Africa, si rafforza la posizione panafricana all’interno dei negoziati sul clima
Il continente africano cerca un posto al sole all’interno del processo delineato dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e spinge per aumentare gli investimenti in finanza climatica sul suolo continentale
“Vogliamo iniziare a cambiare il discorso rispetto all’Africa vittima di fame, carestie e inondazioni”, ha dichiarato la ministra keniana dell’Ambiente Roselinda Soipan Tuya. “La nuova narrazione dovrebbe essere quella di un’Africa disposta e pronta ad attrarre capitali in maniera tempestiva, equa e su larga scala per guidare il mondo nell’affrontare il cambiamento climatico”. Le parole della Soipan Tuya riassumono bene la posizione di molti Paesi che si sono dati appuntamento a settembre per il primo vertice pan-africano sul clima, l’Africa Climate Summit. Durante la tre giorni, conclusasi il 6 settembre è stata approvata la Dichiarazione di Nairobi, una Roadmap per lo sviluppo dell’Africa come potenza verde con il supporto della finanza climatica delle nazioni industrializzate.
La Dichiarazione di Nairobi
L’accordo tra i Paesi africani sostanzia una nuova narrativa politica ed economica africana, con l’Unione Africana al centro, in cerca di un nuovo protagonismo alla Cop28 sul clima che si terrà a Dubai dal 30 novembre. Posizioni negoziali comuni (un sotto-blocco del G77 con in più la Cina), rafforzamento della cooperazione su progetti di gestione del rischio, uffici dedicati per l’impiego della finanza climatica, lavoro congiunto su temi di interesse rilevante come il loss&damage, workshop e nuove collaborazioni tecniche e di partenariato.
L’attenzione è, però, soprattutto sui soldi e la finanza climatica. La Dichiarazione fa riferimento alla richiesta di “una nuova architettura finanziaria che risponda alle esigenze dell’Africa, compresa la ristrutturazione e la riduzione del debito”, mentre con i tassi d’interesse sempre più alti e le garanzie sempre più ridotte il momento per gli investimenti green sembra perdere trazioni.
La richiesta che ha avuto maggiore eco sui media, oltre allo sforzo di riforma delle banche di sviluppo multilaterali, è stata quella di creare “un regime globale di tassazione del carbonio, compresa una tassa sul carbonio sul commercio di combustibili fossili, sui trasporti marittimi e sull’aviazione, che potrebbe anche essere aumentata da una tassa globale sulle transazioni finanziarie”.
Intanto sono arrivati i primi impegni economici: il presidente kenianio William Ruto ha affermato che i governi internazionali, le banche di sviluppo, gli investitori privati e i filantropi hanno impegnato complessivamente 23 miliardi di dollari in progetti ecologici nel corso dei tre giorni, comprese centinaia di milioni per “un’importante iniziativa sui mercati del carbonio”.
Gli Emirati Arabi Uniti, nazione ospite del prossimo summit sul clima hanno investito 4,5 miliardi di dollari per realizzare impianti da 15 gigawatt di energia rinnovabile nel continente africano, una mossa chiaramente politica per cercare consenso preventivo per evitare una figuraccia al prossimo negoziato che si annuncia complicatissimo (tra guerra in Russia, posizioni pro-fossili e la polveriera mediorientale). L’offerta è consistente ma l’obiettivo, attraverso la stessa Dichiarazione di Nairobi per l’Africa, è di arrivare a 300 Gw installati dagli attuali 56.
Cancellare il debito
Torna anche il grande tema del debito, legato ora alla decarbonizzazione. Per i Paesi africani i tassi di interesse sui prestiti legati alla transizione verde devono essere ridotti del 50% entro il 2025. Nella Dichiarazione di Nairobi si legge infatti: “La riforma della finanza multilaterale è necessaria ma non sufficiente per fornire la portata dei finanziamenti per il clima di cui il mondo ha bisogno per raggiungere la riduzione delle emissioni del 45% entro il 2030, richiesta per rispettare l’Accordo di Parigi, senza la quale mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi sarà impossibile.
[…] Si noti inoltre che l’entità dei finanziamenti necessari per sbloccare la crescita climatica positiva dell’Africa va oltre la capacità di indebitamento dei bilanci nazionali, o al premio di rischio che l’Africa sta attualmente pagando per il capitale privato”.
Le criticità
Secondo vari analisti il processo non è stato completamente un successo. “Non sono mancate le critiche dalla società civile africana che ha denunciato come la presidenza kenyota abbia preparato la draft del documento in concertazione più con i Paesi industrializzati che con la politica e la società civile africane”, ha dichiarato in un’intervista all’autore Federico Tassan Viol, del think tank Ecco. Per Bridget Mugambe, program coordinator dell’Alliance for Food Sovereignty in Africa, non si è parlato del ruolo dell’agroecologia e del legame tra clima e biodiversità, mentre varie Osc hanno ribadito la necessità di concentrare la finanza bi e multilaterale sul clima, chiedendo a tutti i paesi Ocse di raggiungere non oltre il 2025 l’obiettivo del 0,7% del Prodotto interno lordo per la cooperazione (green) allo sviluppo.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.