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Uganda: Un Modello di Resilienza e Integrazione nella Gestione dei Rifugiati

In missione per monitorare alcune iniziative di emergenza finanziate da AICS: l’Uganda si distingue come un esempio straordinario di accoglienza e integrazione dei rifugiati, affrontando con determinazione una delle questioni migratorie più complesse al mondo.

Quando si parla di migrazioni, si parla di un tema complesso. Questo fenomeno così complesso, che caratterizza da sempre la storia umana, ha un impatto significativo su luoghi, persone e stati. L’esperienza Ugandese però rappresenta un esempio di accoglienza e integrazione di successo, che l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ha supportato attraverso diverse iniziative di risposta all’emergenza.

Partiamo dal contesto. Dal 2015, l’Uganda ha sostenuto una politica di “porte aperte”, facilitando l’ingresso delle persone migranti.  Negli ultimi undici anni, il Paese ha accolto circa 1.700.000 rifugiati, provenienti da Sudan, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Burundi e, in misura minore, Etiopia. Una delle aree più interessate da questo fenomeno è il distretto di Adjumani, in cui circa 235.000 rifugiati vivono accanto a 215.000 residenti locali, superando numericamente la popolazione ospitante. Certamente le sfide non mancano, da un lato a causa della fragilità sociale dei Paesi di origine e dall’altro a causa della carenza di servizi di base e opportunità economiche.

Il mercato di Magburu

Proprio su questi ultimi aspetti si concentra l’azione di AICS, attraverso finanziamenti dati ad organizzazioni della società civile operanti da decenni sul territorio. Eccone alcune che abbiamo visitato:

Infrastrutture Vitali a Magburu

L’organizzazione Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo (C&D) ha costruito infrastrutture essenziali nel settlement di Magburu, tra cui un mercato, tre pozzi e due bacini d’acqua. Questi interventi hanno permesso di garantire accesso a risorse fondamentali, preparando il territorio ad accogliere un numero crescente di rifugiati.

Formazione per il Futuro a Lira

Foto di gruppo presso l’Alito Vocational Training Institute

Presso l’Alito Vocational Training Institute, supportato dalla diocesi e da C&D, rifugiati e membri delle comunità locali ricevono formazione in apicoltura e salute animale. Al termine dei corsi, i partecipanti ottengono certificazioni che aumentano le loro opportunità di reddito. Un focus particolare è rivolto alle donne, che rappresentano il cuore del cambiamento economico in queste comunità.

Sviluppo Agricolo a Obongi

Uno dei giovani rifugiati che hanno assistito alle attività di formazione

Con il supporto dell’organizzazione Azione Contro la Fame (ACF), i rifugiati e le comunità locali hanno avviato un progetto di produzione agricola sostenibile, attraverso il block farming[1]. Qui, le donne giocano un ruolo centrale, rappresentando oltre la metà dei beneficiari. Questa iniziativa non solo migliora la sicurezza alimentare della popolazione, ma favorisce anche l’autosufficienza economica della comunità.

La Lezione dell’Uganda: Oltre l’Emergenza

Le visite sul campo raccontano storie di resilienza e rinascita e mostrano l’importanza del nesso tra progetti di emergenza e progetti di sviluppo. Abbiamo potuto ascoltare molte storie di successo. Ad esempio, un ragazzo rifugiato, grazie alle competenze acquisite in agricoltura climate smart, ha avviato un orto che ha migliorato le condizioni economiche della sua famiglia, permettendogli di acquistare una macchina da cucire per la moglie e animali da cortile. Un altro giovane, formato come esperto in salute animale, è diventato un riferimento per la sua comunità, dimostrando come la formazione possa trasformare vite e generare impatti duraturi.

Cattle Camp di Adjumani

Questi esempi dimostrano l’efficacia di un approccio integrato che non solo risponde all’emergenza, ma investe anche nella creazione di resilienza e autosufficienza, con risultati tangibili che si riflettono anche a distanza di anni dalla conclusione dei progetti. Questo è un aspetto fondamentale, considerando il rischio di dipendenza dagli aiuti umanitari a lungo termine: oltre a rispondere alle necessità di base delle comunità, investire nelle competenze delle persone e coinvolgere attivamente le comunità ospitanti sono passi fondamentali per promuovere ottenere risultati duraturi. Progetti come quelli realizzati ad Adjumani mostrano come lo sviluppo economico e sociale possa diventare una risposta sostenibile alle sfide migratorie.

[1] Il block farming è un modello di produzione agricola organizzata in cui un gruppo di agricoltori, comunità o organizzazioni lavora insieme su un grande appezzamento di terreno condiviso, spesso suddiviso in blocchi o lotti, per coltivare una specifica coltura. Questo approccio è particolarmente utilizzato per migliorare l’efficienza, ottimizzare le risorse e garantire una maggiore resa agricola rispetto all’agricoltura individuale su piccola scala.
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