Swaziland, gli ambulatori itineranti per battere l’AIDS
Reportage dal Paese con il tasso di diffusione dell’hiv più elevato al mondo. Dove il governo, però, è riuscito a ottenere primi risultati puntando sulle terapie anti-retrovirali e l’accesso gratuito alle cure. Senza dimenticare gli orfani, affidati ai nonni e alle nonne perché i padri e le madri non ci sono più.
Likhwa Mkhabela si mette in posa davanti alla porta di casa, legno azzurro che risalta sulla maglietta scolorita. Al confronto pure Hulk, Iron Man e gli altri supereroi Avengers appaiono incerti. Lui guarda l’obiettivo, poi lontano puntando l’orizzonte: “Voglio finire la scuola e andare al college, in città”. Likhwa ha 16 anni ed è orfano da dieci: “I miei genitori vivevano qui” spiega indicando la baracca accanto alla casa di mattoni con la porta azzurra: “Un giorno se li vennero a prendere; mi hanno spiegato che erano stati uccisi dall’aids ma non mi hanno saputo dire dove fossero sepolti”.
Una storia come tante altre a Siteki, nel regno di Swaziland, ribattezzato ufficialmente Eswatini in omaggio alla lingua dei padri. Attorno al villaggio le colline degradano verso il Mozambico e i campi di granturco seccano al sole. E’ una terra di orfani: la pandemia ha ucciso migliaia di persone e oggi il tasso di diffusione dell’hiv resta il più elevato al mondo. Dentro la baracca, appese a un muro, ci sono due fotografie. Ritraggono la madre di Likhwa, sorridente, e la nonna: si chiama Ndombi, ha 71 anni e da dieci si prende cura dei quattro nipoti. I loro genitori se ne sono andati uno dopo l’altro.
“Qual è il mio sogno? Finire la scuola e andare al college, superare l’esame e diventare infermiera” risponde una delle nipoti, Sincobile, muovendo appena le labbra sotto i ricci neri. Accanto sorridono i cugini piccoli che l’aids ha reso suoi fratelli. Mostra l’uniforme scolastica, sapendo che in qualche modo è fortunata: non ha contratto il virus nonostante anche la nonna riesca a tirare avanti e a curare l’orto solo grazie ai farmaci anti-retrovirali che le sono somministrati nel centro di salute di Siteki.
Sì, perché nel villaggio qualcosa sta cambiando. “Mi hanno aiutato ad acquistare la divisa e pagano tasse e libri scolastici” racconta Sincobile. La sua è una delle famiglie senza genitori sostenute da Sos Children’s Villages, in italiano Sos Villaggi dei bambini, una ong che opera in 135 Paesi a sostegno dei diritti dell’infanzia e in particolare degli orfani. Sono loro gli abitanti di Siteki, non solo case famiglia ma anche il centro di salute, gestito in collaborazione con le autorità locali. “Garantiamo la terapia a tutte le mamme sieropositive prima, durante e dopo il parto” spiega l’infermiera Nduwela Mavuso: “I loro bambini li seguiamo almeno fino ai cinque anni di vita, impegnandoci a contrastare il fenomeno dei ‘defaulters’, coloro che abbandonano la cura anti-retrovirale perché non sono stati informati e vivono nelle aree più remote”.
L’accesso gratuito ai farmaci è da oltre dieci anni il cuore della strategia dello Swaziland contro la degenerazione della sindrome da immunodeficienza acquisita. Dopo i primi contagi nel 1986, la crisi si era aggravata fino a colpire 230mila persone, un quarto della popolazione nazionale. Secondo l’Onu, ancora nel 2016 i decessi provocati da malattie connesse all’aids sono stati 3034. Nello stesso anno, quasi il 29 per cento della popolazione di età compresa tra i 15 e i 49 anni era affetta dall’hiv. Secondo il governo dello Swaziland, però, nel complesso c’è stata un’inversione di tendenza.
“Tra il 2011 e il 2016 l’incidenza si è ridotta del 45 per cento” spiega Simon Zwane, primo segretario del ministero della Sanità. “Stiamo puntando sulla prevenzione, l’educazione sessuale e la salute riproduttiva, concentrandoci sulle adolescenti e le giovani nelle aree più colpite”. Pur criticato per il sostegno agli stili di vita tradizionali e patriarcali, simboleggiati dalla poligamia e non dalle pratiche contraccettive, il re Mswati III ha favorito la cooperazione con gli organismi dell’Onu e le ong specializzate.
A Siteki alcune delle infermiere del centro sono stipendiate dallo Stato, altre da Sos Children’s Villages attraverso i donatori internazionali e le adozioni a distanza.
“La nostra priorità sono gli orfani, il volto di un’emergenza che continua nonostante i progressi degli ultimi anni nella lotta all’aids” sottolinea Loretta Mkhonta, la direttrice nazionale dell’ong. Per capire che le cose stiano davvero così basta bussare alla porta dell’asilo o di una delle 12 case famiglia di Siteki, dove chi ha perso entrambi i genitori ora cresce con una madre accanto. “Con me siamo in nove” sorride Faith Vilakati, 45 anni. Tiene in braccio il piccolo Piswati e fuori dal conto invece i figli naturali, che ormai sono maggiorenni e studiano al college. In casa si lavano i piatti a turno, nelle stanze ci sono i letti a castello, sulle mensole libri di scuola e trofei sportivi. Nel villaggio sono accolti anche bambini che hanno subito violenze e che non è possibile reinserire nelle famiglie d’origine. In tutto sono 120, ognuno con la sua nuova mamma. Una goccia nel mare degli orfani dello Swaziland, ma anche il legame indispensabile tra passato e futuro.
C’è poi un progetto nuovo, che dovrebbe partire nei prossimi mesi. Il termine tecnico è “mobile unit”, cioé ambulatorio itinerante. “E’ stato sperimentato in altre regioni dello Swaziland ma non qui” spiega Nokhutula Dube, la responsabile del presidio medico di Siteki: “Permetterà di portare farmaci anti-retrovirali, test e monitoraggio sanitario anche nei villaggi più lontani”.