomatico si chiama condizionalità dell’aiuto, perché tale obiettivo non rientra nelle loro linee guida e nei loro interessi primari”. Secondo Mistretta, ad accomunare questi interlocutori è il fatto di avere governi “dirigisti”, con la conseguente capacità di “muovere finanziamenti e realizzare progetti in poco tempo”.
Da questi nuovi rapporti discenderebbero però per l’Africa anche rischi, sia sul piano del debito (oggi al 32,4 per cento del Prodotto interno lordo del continente) sia su quello della trasparenza. “I Nuovi attori hanno le loro finalità e convenienze nazionali, in base alle proprie strategie di crescita, o a quelle che gli osservatori chiamano agende occulte” avverte Mistretta. Convinto che l’azione europea sia invece più accountable, trasparente, anzitutto grazie “alla presenza di una stampa libera, di numerose ong, di parlamenti piuttosto combattivi sul tema della cooperazione, di gruppi di pressione a carattere umanitario e ambientalista o di una giustizia indipendente dal potere politico”. Il richiamo è anche all’Italia. Secondo Mistretta, con la sua cooperazione e le sue imprese e con l’utilizzo di strumenti finanziari innovativi, il nostro Paese ha l’opportunità di assolvere al meglio il ruolo di “attore onesto e affidabile”. Un impegno da approfondire dal Mozambico al Sudafrica all’Angola per ragioni di geopolitica energetica ma anche e soprattutto dal Corno d’Africa al Sahel, la regione “forse al momento la priorità centrale dell’Italia nell’area subsahariana”.
Torna allora il tema delle indipendenze, in primo piano nei giorni degli anniversari, già celebrati in Mali e imminenti in Niger (3 agosto), che con il Burkina Faso è uno dei Paesi dove l’Italia ha di recente aperto rappresentanze diplomatiche. “Dobbiamo sempre considerare, in questo 2020, che le repubbliche africane meno giovani compiono appena 60 anni” riprende Mistretta, come chiudendo un cerchio: “È una constatazione banale ma che sembra sfuggire all’immaginario collettivo; pensiamo a quanto tempo ci è voluto in Europa o negli Stati Uniti perché si affermasse nella storia nazionale la consapevolezza da parte dei cittadini dei principi di democrazia e rispetto dei diritti umani”. La presa d’atto diventa monito, con al centro i tempi dell’Africa. “Quante tragedie, dittature e cataclismi abbiamo vissuto dopo la nascita dei nostri Stati nazionali nel XVI secolo?” chiede Mistretta. “Pretendere cambiamenti dall’oggi al domani, imponendo un modello occidentale all’Africa è un’operazione destinata alla sconfitta”. Nel libro, beninteso, non c’è traccia di isolazionismo né tanto meno di disinteresse. “Queste pagine – sottolinea nella prefazione Romano Prodi, ragionando del ‘continente che ci sta di fronte’ – ci indicano e ci ripetono insistentemente che non c’è nulla da fare: che ci piaccia o no, siamo tutti sulla stessa barca”.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Vaticana, Radio In Blu e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
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