La doppia sfida di Souad: l’Islam “rosa” a Tunisi
Rivendica la sua militanza in Ennahdha e si dice orgogliosa di aver fatto parte della commissione che ha redatto una costituzione che va nella direzione di una parità di genere. E per la sua Tunisi promette una “rivoluzione verde”.
Tre luglio 2018. Una data da cerchiare in rosso, anzi in “rosa”. Da quel giorno, per la prima volta nella storia, a ricoprire la carica di sindaco della città di Tunisi sarà una donna. Con 26 voti a favore, i consiglieri comunali hanno preferito Souad Abderrahim. capolista del partito islamico moderato Ennahdha, al suo rivale Kamel Idir, del partito laico Nidaa Toune’s, arrivato secondo con 22 preferenze.” Essere il primo sindaco donna di Tunisi è un orgoglio per tutte le donne tunisine” aveva dichiarato la prima cittadina in occasione delle elezioni comunali del 6 maggio, che la vedevano in testa alle preferenze dei cittadini.
La biografia di Souad, 54enne farmacista, racchiude in sé una sfida che va oltre i confini nazionali proiettandosi in un mondo, quello musulmano, fatto di oltre 1,8 miliardi di persone: la sfida è quella di poter unire tradizione e modernità e di secolarizzare, nel segno delle donne, l’islam politica. La neo sindaca di Tunisi è espressione di questo sforzo. Generoso, difficile, irto di ostacoli ma dal cui esito dipende il consolidamento stesso di quel “modello tunisino” che, pur tra limiti e contraddizioni, resta il lascito più concreto e prezioso della stagione delle “Primavere arabe”. Souad, che non porta il velo pur essendo capolista di un partito islamico, ha puntato molto sulla lotta alla discriminazione di genere. Sposata e madre di due figli, nel 2014 ha ottenuto l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine al merito tunisino.
Souad Abderrahim aveva già contribuito alla redazione della carta costituzionale della Tunisia quando fu eletta nell’ottobre del 2011 nell’Assemblea Costituente. Durante i tre anni della durata dell’assemblea costituente aveva presieduto la commissione dei diritti umani e delle libertà, un tema molto caro alla deputata di Ennahdha. Anche perché Souad Abderrahim aveva subito durante la sua gioventù tante ingiustizie.
Nel 1985, quando studiava alla Facoltà di Medicina di Monastir sul Mediterraneo (è nata a Sfax, nel Sud, ma è cresciuta nei sobborghi di Tunisi), è finita in carcere per un paio di settimane: si era trovata in mezzo a uno scontro tra studenti islamisti e alcuni di sinistra. Già allora si impegnava a unire i fronti, andando oltre gli orientamenti politici, fondando l’Unione generale degli studenti tunisini. L’intento era di “riconciliare entrambe le parti e servire gli interessi degli studenti in generale più di quelli di un campo politico o di un’ideologia”.
La sua lotta studentesca la costrinse però ad allontanarsi dagli studi: è riuscita a laurearsi solo nel 1992. Ha poi avviato la sua carriera nell’industria farmaceutica. Nel 2011, organizzando una carovana umanitaria per rifornire di medicinale gli ospedali semi-abbandonati del sud del Paese, è ritornata la sua passione per la politica. E ha scelto di valorizzarla con il partito islamista Ennahdha, il più forte dopo l’era di Zine El Abidin Ben Ali. “Ho iniziato a studiare il loro programma e l’ho trovato convincente. Inoltre, c’era già molta fiducia tra loro e me.
L’ho trovato propizio a difendere i risultati della donna presentando la mia candidatura all’Assemblea costituente con Ennadha. Come donna, la mia presenza potrebbe essere una garanzia, una salvaguardia per i nostri diritti”, sosteneva nel 2011 preparandosi a fare parte della squadra che avrebbe scritto la nuova Costituzione tunisina. E ora lo conferma anche da sindaca: “Essere il primo sindaco donna di Tunisi è un orgoglio per tutte le donne tunisine”. Ma come lei tante altre, e di diversi schieramenti, siederanno nei consigli comunali delle varie città del Paese nordafricano lottando per le loro idee. Lo farà Rawdha Zaouchi, della lista indipendente “La Marsa Change”, vincitrice a La Marsa, vicino alla capitale, orgogliosa di aver portato a termine una campagna elettorale non facile contro ogni pronostico e lontano da ogni ideologia di partito.
È vero che la Tunisia presenta sulla delicata questione della parità di diritti uomo-donna la legislazione più evoluta tra i Paesi del mondo arabo, ma sul piano pratico questa enunciazione teorica viene spesso vanificata dalla prassi quotidiana. Proprio per questo possono gioire di tale successo elettorale tutte le donne del Paese. Una delle novità fondamentali della nuova Costituzione sono gli articoli 21 e 46, che affermano il principio della parità di diritti e doveri di cittadine e cittadini e promuovono la parità di genere nei consigli elettivi. Ad oggi, il 31% del parlamento tunisino è costituito da donne Souad è una donna determinata, coraggiosa, la cui esemplarità sta anche nelle contraddizioni di cui è portatrice. Non è una femminista islamica. Non lo è e non lo sarà mai. “La famiglia non dovrebbe essere formata al di fuori dei vincoli del matrimonio”, diceva nel 2011 qualche mese dopo il successo della “Rivoluzione dei gelsomini”, attaccando in particolare le madri single ancora non viste di buon occhio nella società.
Un’uscita che l’è costata, il 22 novembre 2011, anche un’aggressione fisica all’esterno del Palazzo dell’Assemblea costituente (successivamente chiese scusa per quelle affermazioni, sottolineando però che erano state decontestualizzate). Souad non nega la sua identità di donna musulmana ma, e qui sta il senso più profondo della sfida che lei incarna, la neo sindaca sposta in alto l’asticella dei diritti delle donne in ogni ambito della vita sociale, politica, lavorativa e, cosa non meno dirompente, questa asticella dei diritti investe anche la sfera privata, quella famigliare.” Non sento di essere una vetrina, no. Ma simbolica sì.
Nelle elezioni del 2011 c’era paura e diffidenza nei confronti del partito islamista e il mio compito era dimostrare che Ennahdha non avrebbe interferito con il ruolo della donna tunisina nella società e nella famiglia. Per questo oggi non si parla più di Islam politico, ma di Islam democratico…”, spiega Souad in una intervista del giugno scorso a Io donna. Quanto al velo, che lei non porta, Souad annota: “È una questione privata. E io non ho problemi né con le donne velate né con quelle che scelgono di non metterlo. Prima della rivoluzione non si poteva entrare nelle facoltà col velo né negli uffici pubblici.
Ora c’è libertà di scelta. È escluso solo il niqab che copre anche il volto, ma per ragioni di sicurezza. E non tutte si velano per questioni religiose, ma perché seguono la tradizione. Mia madre non ha mai portato il foulard né mia nonna. Per me è normale non metterlo. Mi sento a mio agio così. E resterò così”. Souad ha idee molto chiare per la sua città. Chiare e ambiziose. “Voglio rendere la città più bella. Tunisi è già bellissima, io voglio illuminarla. La chiamano “Tunis al khidr” (Tunisi verde), ma qui il verde è trascurato. Voglio creare vivai in tutte le circoscrizioni, lavorare con le associazioni nei quartieri, con la società civile, ascoltare e fare. Il centro deve avere un look tunisino puro, classico, deve diventare lo specchio del Paese in modo da attirare turisti e investimenti. Voglio riempirlo di cultura, con musica nelle piazze, nelle caffetterie, promuovere il teatro…”. Ma quella delle donne tunisine è anche una “rivoluzione dal basso”. Di piazza.
Una testimonianza la si è avuta il 13 agosto scorso, quando migliaia di persone hanno manifestato a Tunisi il 13 agosto in occasione della Festa nazionale della donna. Hanno risposto all’appello dell’Associazione tunisina delle donne democratiche e di varie ong della società civile che chiedevano di scendere in piazza in favore della parità di genere e dei diritti individuali. Il 13 agosto non è un giorno qualunque, ma coincide con il 62esimo anniversario dell’entrata in vigore del Codice sullo statuto della persona (Codice di Famiglia) nel 1956: una legge rivoluzionaria per i tempi, in tema di diritti delle donne in un Paese arabo. Quest’anno è intervenuta nel pieno di un aspro dibattito interno, scaturito dalla pubblicazione lo scorso 12 giugno del rapporto dalla Commissione delle libertà individuali e dell’uguaglianza di genere (Colibe) contenente alcune proposte in direzione della parità uomo-donna considerate rivoluzionarie dalla parte più religiosa e conservatrice della società tunisina.
Alla manifestazione del 13, caratterizzata da un clima di entusiasmo, era presente anche l’attivista e direttrice della ong Fanni Raghman Anni, Asma Kaouech, che all’agenzia Ansa dichiara: “Il rapporto della Colibe è un segnale che la rivoluzione tunisina sta riprendendo il suo percorso, quello delle libertà, della democrazia, della laicità anche se questo cammino è ancora pieno di ostacoli”. Souad, Asma: storie diverse, sensibilità differenti, ma che si sono incontrate in una battaglia comune: in favore delle donne, velate o non.