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Dopo i primi contagi nel 1986, la crisi si era aggravata fino a colpire 230mila persone, un quarto della popolazione dello Swaziland

Swaziland, gli ambulatori itineranti per battere l’AIDS

Reportage dal Paese con il tasso di diffusione dell’hiv più elevato al mondo. Dove il governo, però, è riuscito a ottenere primi risultati puntando sulle terapie anti-retrovirali e l’accesso gratuito alle cure. Senza dimenticare gli orfani, affidati ai nonni e alle nonne perché i padri e le madri non ci sono più.

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Likhwa Mkhabela si mette in posa davanti alla porta di casa, legno azzurro che risalta sulla maglietta scolorita. Al confronto pure Hulk, Iron Man e gli altri supereroi Avengers appaiono incerti. Lui guarda l’obiettivo, poi lontano puntando l’orizzonte: “Voglio finire la scuola e andare al college, in città”. Likhwa ha 16 anni ed è orfano da dieci: “I miei genitori vivevano qui” spiega indicando la baracca accanto alla casa di mattoni con la porta azzurra: “Un giorno se li vennero a prendere; mi hanno spiegato che erano stati uccisi dall’aids ma non mi hanno saputo dire dove fossero sepolti”.

Una storia come tante altre a Siteki, nel regno di Swaziland, ribattezzato ufficialmente Eswatini in omaggio alla lingua dei padri. Attorno al villaggio le colline degradano verso il Mozambico e i campi di granturco seccano al sole. E’ una terra di orfani: la pandemia ha ucciso migliaia di persone e oggi il tasso di diffusione dell’hiv resta il più elevato al mondo. Dentro la baracca, appese a un muro, ci sono due fotografie. Ritraggono la madre di Likhwa, sorridente, e la nonna: si chiama Ndombi, ha 71 anni e da dieci si prende cura dei quattro nipoti. I loro genitori se ne sono andati uno dopo l’altro.

“Qual è il mio sogno? Finire la scuola e andare al college, superare l’esame e diventare infermiera” risponde una delle nipoti, Sincobile, muovendo appena le labbra sotto i ricci neri. Accanto sorridono i cugini piccoli che l’aids ha reso suoi fratelli. Mostra l’uniforme scolastica, sapendo che in qualche modo è fortunata: non ha contratto il virus nonostante anche la nonna riesca a tirare avanti e a curare l’orto solo grazie ai farmaci anti-retrovirali che le sono somministrati nel centro di salute di Siteki.

Sì, perché nel villaggio qualcosa sta cambiando. “Mi hanno aiutato ad acquistare la divisa e pagano tasse e libri scolastici” racconta Sincobile. La sua è una delle famiglie senza genitori sostenute da Sos Children’s Villages, in italiano Sos Villaggi dei bambini, una ong che opera in 135 Paesi a sostegno dei diritti dell’infanzia e in particolare degli orfani. Sono loro gli abitanti di Siteki, non solo case famiglia ma anche il centro di salute, gestito in collaborazione con le autorità locali. “Garantiamo la terapia a tutte le mamme sieropositive prima, durante e dopo il parto” spiega l’infermiera Nduwela Mavuso: “I loro bambini li seguiamo almeno fino ai cinque anni di vita, impegnandoci a contrastare il fenomeno dei ‘defaulters’, coloro che abbandonano la cura anti-retrovirale perché non sono stati informati e vivono nelle aree più remote”.

 

L’accesso gratuito ai farmaci è da oltre dieci anni il cuore della strategia dello Swaziland contro la degenerazione della sindrome da immunodeficienza acquisita. Dopo i primi contagi nel 1986, la crisi si era aggravata fino a colpire 230mila persone, un quarto della popolazione nazionale. Secondo l’Onu, ancora nel 2016 i decessi provocati da malattie connesse all’aids sono stati 3034. Nello stesso anno, quasi il 29 per cento della popolazione di età compresa tra i 15 e i 49 anni era affetta dall’hiv. Secondo il governo dello Swaziland, però, nel complesso c’è stata un’inversione di tendenza.

“Tra il 2011 e il 2016 l’incidenza si è ridotta del 45 per cento” spiega Simon Zwane, primo segretario del ministero della Sanità. “Stiamo puntando sulla prevenzione, l’educazione sessuale e la salute riproduttiva, concentrandoci sulle adolescenti e le giovani nelle aree più colpite”. Pur criticato per il sostegno agli stili di vita tradizionali e patriarcali, simboleggiati dalla poligamia e non dalle pratiche contraccettive, il re Mswati III ha favorito la cooperazione con gli organismi dell’Onu e le ong specializzate.

A Siteki alcune delle infermiere del centro sono stipendiate dallo Stato, altre da Sos Children’s Villages attraverso i donatori internazionali e le adozioni a distanza.

“La nostra priorità sono gli orfani, il volto di un’emergenza che continua nonostante i progressi degli ultimi anni nella lotta all’aids” sottolinea Loretta Mkhonta, la direttrice nazionale dell’ong. Per capire che le cose stiano davvero così basta bussare alla porta dell’asilo o di una delle 12 case famiglia di Siteki, dove chi ha perso entrambi i genitori ora cresce con una madre accanto. “Con me siamo in nove” sorride Faith Vilakati, 45 anni. Tiene in braccio il piccolo Piswati e fuori dal conto invece i figli naturali, che ormai sono maggiorenni e studiano al college. In casa si lavano i piatti a turno, nelle stanze ci sono i letti a castello, sulle mensole libri di scuola e trofei sportivi. Nel villaggio sono accolti anche bambini che hanno subito violenze e che non è possibile reinserire nelle famiglie d’origine. In tutto sono 120, ognuno con la sua nuova mamma. Una goccia nel mare degli orfani dello Swaziland, ma anche il legame indispensabile tra passato e futuro.

C’è poi un progetto nuovo, che dovrebbe partire nei prossimi mesi. Il termine tecnico è “mobile unit”, cioé ambulatorio itinerante. “E’ stato sperimentato in altre regioni dello Swaziland ma non qui” spiega Nokhutula Dube, la responsabile del presidio medico di Siteki: “Permetterà di portare farmaci anti-retrovirali, test e monitoraggio sanitario anche nei villaggi più lontani”.

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