Un’Africa più digitale, equa e all’avanguardia
Accanto allo sviluppo umano degli ultimi dieci anni ad avere avuto un impatto significativo e positivo sulla vita delle persone nel continente africano sono state le nuove tecnologie, in particolare quelle legate alla telefonia mobile. Lo spiega un esperto di Banca Mondiale
Sono state le nuove tecnologie digitali a imprimere una svolta allo sviluppo del continente africano negli ultimi anni. Ne è convinto Andrew Dabalen, capo economista per l’Africa subsahariana di Banca Mondiale. In un’intervista al mensile Africa e Affari, Dabalen ha sottolineato che accanto a uno sviluppo umano importante – più ampio accesso alla scuola, maggiore parità di genere, drastica riduzione della mortalità infantile – negli ultimi dieci anni ad avere un impatto significativo e positivo sono state le tecnologie, in particolare quelle legate alla telefonia mobile.
Le tecnologie digitali, ha spiegato Dabalen, hanno avuto effetti positivi enormi sul settore bancario e quindi sull’inclusione finanziaria di quella parte della popolazione che sta alla base della piramide sociale e che finora non ha avuto accesso a quegli strumenti utili per agevolare lo sviluppo e la creazione di lavoro. Con il mobile banking, le persone che si trovano in aree remote e che in passato non sarebbero state in grado di avere accesso alle normali operazioni bancarie, ora ne hanno la possibilità. Le tecnologie digitali, inoltre, hanno apportato grandi trasformazioni nel settore delle comunicazioni (scavalcando le limitazioni dettate dalle linee fisse), nella fornitura di servizi relativi al settore sanitario o a quello educativo, o ancora, per esempio, nel collegare gli agricoltori ai loro clienti.
Certo, la strada da percorrere resta lunga. A fronte dei progressi fatti, ci sono aspetti legati alle tecnologie digitali che necessitano di un approfondimento sostanziale. “La tecnologia – ha aggiunto Dabalen – è stata usata intensamente nel settore finanziario e anche nella comunicazione, ma, a ben vedere, se l’84% degli africani vive in un’area in cui c’è accesso alla tecnologia G3 o G4, solo il 22% di questi ne fa uso. Quindi c’è un grande divario tra l’accesso o la copertura e l’utilizzo, e presumibilmente uno dei nodi principali nei prossimi anni sarà l’espansione dell’uso produttivo di queste tecnologie”, spiega ancora l’economista.
Tecnologie non fini a se stesse e spesso collegate ad altre innovazioni, come quelle che consentono l’accesso alle fonti di energia rinnovabili. Sono diversi gli esempi in Africa di mini grid, ovvero di di isole energetiche staccate dalla rete nazionale che consentono di avere energia prodotta da pannelli solari e che i singoli utenti possono usare pagando attraverso contatori smart e applicazioni telefoniche, rendendo tutto sostenibile e non dipendente da aiuti esterni. In alcuni casi questi progetti hanno visto protagonista anche l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics). Proprio un progetto finanziato da Aics e condotto sul campo dall’Istituto per la cooperazione universitaria (Icu), un’organizzazione non governativa italiana, ha fatto sì che il mercato di Gitaza in Burundi si accendesse di energia verde. L’arrivo della corrente elettrica ha trasformato in breve tempo la vita di questa comunità di pescatori che si trova sulle rive del lago Tanganica, una trentina di chilometri a sud di Bujumbura, lungo la strada che dal Burundi arriva in Tanzania. E l’ha trasformata grazie all’uso di nuove tecnologie digitali ed energie rinnovabili, in un mix pensato innanzitutto per le attività commerciali e che a cascata ha prodotto maggiore benessere per tutti.
“Contrariamente alle tecnologie digitali, le rinnovabili necessitano di grossi investimenti” dice ancora nell’intervista Dabalen, ma “francamente, parlando del mix energetico e delle fonti a cui attingere, non penso che l’Africa abbia davvero scelta se non spostarsi verso le energie rinnovabili perché il mondo intero si sta muovendo in quella direzione. Ed è importante muoversi in anticipo o comunque insieme agli altri perché sarà un’area molto importante e promettente per il progresso tecnologico e l’innovazione”.
Secondo Dabalen, di fronte alle grandi sfide che attendono il continente, in particolare quelle legate alla crescita demografica, serviranno nuovi patti di collaborazione tra Africa ed Europa che tengano conto sì delle sfide ma anche delle opportunità. E tra queste, ci sono appunto quelle fornite dalle nuove tecnologie, che richiedono uno sforzo comune per cercare di migliorare le competenze e il capitale umano delle popolazioni. Qui entra in gioco la collaborazione e la capacità di massimizzarne il valore attirando investimenti in modo tale che il capitale si sposti verso le persone e non viceversa. “Penso che l’Europa possa diventare un partner importante per i Paesi africani – prosegue il capo economista di Banca mondiale – perché il vero aumento della popolazione in età lavorativa nei prossimi 50 anni si prevede avvenga in Africa e questa potrà essere una risorsa non solo per il continente, ma per il mondo e soprattutto per l’Europa che le sta di fronte”. Più in particolare, Dabalen ritiene che si possano individuare tre aree di collaborazione con l’Europa. “In primo luogo, penso al trasferimento tecnologico e all’ubicazione delle industrie, per servire tanto l’Europa quanto il continente. In secondo luogo, sarà importante la formazione e questo campo richiederà un forte coordinamento e azioni da condurre in maniera ben regolata; ci saranno alcune competenze che saranno necessarie in Europa e che i Paesi africani sono in grado di fornire. Infine, serviranno investimenti, e anche qui c’è bisogno di grande collaborazione”.
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.