Sud Sudan anno zero
Nello Stato più giovane al mondo, indipendente dal 2011, i civili restano in ostaggio della guerra. Bisogna affrontare l’emergenza profughi ma c’è anche chi punta sulla formazione, come l’ong missionaria Medici con l'Africa Cuamm. Cominciando dalle ostetriche perché, prima di tutto, vengono le mamme e i bambini.
“I am very proud” esclama Amina Jubara Mohammed, mostrando il registro con i nomi delle nuove ammesse. Siamo a Rumbek, nel cuore geografico del Sud Sudan, il Paese più giovane al mondo che però ha la guerra in casa da una vita. Amina ha 25 anni. Attorno a lei, nel reparto maternità dell’ospedale, altre giovani con il camice bianco. “I am very happy and proud” ripete, spiegando il motivo di quella “felicità” e di quell’“orgoglio”: “Finalmente posso dare un contributo per il mio Paese, per migliorare la situazione e dare un futuro anche a mio fratello e alla mia famiglia”. Amina è originaria dei Monti Nuba, una regione contesa al confine tra Sudan e Sud Sudan, dove il mondo arabo incontra l’Africa nera. La guerra l’ha spinta a fuggire fino a Lui, dove è arrivata insieme con il fratello e una valigia riempita in fretta.
Poi qualcosa è cambiato. Dal 2014 al 2017 ha frequentato un corso per ostetriche e oggi è una delle 20 sud-sudanesi diplomate grazie al sostegno dei volontari di Medici con l’Africa Cuamm. La sua storia a Oltremare la racconta don Dante Carraro, direttore della ong missionaria, nata a Padova nel 1950 con l’impegno di arrivare “fino all’ultimo miglio”, sostenendo le comunità subsahariane più isolate e bisognose. E quale Paese ha più bisogno del Sud Sudan? Divenuto indipendente da Khartoum dopo una guerra ultraventennale, è sprofondato in un nuovo conflitto alla fine del 2013, con lo scontro tra i reparti scelti del presidente Salva Kiir e quelli fedeli al suo ex vice Riek Machar.
“Dobbiamo difendere un diritto umano fondamentale” spiega don Carraro: “Quello a non essere abbandonati”. C’è anzitutto l’emergenza, documentata dalle statistiche del conflitto: decine di migliaia di morti e oltre due milioni di sfollati e rifugiati. Con il sostegno dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), nei prossimi mesi il Cuamm effettuerà nuovi interventi a Nyal, nelle paludi lungo il Nilo, dove stanno sorgendo centri di prima assistenza e dovrebbe essere completata una sala operatoria con farmaci, apparecchiature e personale qualificato.
I medici, appunto: quelli che il Sud Sudan non ha, ma che serviranno prima e dopo la fine della guerra. “Bisogna coltivare le persone” riprende don Carraro. “Amina e le altre ci chiedono questo: aiutateci a non scappare, aiutateci a non partire”. La formazione di medici, in collaborazione con le autorità sanitarie locali, è il segno distintivo dei progetti del Cuamm. Con la guerra, però, in Sud Sudan ci sono difficoltà aggiuntive: lo Stato con il quale bisognerebbe collaborare spesso non c’è. I fronti del conflitto sono sempre più difficili da individuare e tendono anzi a sovrapporsi. Soldati di etnia dinka fedeli a Kiir contro milizie nuer legate a Machar, ma non solo. “Il conflitto si è moltiplicato e frammentato e nessuna zona può dirsi tranquilla” spiega Chiara Scanagatta, coordinatrice del Cuamm in Sud Sudan, durante un incontro a Roma dedicato all’emergenza. “Vicino all’ospedale di Lui, le Nazioni Unite non capivano chi erano gli sfollati e chi era invece a casa propria; alla fine hanno deciso di considerarli tutti sfollati, nella convinzione che se non lo sono lo saranno”.
L’emergenza, appunto. Quella che la Cooperazione italiana sta affrontando con nuovi bandi e progetti, si tratti di nutrizione o salute. Uno degli impegni riguarda le comunità che ospitano i profughi, come in Uganda, dove i sud-sudanesi sono oltre un milione. L’altra direttrice di intervento è “l’inclusione dei minori”, cartina tornasole dello stato di salute di un Paese e riferimento essenziale del WeWorld Index 2018, un rapporto globale costruito sulla base di 34 indicatori. Con un punteggio di -119, il Sud Sudan è agli ultimi posti in classifica, con un livello di esclusione “gravissimo”: peggio stanno solo Mali, Ciad e Repubblica Centrafricana. Per capire basta leggere i dati sulla mortalità materna, 789 decessi ogni 100mila nati vivi, o su quella infantile, 93 ogni mille. Ecco perché sono importanti le ostetriche degli ospedali di Lui e di Rumbek, la città di monsignor Cesare Mazzolari, comboniano, sostenitore storico dell’indipendenza del Sud dal governo islamista di Khartoum.
Poi c’è la pace, lontana ma non impossibile. Durante l’incontro romano ne parla Giuseppe Mistretta, direttore alla Farnesina per i Paesi subsahariani. “L’Italia è vice-presidente del Forum dei partner dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, uno spazio inclusivo che riunisce 35 Paesi, con anche l’Unione Africana” spiega. Convinto che, nonostante nuovi fronti, defezioni e ribelli, “il lavoro diplomatico può dare frutti”.