Asia, la sfida di un’agricoltura al femminile
In Asia le donne costituiscono la maggior parte della forza lavoro nel mondo agricolo. La riduzione del divario di genere potrebbe aumentare il rendimento delle aziende gestite da donne del 20-30%. Ciò potrebbe aumentare la produzione agricola totale nel continente asiatico del 2,5-4%.
Se chiedete a un americano di descrivere l’archetipo di un agricoltore vi risponderà: “Un uomo anziano, bianco, vestito con una tuta e una camicia di flanella di circa 50 anni”. Se fate la stessa domanda ad un asiatico probabilmente vi risponderà: “una donna sui 20 anni, con sarong e cappello di paglia”. Ma le donne possiedono meno beni (terra, bestiame, capitale umano) e hanno meno accesso agli input (semi, fertilizzanti, lavoro, finanza) e servizi (formazione, assicurazione) degli uomini. Sostenerle rafforzerebbe la sostenibilità ambientale e aiutarebbe a combattere il cambiamento climatico.
Leggendo i dati FAO appare evidente che oggi le donne sono la maggioranza della forza lavoro impiegata nel settore agricolo e della pesca in Asia (e in particolare nel sud-est asiatico). Il loro giorno lavorativo è più lungo di quello degli uomini, altrettanto intenso e spesso coniugato al lavoro domestico. Sono sempre più spesso i principali fornitori economici delle loro famiglie. Allo stesso tempo sussiste un divario tra uomini rurali e donne rurali che si sta costantemente allargando, con una percentuale crescente di donne tra le persone assolutamente povere e indigenti.
«Il lavoro delle donne non conta. Se il lavoro non è retribuito, è “lavoro domestico” e, se viene pagato, è semplicemente “lavoro agricolo”. Nessuno dei due termini riconosce il vero valore dei contributi che le donne danno alla capacità di produrre cibo in Asia», affermano i sociologi Michael Collinson e Hilary Sims Feldstein, che hanno prodotto uno studio di genere sui sistemi di coltivazione del riso per il Consorzio internazionale dei centri di ricerca agricoli internazionali (CGIAR). Tuttavia, entrambi sottolineano: «Le donne sono i principali partecipanti nelle regioni asiatiche di coltivazione del riso. In Indonesia, in Tailandia e nelle Filippine, le donne forniscono fino alla metà della manodopera nella produzione di riso». Una risorsa fondamentale per la sicurezza alimentare di una delle regioni più popolose del pianeta.
Secondo la Banca Mondiale la riduzione del divario di genere in Asia potrebbe aumentare il rendimento delle aziende gestite da donne del 20-30%. Ciò potrebbe aumentare la produzione agricola totale nei paesi in via di sviluppo del 2,5-4%, un driver importante, specie nei paesi più esposti all’insicurezza alimentare.
Ma le donne possiedono meno beni (terra, bestiame, capitale umano) e hanno meno accesso agli input (semi, fertilizzanti, lavoro, finanza) e servizi (formazione, assicurazione) degli uomini. Per complicare ulteriormente le cose, un accesso paritario alle risorse non garantisce uguali ritorni alle donne contadine, che spesso vengono pagate meno. Aggiustare i compensi (anzi dovrebbero essere superiori a quelli dei colleghi maschi per il ruolo sociale chiave che svolgono) potrebbe aiutare le donne delle aree rurali a massimizzare la produttività e migliorare la sicurezza alimentare. Non solo: maggiori profitti delle donne asiatiche impiegate o dedite all’agricoltura potrebbero migliorate i livelli di istruzione e salute poiché le donne tendono a reinvestire nelle loro famiglie, al contrario degli uomini.
L’espressione Madre Terra racconta di un’ecologia che nasce naturalmente al femminile. E anche nell’agricoltura le donne non farebbero eccezione. «Non voglio generalizzare», Anna Rachel Terman una delle autrici del libro The Rise of Women Farmers and Sustainable Agriculture, «ma dalle ricerche risulta che le donne coinvolte nell’agricoltura sostenibile siano particolarmente interessate a molteplici fattori coinvolti in agricoltura come l’ambiente, la salute, il cibo , nutrizione e come la fattoria è collegata alla comunità e la comunità è connessa alla fattoria. È un diverso equilibrio di priorità rispetto a quello che vediamo nell’agricoltura convenzionale dominata dagli uomini».
Uno dei modelli più interessanti di sviluppo sono le cooperative solidali all-female. Come l’Associazione delle Cooperative Latte Femminili del villaggio di Panjor Bhanga, nel distretto di Rangpur, nel nord del Bangladesh. La fondatrice Renu Bala per anni è andata di casa in casa per spiegare la sua idea di business alle donne nel villaggio di Panjor Bhanga,. La maggior parte delle donne e dei loro mariti erano inizialmente scettici. «Ho detto loro che se si fossero unite a questo gruppo, avrebbero appreso molte cose». Renu Bala ha perseverato, e nel 2011 quindici donne si sono unite al Panjor Bhanga Mahila Dugdha Samabay Samity (o l’Associazione delle Cooperative Latte Femminili del villaggio di Panjor Bhanga). «Le donne di questo villaggio sono molto povere e allevano solo i bovini Deshi locali», spiega Renu. «Ho pensato che se avessi potuto avviare un’azienda lattiero-casearia incoraggiando altre donne a partecipare avremmo tutte potuto trarne profitto». Modelli simili sono stati applicati dall’AICS, ad esempio in Palestina, con la creazione dell’associazione di credito e risparmio cooperativo, che ha permesso a molte di rendersi indipendenti economicamente.
La stessa Banca Mondiale raccomanda di portare nella cooperazione l’uguaglianza di genere nel settore agricolo. Ogni progetto di sviluppo dovrebbe includere azioni basate su un’analisi di genere che mirano a produrre risultati di genere positivi. Quali goal? Espandere l’accesso delle donne alla terra e alla finanza rurale, fornire alle donne un maggiore accesso alla terra, alle finanze e agli input di produzione. Le istituzioni di microfinanza e altri fornitori di servizi finanziari con presenza nelle aree rurali devono svolgere un ruolo chiave nel sostenere le donne contadine. Inoltre è fondamentale sostenere le donne per l’ottenimento dei titoli di proprietà dei terreni, implementare l’industria della trasformazione e della catena del valore, e aumentare l’accesso delle donne delle aree rurali alla formazione e all’informazione. Per ultimo è necessario creare fondi specializzati per offrire sistemi assicurativi per l’esposizione ai rischi del cambiamento climatico. Tutti passi fondamentali per un’agricoltura più sostenibile