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Vanessa Redgrave: “Europa accogli, c’è troppo dolore in questo mare”

Intervista all’attrice inglese, al debutto da regista con Sea Sorrow – Il dolore del mare. Il dovere dell’aiuto e l’orrore delle armi. Prima del Leone d’oro alla carriera.

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“I Paesi europei alimentano la crisi dei rifugiati vendendo armi: è questo il nostro ‘aiuto allo sviluppo’?” Vanessa Redgrave si ferma, guardandoti negli occhi. Aspetta una reazione, una risposta. Quasi la pretende. Prima che torni a sorridere trascorrono secondi che sembrano non finire mai. Una pausa, come mille altre, istinto e arte in 81 anni straordinari, sei candidature agli Oscar, nel 1978 la vittoria con Julia, e ora il Leone d’oro alla carriera che le sarà consegnato alla Mostra del cinema di Venezia al via il 29 agosto. A presentarla al mondo fu Laurence Olivier, alla fine dell’Amleto, sul palcoscenico londinese dell’Old Vic: “È nata una grande attrice, Laerte ha una figlia” disse accanto al padre, Michael Redgrave, che interpretava quel personaggio. Flashback improvvisi ma siamo sempre qui, a Roma, ospiti dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), con l’Europa che minaccia la chiusura delle “frontiere esterne” e cancella l’obbligo di accogliere “quote” di profughi. Redgrave sta presentando il suo primo lavoro da regista, il documentario Sea Sorrow – Il dolore del mare. “Scusami”, riprende, “parlo in modo diretto perché ho pochi mesi da vivere, forse un anno o due: l’Europa, i suoi Paesi e anche la Commissione europea, sta facendo sbagli enormi”.

Sea Sorrow racconta l’emergenza dei rifugiati e i morti nel Mediterraneo suggerendo anche analogie tra il nostro tempo e quello dell’Europa nazifascista della Seconda guerra mondiale. Ci sono testimonianze di chi ha attraversato il mare, di chi lavora nei campi profughi, di chi dall’Europa in fiamme scappò a bordo del kindertransport – come Lord Alf Dubs – e che nonostante diversi tentativi non riuscì a portare in Inghilterra che pochi bambini. Ci sono ricordi e riflessioni personali della regista, con l’angoscia dei bombardamenti su Londra o l’emozione per le parole della Dichiarazione universale dei diritti umani presentata alle Nazioni Unite da Eleonor Roosevelt. C’è infine un monologo de La tempesta affidato a Ralph Fiennes, con Prospero che racconta il suo esilio, non più re ma padre pieno di angoscia.

Signora Redgrave, ma allora l’Europa è colpevole? Quali sono i suoi sbagli?

“L’ho già detto: i Paesi dell’Europa vendono armi alimentando la crisi dei rifugiati. È questo lo ‘sviluppo’? Non penso proprio: forse per qualcuno dei nostri Paesi sì, ma per gli altri no. L’Europa così non va bene: la sua struttura dovrebbe essere riformata completamente, a partire dalla Commissione. Bisogna finirla, e cominciare a rispettare i diritti umani”.

Come si possono aiutare l’Africa e i Paesi in guerra da dove arrivano i profughi?

“Cooperare è giusto, purché non si pensi che sviluppo significhi vendere carri armati o missili. Quello che voglio dire oggi, ancora più di quando abbiamo realizzato Sea Sorrow, è che bisogna rispettare la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati. La stiamo violando, calpestando, e invece bisogna ripartire proprio da quel documento, approvato dopo la sconfitta del fascismo. Ciò che sta accadendo oggi in Europa ci riguarda tutti: dobbiamo capirlo, e riconoscere il nostro passato nelle persone che accogliamo”.

La democrazia dipende da questa capacità?

“Non ci può essere speranza di democrazia se si lasciano morire le persone in mare, nel deserto, sotto i missili, le bombe o i colpi dei cecchini. Avevo due anni quando Londra era bombardata dai nazisti e tutti accoglievano chi era stato costretto a fuggire: perché lo chiedeva il governo, certo, ma non solo”.

L’Europa si salva solo insieme?

“Oggi la democrazia non si può costruire e difendere in un Paese solo. Dipende da tutti, insieme. Penso anche alla vendita delle armi. Esiste, o forse esisteva, un Paese che si chiama Yemen: sarà distrutto completamente perché i nostri governi in Europa vogliono vendere le armi. Ma attenzione: non vogliamo profughi. Non capiamo che in loro risiede l’ultima speranza di democrazia anche per i Paesi da cui scappano. Adesso non possono tornare in una situazione di guerra, con le fazioni in lotta armate dalle grandi potenze. Per questo devono essere integrati in Europa e poter vivere in pace. Solo in un secondo momento potranno tornare nei loro Paesi e il loro contributo potrà essere decisivo per costruire un futuro dopo la guerra. Penso ai profughi palestinesi ma anche a chi è stato costretto a fuggire dalla sua terra in Africa o in Asia. Poi, ripeto, c’è una legge internazionale da rispettare. Non è stata approvata in modo spensierato, ma dopo la Seconda guerra mondiale, dopo milioni di morti”.

 

 

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