SDG#6, serve fare di più per l’acqua
Intervista con Henk Ovink, inviato speciale per l’acqua della diplomazia olandese e superconsulente delle Nazioni Unite sul tema sicurezza idrica. «La cooperazione deve capire che l’acqua è l’evento chiave del cambiamento climatico. Serve lavorare sulla sicurezza idrica per preservare la pace».
Il nostro futuro dipende all’acqua. E se la sicurezza idrica sta peggiorando in tutto il mondo, dopo anni di progressi, significa mettere a rischio i tantissimi progressi fatti nello sviluppo sostenibile in questi anni. Che cosa ha cambiato le carte? Principalmente gli effetti negativi del cambiamento climatico. Che ci allontanano sempre di più dal raggiungimento del SDG #6, quello sulla sicurezza idrica. Per questa ragione l’Olanda, che da sempre vive in stretta simbiosi con i due atomi di idrogeno e uno di ossigeno più preziosi dell’universo, ha creato un inviato speciale con ruolo diplomatico per lavorare a stretto contatto con ONU e cooperazione internazionale sul tema “acqua”. Dalla climate resilience a New York fino a progetti di gestione intelligente nel sud est asiatico con il progetto Water As Leverage, Henk Ovink, Special Envoy for International Water Affairs for the Kingdom of the Netherlands, da quattro anni viaggia in tutto il mondo per sviluppare progetti, creare consapevolezza sul tema e lavorare con diplomazia e tecnici per trovare soluzioni innovative, sistemiche e circolari per invertire la rotta e permettere il raggiungimento del SDG#6. Oltremare l’ha raggiunto mentre era in viaggio di ritorno dall’Asia.
La situazione globale dell’acqua sta peggiorando a causa di un aumento della domanda e una diminuzione della disponibilità dovuta a inquinamento e impatti del cambiamento climatico. Lei è uno dei principali osservatori globali sui fenomeni idrici. Stiamo davvero facendo passi indietro sul tema?
Ogni anno presso l’High Level Political Forum si svolge un’analisi approfondita di alcuni SDG. Nel 2018, uno degli obiettivi da rivedere è stato l’SDG 6 – acqua e servizi igienico-sanitari. Per fornire input agli Stati membri su questo obiettivo, UN-Water ha prodotto il Rapporto di sintesi SDG-6 2018 su acqua e igiene (disponibile qui, nda) a cui il mio ufficio ha contribuito. Dunque un documento che rappresenta una posizione comune della famiglia delle Nazioni Unite. Purtroppo il messaggio che emerge è che siamo fuori strada rispetto agli obiettivi preposti. Oggi 780 milioni di persone non hanno ancora accesso ad acqua potabile e servizi igenico-sanitari e a causa del cambiamento climatico la situazione sta peggiorando. Una situazione preoccupante.
Il 40% delle persone è colpito da scarsità idrica e oltre 700 milioni di persone sono a rischio di essere sradicate da propri territori da crisi idriche entro il 2030. Quali azioni vanno intraprese?
Il problema è che l’acqua non è una risorsa con un unico focus. Si correla alla sicurezza energetica, alla salute, all’agricoltura, allo sviluppo economico, alla biodiversità ambientale e cosi via. Questa complessità e questo livello di interdipendenza tra settori significa che se la risorsa non viene gestita correttamente in ogni suo aspetto, gli impatti negativi sono esponenziali. Detto questo è difficile elencare cosa si può fare per intervenire. Sono problemi complessi che richiedono un approccio inclusivo e integrato. Questo dobbiamo capire innanzitutto: non c’è una formula magica per salvare il pianeta, ma una strategia complessa a multi livello.
Per prendere decisioni cogenti serve buona informazione: noi disponiamo di dati completi e attendibili?
Si e no. Non sono mai abbastanza vista la complessità della sfida, che cambia nel tempo, e che per questo offre una visione molto parziale e cristallizzata. Allo stesso tempo abbiamo sufficienti dati e informazioni per agire. Quello che spesso manca è un modo di comprendere i dati e farne buon uso creando e una narrativa, una strategia per agire. E penso che questa sia esattamente una delle cose su cui ho cercato di lavorare: non solo per ottenere più dati e di maggiore qualità, ma per trovare un significato d’uso per quei dati nel contesto operativo nelle partnership di cooperazione e sviluppo. In secondo luogo per sviluppare una narrativa dell’azione serve costruire una coalizione di soggetti per garantire che quell’azione abbia un seguito e venga replicata in scala. Ad esempio in Africa abbiamo un’iniziativa per proteggere la blue peace impiegando immagini satellitari che ci mostrano in tempo reale quali sono le aree più vulnerabili. Oltre i dati però è importante riunire tutti gli stakeholder in questa iniziativa di sicurezza. Senza l’organizzazione del processo i dati sono inutili.
Quali sono gli obiettivi del suo ufficio di ambasciatore per l’acqua?
Quando ho assunto il mio ruolo di Inviato Speciale per l’Acqua, quattro anni fa, uno dei primi obiettivi è stato aumentare la consapevolezza e la comprensione dei temi idrici. Oltre che fare disseminazione con leader, industriali, educatori, creiamo consapevolezza attraverso la ricerca finalizzata alla compresione globale dei fenomeni idrici e tutte le interdipendenze interconnesse. La nostra ricerca è contenuta in una pubblicazione dal titolo Geography of Future Water Challenge.
Il secondo obiettivo è fornire supporto e aiuti durante grandi disastri. Noi aiutiamo governi, imprese e città a governare l’emergenza e a essere preparati a scenari futuri di incertezza.
Il terzo è legato all’innovazione: servono tecnologie e pratiche per trovare approcci innovativi per fare grandi passi in avanti. Possono essere nuove strategie di finanziamento, nuove reti, sistemi basati sui dati raccolti per migliorare il water-management che possano essere replicati a grande scala.
Infine abbiamo contribuito alla creazione del High Level Panel on Water che per due anni ha lavorato per definire le sfide globali inerenti l’acqua lanciando una New Agenda for Water Action.
Insicurezza idrica significa instabilità politica. Siamo di fronte a una fase di water grabbing, di corsa all’accaparramento delle risorse idriche?
L’acqua è al cuore della vulnerabilità climatica. Se vogliamo lavorare sulla sicurezza internazionale dobbiamo partire dall’acqua. Inoltre quando pensiamo al boom di dighe dobbiamo tenere da conto gli impatti politici che questi investimenti miliardari possono avere. È un’epoca di grandi sfide, che richiedono soluzioni condivise e non partigiane.