Meno fragili, più uguali (Ecco cosa dicono Mariam e le altre)
L’inviata della Somalia per i minori e i migranti. E poi Rejoice e Akosua, “young leader” originarie di Ghana e Malawi. Convinte che l’impegno comincia dal basso
Ritorni decisivi e impegno dal basso, a partire dai bisogni e dalle richieste dei territori: due modi per combattere le disuguaglianze e costruire un futuro migliore. I ritorni sono quelli delle diaspore, degli emigrati capaci di far tesoro della loro esperienza all’estero e investire di nuovo sul loro Paese di origine. L’impegno è quello di operatori di cooperazione e associazioni di volontari, radicati sul territorio, pronti a intercettare necessità e a mettere a punto strategie non limitandosi a rispondere a input che vengano da istituzioni e politica. Ci si sta muovendo in questa direzione anche in Africa, dal Ghana al Malawi fino alla Somalia, un Paese che fatica a vincere la pace ma dove pure i segnali di speranza si stanno moltiplicando. A fotografare evoluzioni e nuovi fermenti sono tre donne-attiviste per i diritti umani intervenute all’Arena internazionale, spazio di incontri e dibattiti al di là delle frontiere ospitato dal Meeting di Rimini.
La Somalia, allora. Mariam Yassin Hagi Yussuf, inviata speciale del primo ministro del suo Paese per i bambini e i migranti, sottolinea che “il ritorno dall’estero di professionisti, imprenditori e talenti sta alimentando la speranza nel futuro, nonostante attentati e insicurezze condizionino ancora la ripresa”. Secondo la dirigente, vedova in conseguenza di un attentato del gruppo islamista Al Shabaab, è “un segnale importante che giovani inseriti in Occidente o in alcune realtà mediorientali lascino un lavoro sicuro per investire sul proprio Paese a livello imprenditoriale, politico e di impegno nell’associazionismo”. Di ritorni e migrazioni Yussuf si è occupata quotidianamente sia in Somalia che all’estero per conto del governo, riconosciuto dall’Onu e sostenuto nella sua lotta contro Al Shabaab da una forza di circa 22mila peacekeeper dell’Unione Africana. L’impegno politico dell’inviata speciale è cresciuto in un contesto di contraddizioni, speranze e violenze, segnate anche dalla morte del marito, ucciso con altre 66 persone nell’attentato del 2013 al centro commerciale Westgate di Nairobi. E dei drammi di una guerra ventennale con rischi continui di nuove fiammate si nutre l’appello ai giovani emigrati all’estero. “La diaspora somala è in tutto il mondo e spesso è ben inserita, come conferma ad esempio il ruolo di Ilhan Omar, deputata negli Stati Uniti” sottolinea Yussuf: “Serve un investimento sul Paese, più forte delle tragedie, nel rispetto di una resilienza popolare che affascina e conquista”. La scommessa è allora sulle nuove generazioni, e sulla ricostruzione di un sistema dell’istruzione devastato dalla guerra. “Il mio hashtag è ‘Più Italia in Somalia’” dice l’inviata speciale. “Penso anche ai ragazzi dell’Università nazionale di Mogadiscio, un ateneo che era in realtà italo-somalo: per poter studiare non devono più essere costretti a partire”.
Di giovani, studenti o volontari, in contesti urbani o rurali, parla anche Rejoice Namale. Ha 24 anni ed è la fondatrice in Malawi di Youth Arise Network. “Un’organizzazione che costruisce dal basso, sostenendo spirito imprenditoriale, istruzione e volontariato” spiega Namale: “L’obiettivo è sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze”. A testimoniarlo i progetti del Network. In tre distretti del Malawi, dalla capitale Lilongwe alle città meridionali di Zomba e Blantyre, sono stati formati oltre 120 giovani in tecniche di muratura, installazione di impianti elettrici, carpenteria, falegnameria e pittura. Numeri ancora maggiori hanno riguardato altri progetti di volontariato, con 300 ragazze e ragazzi coinvolti in città e oltre mille in aree rurali. Al centro sempre formazione, imprenditorialità e costruzione di indipendenza, l’impegno che a Namale è valso il riconoscimento della Commissione Ue: a giugno è stata uno dei 15 “Young Leader” ospiti a Bruxelles degli European Development Days, le Giornate europee dello sviluppo. “C’è un top-bottom approach, un approccio sbagliato, nelle scelte politiche per i giovani” ripete la fondatrice del Network. Convinta che al contrario “per affrontare le sfide, a partire da quella della mancanza di capitale e delle difficoltà ad accedere ai finanziamenti, è necessario ripartire dal basso”. Nelle iniziative in Malawi il nodo è sempre la formazione, sottolinea Namale: “Dobbiamo creare opportunità, bypassando quel bivio che ai nostri ragazzi impone subito una scelta tra il sostentamento della propria famiglia e un’istruzione di qualità”. Uno dei mantra del Network è la “financial literacy”, l’apprendimento degli strumenti economici e finanziari, si tratti di partita doppia o controllo di un bilancio pubblico. Sfide, queste, da affrontare partendo dalla scuola. Tra le ultime iniziative del Network c’è il dono di 500 libri per la biblioteca delle elementari del villaggio di Chimutu. “Continuiamo a ricevere contributi anche in denaro per l’acquisto di testi scolastici” si legge in un post su Facebook. “Sarebbero benvenuti anche assi di legno e barattoli di pittura”.
Volontariato e coscienza civica, in Malawi come dall’altra parte dell’Africa. La conferma è Akosua Peprah, un’altra “Young Leader”, 26 anni, ghanese, coordinatrice della Mmaakunium Foundation nei villaggi del Ghana ai confini della savana. “Distribuiamo assorbenti alle ragazze” dice di un impegno per le pari opportunità nato e cresciuto sui banchi di scuola. Storie che arrivano da Damongo, una cittadina della regione di Savannah, nel nord del Ghana. “A oltre 130 studentesse distribuiamo ogni mese gratuitamente assorbenti e altri prodotti per l’igiene e la salute mestruale” spiega Peprah. “Vogliamo essere concreti perché nei villaggi questo tipo di articoli restano beni di lusso; in media a causa del ciclo le ragazze perdono ogni mese sei o sette giorni di scuola”. Secondo la coordinatrice della Mmaakumiun Foundation, alcune giovani utilizzano fibre e tessuti non adatti, che possono provocare irritazioni e infezioni. Nella maggior parte dei casi, però, con la perdita delle lezioni arrivano risultati non all’altezza e tanta frustrazione. “A questo punto si aggrava il rischio dell’abbandono, delle gravidanze precoci e del matrimonio ancora adolescenti” denuncia Peprah. La sua tesi è che, però, l’impegno sul piano sanitario non sia sufficiente. “Perché le ragazze restino a scuola e riescano ad avere successo negli studi bisogna convincere i genitori” sottolinea: “E’ necessario cambiare una mentalità che vede in loro solo uno strumento di guadagno, che facciano piccolo commercio su banchetti in strada o diventino spose ancora minorenni, magari vendute per mucche che diano ai capifamiglia latte e un po’ di benessere”. Gli assorbenti nelle scuole di Damongo, allora, sarebbero solo un punto di partenza. Poi magari chissà. Il nome del progetto è “Happy Flow”, immaginando un ciclo che non comprometta la felicità.