Loss&Damage, il tema al cuore del prossimo negoziato che interessa la cooperazione
Jacopo Bencini, dell'Italian Climate Network racconta come dovrà funzionare il meccanismo e l’importanza di allocare risorse e meccanismi di prevenzione e gestione del rischio climatico.
Il tema più discusso ai prossimi negoziati sul clima, Cop27, a Sharm el Sheik, in Egitto sarà senza ombra di dubbio il Loss&Damage, un meccanismo per ridurre le perdite e i danni inevitabili legati al cambiamento climatico. Secondo il Washington Post il fabbisogno finanziario annuale per il Loss&Damage nei Paesi in via di sviluppo potrebbe raggiungere dai 290 ai 580 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. Mentre a Glasgow non c’è stato un accordo definito, sono stati fatti passi in avanti. Oltremare ne ha parlato con Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network.
Cosa è il L&D?
Per Loss and Damage si intendono le perdite ed i danni subiti in conseguenza dei cambiamenti climatici. La quantificazione e identificazione di quali danni e quali perdite ricade negli sviluppi della cosiddetta scienza dell’attribuzione, settore di studi in rapida espansione. L’Accordo di Parigi, Articolo 8, incoraggia i Paesi a collaborare nell’elaborazione di sistemi di allerta preventiva, a cooperare sul tema delle riparazioni (anche se questa parola non è mai esplicitata) e della quantificazione, della gestione del rischio e relative assicurazioni, oltre ad impegnarsi nello sviluppo del Meccanismo di Varsavia, strumento di facilitazione e cooperazione internazionale sul tema.
Il Glasgow Pact ha ribadito il Santiago Network come meccanismo di lavoro sul tema. In cosa
consiste? Quali risorse sono necessarie per la messa a terra del Santiago Network nel 2022?
Lanciato nel 2019 sotto presidenza cilena della COP di Madrid (da qui il nome), ad oggi il network di Santiago è poco più di un nome e un sito web. Dal 2019 ad oggi, infatti, non sono stati compiuti passi avanti concreti nello sviluppo di quello che dovrebbe essere uno dei principali strumenti facilitativi nell’applicazione dell’Articolo 8 dell’Accordo di Parigi. Il network è infatti pensato come una
piattaforma internazionale di condivisione di risorse umane, tecnologiche e possibilmente finanziarie a favore dei Paesi in via di sviluppo. Ad oggi fanno parte del network una serie di Paesi in via di sviluppo e/o fortemente vulnerabili e numerose organizzazioni intergovernative e banche di sviluppo, dall’African Development Bank alla Federazione Internazionale della Croce Rossa, dal Green Climate Fund alla Banca Mondiale. Nel Glasgow Pact si è scritto che è importante che i Paesi si impegnino a dare una struttura e delle regole al funzionamento del network, che ad oggi non dispone neanche di un proprio staff.
Quali sono le richieste per L&D da parte dei Paesi meno sviluppati e più vulnerabili?
I Paesi in via di sviluppo chiedono di poter liberare risorse dai propri bilanci pubblici (e dalla mobilitazione privata legata a politiche di pubblica utilità) per investimenti infrastrutturali e politiche che mirino allo sviluppo economico e sociale, senza necessariamente cadere nella trappola incrementale per la quale la loro capacità di spesa pubblica sarà, in prospettiva, sempre più drenata dalla necessità di rispondere con azioni di prevenzione, soccorso, emergenza rispetto ai fenomeni climatici estremi. In sintesi, i Paesi più vulnerabili chiedono ai responsabili storici delle emissioni climalteranti di farsi carico del problema a livello finanziario, proprio per non rinunciare (ulteriormente) alle loro già ridotte possibilità di sviluppo. Un tema, quello delle riparazioni, dall’enorme peso politico nella futura governance dei cambiamenti climatici.
Cosa si intende per facility su L&D?
I Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici durante i negoziati hanno chiesto l’istituzione di una vera e proprio “facility”, cioè di uno strumento formale di coordinamento e azione con propri staff, riunioni annuali, inclusione di portatori d’interesse ed attori locali, per meglio coordinare le attività globali sul tema. Cosa che però non è avvenuta. Nel testo di Glasgow ha preso d’altra parte solo l’avvio di un
nuovo dialogo sul tema. Conclusione molto debole che lascia ampiamente insoddisfatti su un tema ancora poco compreso dagli Stati ricchi.
Quali sono le criticità scientifiche di determinare la correlazione tra evento catastrofico e Climate Change in modo da erogare una compensazione?
Gli scienziati hanno sviluppato diversi metodi per valutare “se” e “quanto” il cambiamento climatico abbia alterato le possibilità che si verifichino eventi meteorologici estremi. Questi studi fanno parte della cosiddetta Scienza dell’Attribuzione, uno dei rami più giovani delle
scienze del clima, ma che sta evolvendo ad un ritmo vertiginoso. La criticità principale è quella legata alla quantificazione: se un evento meteorologico è definibile come estremo nel clima attuale, significa che le condizioni atmosferiche in cui si è generato sono insolite e il cambiamento climatico può essere un fattore capace di contribuire. Sì, ma quanto? L’obiettivo dell’attribuzione è capire quanto
sia grande quel contributo e confrontarlo con gli altri fattori determinanti le condizioni atmosferiche. Nonostante le difficoltà ancora da superare quello dell’attribuzione resta un punto fondamentale nella reazione al cambiamento climatico, anche in termini di comunicazione: la crescente capacità della scienza di capire come le nostre azioni possano influenzare la gravità o la frequenza di condizioni meteorologiche estreme – a evento estremo in corso o immediatamente dopo il suo accadimento – può influenzare in modo significato quella che è la percezione dei rischi legati al riscaldamento globale.
Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.