2022, un anno chiave per la biodiversità e la cooperazione. Ecco perché
In estate si terrà la Cop15 il negoziato più importante dell’ultima decade sul tema della biodiversità .In arrivo nuove risorse economiche e nuovi obiettivi, che interesseranno direttamente anche la cooperazione internazionale.
Il 2022 sarà un anno chiave per il tema della biodiversità. Il momento clou sarà l’incontro chiave di Kunming in estate (la nuova data sarà annunciata i primi di febbraio, riferisce l’ufficio stampa delle Nazioni Unite). Dopo due anni di ritardi si dovrebbe tenere in Cina la Cop15, quindicesima conferenza della Convenzione per la Biodiversità (Cbd) che ha lo scopo di concludere i lavori negoziali e definire il Post-2020 Global Biodiversity Framework (Gbf). Questo framework Onu dovrà determinare l’azione globale della prossima decade per la tutela della biodiversità e l’implementazione dei due protocolli, il l protocollo di Cartagena sulla biosicurezza (per la protezione della biodiversità dai rischi derivanti dal trasferimento, dalla manipolazione e dall’uso degli organismi geneticamente modificati ottenuti dalle moderne tecniche di biotecnologia) e il protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche e l’equa condivisione dei benefici.
La situazione è tragica. Ad oggi, a due anni di distanza dalla data scelta, nessuno dei 20 target sulla biodiversità fissati ad Aichi nel 2010 sono stati raggiunti. Il negoziato è in stallo e per figure centrali come Partha Dasgupta, economista dell’Università di Cambridge e autore del più importante report sul rapporto tra crisi della biodiversità e sicurezza economica redatto per il governo inglese, non è chiaro se la Cina vorrà avere un ruolo di leadership in questo negoziato. “Spero contro ogni speranza che la Cina assuma un ruolo guida serio in questo. Ha il potere. Ha lo spirito”, afferma Dasgupta in un’intervista a New Scientist, “ma fino ad ora non si sono visti segnali di alcun tipo”.
Il Post-2020 Global Biodiversity Framework ha lo scopo di fissare una serie di target semplificati (ancora in fase di negoziazione) che siano espliciti, misurabili, ambiziosi, realistici e circoscritti nel tempo, precisando le condizioni per favorire un “cambiamento trasformativo”. Ci sono, nella bozza iniziale disponibile al momento (il cosiddetto “zero-draft”), 21 nuovi target per garantire il raggiungimento degli obiettivi della Convenzione, tra i quali ad esempio una maggiore integrazione della biodiversità nella pianificazione territoriale, che assieme mantenimento delle aree di conservazione esistenti intatte e selvagge, consenta di aumentare del 15% l’estensione e l’integrità degli ecosistemi naturali.
Sarà dunque fondamentale “garantire che almeno il 20% degli ecosistemi degradati di acqua dolce, marina e terrestre siano in fase di ripristino, garantendo la connettività tra di essi e concentrandosi sugli ecosistemi prioritari” (Obiettivo 2) e “garantire che almeno il 30% a livello globale delle aree terrestri e marine, in particolare le aree di particolare importanza per la biodiversità e i suoi contributi alle persone, siano conservate attraverso sistemi di aree protette gestiti in modo efficace ed equo, ecologicamente rappresentativi e ben collegati” (Obiettivo 3). E ancora attenzione alle specie selvatiche in rapporto alla salute umana (Obiettivo 4), riduzione delle specie aliene invasive del 50% (Obiettivo 6), riduzione dei pesticidi di due terzi e eliminare l’inquinamento da plastica (Obiettivo 7), responsabilità da parte delle imprese di misurare i propri impatti sulla biodiversità e mitigarli, riducendo della metà gli impatti negativi (Obiettivo 15), ridurre i sussidi dannosi per la biodiversità, in maniera progressiva, di almeno 500 miliardi per anno, un riferimento molto forte ai sussidi all’agricoltura, che potrebbe avere impatti diretti sulla Politica Agricola Comune (Obiettivo 18), impiegare le conoscenze delle comunità indigene e comunità locali per la tutela della biodiversità (Obiettivo 20).
Sul piatto c’è anche un goal importante: mobilitare 700 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2030 e provare a mobilitare almeno 200 miliardi l’anno entro il 2030, di cui almeno dieci miliardi l’anno per i Paesi meno sviluppati, oltre che mobilitare la finanza privata. Risorse importanti ma che al momento non hanno nemmeno lontanamente l’interesse suscitato dalla finanza climatica.
Una sfida per la cooperazione
Le sfide appaiono su molteplici fronti. Il primo è a livello di Paesi in via di sviluppo, dove c’è bisogno di sostegno per guidare il cambiamento all’interno delle istituzioni e migliorare la capacità istituzionale di governare processi di tutela del capitale naturale. È importante anche rafforzare i legami tra i ministeri della Pianificazione e sviluppo, dell’Ambiente e delle Finanze e i responsabili della Convenzione sulla Biodiversità. Come ribadito anche durante il summit online del 2021 preparatorio il capacity building nei Paesi sia in via di sviluppo che meno sviluppati è fondamentale per poter creare un’infrastruttura di base per la conservazione. Così come è importante creare momentum intorno alla tematica, anche a livello di comunicazione.
La seconda sfida risiede nei processi istituzionali dei donatori. Il mainstreaming della biodiversità comporta vantaggi e compromessi tra i percorsi di sviluppo, ma secondo numerosi esperti offre grandi opportunità, dato che si somma alle strategie di risk reduction, al controllo delle pandemie, alle opportunità di sviluppo economico legate all’innovazione in ottica di economia circolare nell’agricoltura sostenibile e nell’agroforestry, nei processi di rigenerazione del suolo.
Come ribadito dal rapporto redatto da Dasgupta (il seminale The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review), l’economia è inestricabilmente collegata alla natura. Dunque ogni intervento di sviluppo economico, dal cash transfer alla formazione, passando soprattutto ai progetti di agricoltura, dovrebbe rispettare rigorosamente i principi che saranno ribaditi con i negoziati di Kunming per avere un effetto volano sulla crescita economica e il benessere psico-fisico, chiarito ampliamente dal concetto One-Health promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Un altro ostacolo impegnativo è che i progetti di sviluppo sulla biodiversità sono spesso finanziati a breve termine. Un periodo da due a cinque anni non è certo un lasso di tempo adeguato a una protezione durevole della biodiversità. I processi biofisici come la formazione del suolo, la (ri)crescita delle foreste, i cambiamenti climatici e i processi evolutivi operano su scale temporali molto più lunghe. Inoltre, le decisioni a livello nazionale sono spesso basate su rendimenti a breve termine e la capacità istituzionale e tecnica per l’attuazione a lungo termine delle misure di mainstreaming è limitata. Su questo dunque risulta fondamentale trasformare la durata di alcuni progetti rendendoli quantomeno decennali, specie se con doppia priorità (clima-biodiversità).
L’azione dell’Agenzia Italiana di Cooperazione allo sviluppo (Aics)
L’Aics si sta già attivando per raccogliere le sollecitazioni della comunità internazionale, tra cui vanno annoverate anche le raccomandazioni con cui il Consiglio dell’Unione Europea ha accolto e adottato la Strategia Ue per la Biodiversità, richiedendo di considerare adeguatamente la tutela della natura e dei servizi ecosistemici sia nell’azione esterna dell’Unione che nelle attività bilaterali di cooperazione. Sul documento si legge ad esempio: “Sul fronte della cooperazione internazionale, l’Ue dovrebbe promuovere pratiche agricole e di pesca sostenibili e azioni di tutela e ripristino delle foreste del pianeta. Un’attenzione particolare sarà rivolta anche alla gestione sostenibile delle risorse idriche, al ripristino dei terreni degradati e alla protezione e al ripristino delle zone ricche di biodiversità che offrono molti servizi ecosistemici e presentano un potenziale di mitigazione climatica. Una migliore protezione degli ecosistemi naturali, unita agli sforzi per ridurre il commercio e il consumo di specie selvatiche, contribuirà anche a prevenire l’insorgere di malattie e pandemie e rafforzare la resilienza alle stesse. L’Ue aumenterà il sostegno agli sforzi da compiere a livello mondiale per applicare l’approccio ‘One Health’, che riconosce il nesso intrinseco tra la salute umana, la salute degli animali e una natura integra e resiliente”.
Su questa linea non mancano i progetti attivi, spiegano i funzionari dell’Ufficio V Aics, esperti di biodiversità. Le sedi estere e l’Ufficio V dell’Agenzia stanno infatti lavorando ad una serie di nuove iniziative in corso, che si sommeranno alle esperienze pregresse della Cooperazione Italiana, tra le quali si possono citare il sostegno all’Egitto, direttamente rivolto al ministero dell’ambiente, per amministrare e gestire le aree protette egiziane, con interventi diretti nelle oasi, lungo le coste del mar Rosso e nell’area desertica di Wadi el Hitan, o il supporto alla tutela della biodiversità nell’isola di Socotra, in Yemen, dove si sono sommati aspetti di conservazione, pastorizia, agricoltura e gestione sostenibile del territorio. Nell’ampio casellario di progetti ambientali dell’agenzia vanno menzionati i progetti in Pakistan, nell’area del Karakorum, dove grazie anche all’intensa attività di ricerca italiana da anni si cerca di tutelare le aree montane del Gilgit Baltistan e dello Swat, con progetti legati ai cambiamenti climatici e tutela dell’ambiente che operano sulla scia dell’iniziativa del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) Ev-K2, voluta dall’esploratore e geologo Ardito Desio. Oppure quelli in Libano e in Albania, dove l’Agenzia ha supportato e continua a supportare la gestione delle aree protette dei due Paesi. Nuove iniziative sono in avvio, e tra queste una molto importante prevede la riforestazione con le mangrovie delle coste del Mozambico, con il progetto ManGrowth. Queste piante che crescono in acque salmastre sono fondamentali per tutelare le aree costiere dall’erosione e dagli impatti dei cicloni tropicali che spesso interessano l’area.
In futuro si guarderà sempre di più a settori come l’agricoltura, ad esempio con approcci come quello dell’agricoltura rigenerativa, o il turismo sostenibile. Anche questo può essere uno strumento in grado di dare un contributo a facilitare e realizzare gli sforzi di conservazione. L’ecoturismo in particolare può essere una leva importante di tutela della biodiversità e sviluppo economico. E anche su questo ci sono degli esempi tra le attività realizzate da Aics, ad esempio con i progetti già realizzati in Bolivia o in Albania.ù
Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.