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No alle guerre dell’acqua, sì alla pace dei fiumi

L’acqua è un bene prezioso e comune, la sua carenza alimenta flussi migratori incontrollati, ma una gestione condivisa e attenta può contribuire allo sviluppo di zone che pur sperimentando stress idrici hanno imparato che la collaborazione è una soluzione

Ci sono più di un miliardo di migranti nel mondo oggi e i deficit idrici, le problematiche legate all’acqua, sono collegati al 10% dell’aumento della migrazione globale. Il dato è certificato dalla Banca Mondiale ed è stato uno dei temi principali nel corso del Forum mondiale sull’acqua che si è tenuto lo scorso marzo a Dakar, in Senegal. E il trend è in aumento, legato a doppio filo agli effetti dei cambiamenti climatici che stanno avendo effetti sulla disponibilità di acqua in alcune zone del globo. Secondo il rapporto di Banca mondiale Ebb and Flow (Flusso e riflusso), 17 Paesi – che ospitano il 25% della popolazione mondiale – stanno già sperimentando uno stress idrico estremo e le sfide sono in maniera sproporzionata sentite nel mondo in via di sviluppo con più del’85% delle persone colpite dalla variabilità delle precipitazioni che vivono in Paesi a basso o medio reddito. Questo, sottolinea Banca Mondiale, non significa che ci siano ondate di poveri “rifugiati dell’acqua” che migrano per sfuggire alla siccità. In realtà, sono i più poveri che spesso non hanno i mezzi per migrare, anche quando ciò potrebbe migliorare i loro mezzi di sussistenza e le loro prospettive. In effetti, i residenti dei Paesi poveri hanno quattro volte meno probabilità di spostarsi rispetto ai residenti dei Paesi a medio reddito.

In altre parole, benché l’aumento del 10% dei flussi migratori sia legato all’acqua, tale dato potrebbe essere di gran lunga superiore. Esiste comunque un legame evidente tra la penuria d’acqua e i processi migratori, e questo risulta evidente per esempio nel Sahel. In questa regione semiarida che divide l’Africa subsahariana dal nord del continente, la forte crescita demografica sta esercitando pressioni sulle già esigue risorse idriche e allo stesso tempo sta alimentando conflittualità tra comunità che per secoli hanno condiviso gli stessi spazi. Generalizzando, questa conflittualità si sta manifestando in contrasti tra comunità seminomadi di allevatori e comunità sedentarie di agricoltori, aprendo spazi all’azione di gruppi armati con agende politiche precise. Quella del Sahel degli ultimi dieci anni è sì una storia di contrasti frequenti ma sembra anche essere l’epilogo di esperienze di abbandono da parte dei governi centrali e di un’incapacità di fondo anche della stessa comunità internazionale di riportare la pace e innescare un processo virtuoso di sviluppo. Certo, non riguarda tutti i Paesi (il Senegal pur con le sue contraddizioni, ne è un esempio) ma la lista dei passi indietro è lunga e dolorosa.

Se, dunque, nel Sahel questo assioma carenza d’acqua-migrazioni è evidente, meno evidente potrebbe sembrare in un contesto ricco d’acqua come la Repubblica democratica del Congo. Eppure così è, come ha sottolineato Isaac Penda Haliza, ricercatore congolese dell’Università Cheikh Anta Diop di Dakar, intervenendo a un panel organizzato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) al Forum mondiale dell’acqua tenuto nella capitale senegalese.

Penda Haliza ha in particolare fatto gli esempi di due villaggi della provincia congolese del Nord Kivu, Makama e Kiliba, i cui abitanti fino a 10 anni fa vivevano quasi esclusivamente di pesca. “Negli ultimi 10 anni – ha spiegato il ricercatore congolese – le attività minerarie legali e illegali si sono moltiplicate nell’area causando un repentino inquinamento delle acque e privando in questo modo le popolazioni locali del loro sostentamento e delle loro attività tradizionali”.

Il panel, ha sottolineato a sua volta parlando con Oltremare Paolo Enrico Sertoli, titolare della sede Aics di Maputo e moderatore dell’incontro, ha avuto l’obiettivo di fornire un quadro di massima sulla connessione migrazioni-acqua in ambito rurale ed è stato affrontato on rappresentanti della società civile, accademici, rappresentanti di istituzioni come Fao e Ocse.

“La questione dell’accesso alla risorsa idrica come possibile causa per fenomeni migratori – è un tema affrontato dalla Cooperazione italiana in alcuni contesti, in particolare nel contesto saheliano che è una delle regioni prioritarie di azione per Aics. Nel corso del 2017 è stato pubblicato un documento in collaborazione con altri enti che analizzava proprio le variabili che portano la popolazione a migrare da un Paese all’altro o all’interno dello stesso Paese, e uno dei fattori che era stato investigato era la gestione delle risorse naturali quindi l’accesso fisico ed economico alle risorse naturali come possibile causa dei fenomeni migratori”.

Proprio sulla gestione delle acque un segnale importante è arrivato a Dakar dalla decisione di attribuire il premio Hassan II sull’acqua all’Organizzazione per la messa in valore del fiume Senegal (Omvs). D’altra parte era stato lo stesso Loic Fauchon, presidente del Consiglio mondiale dell’acqua, in apertura dei lavori a fornire un filo conduttore importante: “ “No alle guerre dell’acqua, sì alla pace dei fiumi”. E in un Sahel dove i fiumi più importanti spesso segnano i confini tra due nazioni o comunque attraversano più Paesi, la loro gestione condivisa assume una rilevanza particolare. Da questo punto di vista, l’Africa è stata certamente protagonista mettendo in mostra le sue storie di successo nella gestione di bacini idrici importanti che toccano più Paesi e che proprio per questo motivo richiedono forme di cooperazione allargate.

Una di queste storie è legata proprio all’Omvs, organizzazione creata nel 1972 a Nouakchott, che riunisce quattro Paesi: Guinea, Mali, Mauritania e Senegal. “La forza di questa cooperazione – spiega a Oltremare Amadou Lamine Ndiaye, direttore dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile all’interno di Omvs – è quella di aver trasformato il fiume Senegal e un’area di circa 300 mila chilometri quadrati corrispondenti al bacino idrografico del fiume in un bene comune di questi quattro Paesi. Ciò significa che le infrastrutture, come per esempio le dighe, che ricadono in questo ambito territoriale non sono di quel Paese che le ospita ma sono di tutti i Paesi aderenti all’Omvs. Di volta in volta, secondo precisi criteri, si stabiliscono quindi le quote di acqua, energia prodotta, pescato che spettano a ciascuno”. Un’esperienza che è stata premiata in apertura del Forum con il Premio Hassan II per l’acqua e che ha fatto da apripista ad altre esperienze simili.

“In una regione come il Sahel che soffre di siccità e aridità gestire le acque dei fiumi in maniera consapevole, sostenibile e coordinata è di fondamentale importanza per i Paesi rivieraschi e per le comunità che poi vivono lungo il fiume” prosegue Ndiaye.

Negli anni Omvs ha spinto il suo lavoro lungo alcune direttrici che hanno consentito la realizzazione di opere per regolare il corso dell’acqua ed evitare quindi le esondazioni. Sono stati realizzati diversi sbarramenti per la produzione di energia elettrica e si sono fatti lavori per la trasmissione dell’energia prodotta. Sono state realizzate centrali per la fornitura di elettricità nelle aree rurali. Sono stati messi a punto meccanismi di governance che oggi vengono presi a modello da organizzazioni simili sorte per la gestione di altri bacini.

“Un approccio inclusivo e condiviso – conclude Ndiaye – che ha consentito uno sviluppo regionale legato all’uso delle acque del Senegal e che ha da sempre evitato situazioni di conflitto nella consapevolezza che l’acqua è appunto un bene comune delle comunità di quest’area”.

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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