Kiram Tadesse: Ascoltare gli intellettuali africani sia una priorità
Conduttore di un programma radiofonico di successo su “Afro Radio FM”, il cronista del quotidiano etiopico “The Daily Monitor “ ha dedicato decine di articoli e storie sulla cooperazione italiana.
Kiram Tadesse (classe ’90) è un giornalista che ha vissuto la trasformazione del suo Paese, l’Etiopia, “the place to be” per tutte le nazioni del mondo. A testimonianza di come sia stata raggiunta la solidarietà internazionale in questo Paese dell’Africa orientale, mai ricca di risorse naturali come ad esempio i suoi omologhi in Africa centrale, ha deciso di dedicare la sua carriera a temi legati alla cooperazione allo sviluppo. Sul quotidiano The Reporter o alla radio Afro Fm, ha pubblicato diversi articoli sulla cooperazione italiana, che lo ha invitato in Italia durante un convegno sull’ambiente organizzato dall’Associazione Greenaccord nel 2016. In questo momento in cui l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) intende coinvolgere l’intellighenzia del continente nella sua politica di comunicazione, l’abbiamo incontrato.
Kiram Tadesse, il Covid-19 è un’opportunità per cambiare rotta o condannerà l’Africa?
Da quando il Covid-19 è emerso come una pandemia, l’Africa non è mai stata un’eccezione. Tuttavia, rispetto alla crisi che la pandemia ha causato in altre parti del mondo, l’Africa non e’ ancora stata gravemente colpita in termini di casi di malattia e morte. In questo senso è ancora un posto fortunato. Si può immaginare come questo potrebbe essere un grosso problema in Africa, dove l’accesso alle informazioni è ancora una sfida. Alla fine questa crisi ha creato un nuovo modo di fare le cose nel continente. L’Africa si deve concentrare negli sforzi di mitigazione mentre il resto del mondo lotta per sopravvivere. Penso che durante e dopo la pandemia non sarà tutto uguale a prima. Le sfide spesso vengono con le opportunità, quindi, indipendentemente dagli impatti devastanti della pandemia, l’Africa potrebbe ancora guardare avanti e resistere.
Lei ha da sempre dedicato il suo lavoro giornalistico a temi legati alla cooperazione allo sviluppo. Perche’?
La cooperazione allo sviluppo è uno degli aspetti importanti delle relazioni bilaterali e multilaterali tra i Paesi; soprattutto quando si tratta di comprendere gli interessi delle società beneficiarie. In qualità di professionista dei media e della comunicazione, ho scritto, analizzato e discusso con passione su questioni relative alla cooperazione allo sviluppo, grazie alle quali gli Stati e le società raggiungono gli obiettivi desiderati. Questo è il motivo per cui il governo dell’Etiopia ha fatto a lungo leva sull’importanza della diplomazia economica, laddove spera di incanalare imperativi di sviluppo mirati. Ad esempio, negli ultimi sette anni ho scritto, svolto ricerche e dibattuto su più piattaforme mediatiche locali e internazionali sulla più grande centrale idroelettrica dell’Africa: il progetto della Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), che è stato realizzato dalla multinazionale italiana Salini Impregilo. Questo delicato progetto per la regione è un buon esempio di cooperazione allo sviluppo.
Il suo paese, l’Etiopia, non ha risorse naturali rispetto ad altri paesi africani. Eppure e’ una best practice in termini di sviluppo: come spiega questo balzo in avanti che sembra un miracolo economico nel continente africano?
Sì, l’Etiopia ha registrato un lodevole progresso economico in termini di crescita del Pil per diversi anni consecutivi, e lo ha fatto senza grandi risorse naturali menzionabili: questo rappresenta un buon esempio per il resto dell’Africa. Ci sono state massicce attività di sviluppo delle infrastrutture in tutto il paese. Tuttavia, questa crescita economica non ha avuto ricadute sull’inclusione sociale e alla fine ha portato a critiche. Tra queste, alcune relative alla corruzione, le violazioni dei diritti umani, la cattiva gestione e i fallimenti legati a numerosi mega progetti. L’Etiopia, secondo Paese più popoloso dell’Africa, lotta ancora per realizzare uno sviluppo economico inclusivo. Da quando è entrato in carica il governo guidato dal primo ministro Abiy Ahmed, sono in corso di attuazione una serie di riforme politiche ed economiche.
L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) intende dare voce agli intellettuali africani protagonisti del loro sviluppo. Che tipo di ascolto lei ha trovato, in generale, nel mondo occidentale?
L’approccio seguito dall’Aics per dare voce agli intellettuali africani, ritenuti protagonisti del loro sviluppo, è un aspetto importante di come si fa comunica anche sullo sviluppo. Probabilmente, il mondo occidentale ha ancora una percezione sbagliata dell’Africa in generale. A differenza delle tante grandi storie che avvengono nel continente, le istituzioni e i media occidentali tendono a propendere solo per i mali. Con l’assistenza dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, ad esempio, ho avuto la possibilità di viaggiare in Italia in diverse occasioni e di condividere buone pratiche ed esperienze dal punto di vista etiope e africano. Un buon esempio è stata la Conferenza dell’Accordo Verde del 2015, grazie alla quale ho condiviso le campagne etiopi di piantagioni di alberi che sono poi diventate un punto importante dell’agenda del premier Abiy. Pertanto, ascoltare agli intellettuali africani non dovrebbe essere un’opzione ma una priorità. Allo stesso tempo, dovrebbero essere sostenute le iniziative incoraggianti mostrate dall’Unione Africana come “soluzioni africane per i problemi africani”.
È vero, secondo lei, che negli interventi di cooperazione la comunità internazionale ha spesso privilegiato gli aiuti umanitari a discapito di una concreta politica di investimenti? Cosa ne pensi?
È vero. Esiste una percezione comune tra le élite che la maggior parte degli aiuti, sia quelli umanitari che di sviluppo, arrivi in Africa con determinati prerequisiti. In questo senso, la maggior parte degli interventi di cooperazione che la comunità internazionale ha spesso favorito sembrano attraenti a un primo sguardo, ma poi hanno uno scopo che a volte viene percepito come vago. Molto spesso questi aiuti sono stati considerati come uno strumento per spingere i Paesi a preservare i diritti umani. Prendendo questo dilemma degli aiuti, alcuni sostengono addirittura che l’Africa non è mai stata sovrana né si è mai assicurata completamente l’indipendenza. Per riuscire a garantirsi questo sostengo molti Paesi africani sono stati costretti a modificare le loro politiche, che avrebbero dovuto adattarsi ai reali interessi pubblici locali. Penso che questo sia il motivo per cui la Cina è emersa come principale partner bilaterale e multilaterale con l’Africa.
Come giornalista, come può la stampa africana e occidentale partecipare allo sviluppo del continente?
Come si vede dalla narrativa quotidiana, anche le agende africane più importanti sono stabilite dalla stampa occidentale. Questo deve cambiare. I media non africani dovrebbero svolgere forse un ruolo limitato. Allo stesso modo, la stampa africana dovrebbe uscire dalla sua errata percezione dei dubbi su se stessa e lavorare per fare la differenza. Devono vigilare su ciò che si fa bene e ciò che si fa male. Allo stesso tempo, i governi africani o gli investitori privati dovrebbero considerare di investire per costruire istituzioni di stampo africano di alta qualità.
Come vede la cooperazione universitaria tra Italia e Africa? Hai avuto modo di viverla personalmente?
Penso che ci sia una buona cooperazione universitaria tra Africa e Italia. Anche se non ho avuto la possibilità di iscrivermi a un’università italiana (per mancanza di mezzi o di opportunità), sono consapevole che molti studenti etiopi lo hanno fatto. Ho visto che i programmi di ricerca e borse di studio offerti dalle università italiane stanno contribuendo allo sviluppo del capitale umano in Africa.
Ubuntu, come una sorta di “filosofia di vita”, è arrivato in Italia con Mungi Ngomane, autore di “Ubuntu”. La via africana della felicità ”. Pensa che questo possa essere un modo filosofico per avvicinare l’Italia alla cultura africana (come in passato per le filosofie orientali, la meditazione ecc.)?
L’Ubuntu è davvero un’importante filosofia di vita. Poiché parte dalla nozione di “io sono perché siamo”, favorisce l’integrazione sociale tra background diversi. Penso che Ubuntu possa servire come strumento vitale per avvicinare l’Italia alle culture africane. Tuttavia è anche importante notare che la cultura africana è diversa di per sé. Ubuntu può servire come strumento per consentire di risolvere alcuni dei problemi sociali con le culture della comunità italiana. Tuttavia, per mostrare il suo significato, gli africani dovrebbero prendere l’iniziativa di promuovere la nozione originale di Ubuntu, forse anche con l’assistenza di Paesi come l’Italia. Ciò creerà anche uno spazio per un’ulteriore comprensione e ricerca di altre culture africane altamente significative e che hanno molte altro da offrire.