C’è spazio per le scienziate in Africa? Intervista a Francine Ntoumi
L’esperta africana ha aperto il primo laboratorio di biologia molecolare in Congo. “Oggi sono un modello, spero di essere di ispirazione per molte ragazze”
Poche persone hanno combattuto come Francine Ntoumi per asserire il ruolo delle donne scienziato in Africa. Nata nel 1961 a Brazzaville, Repubblica del Congo, da suo padre, ingegnere elettrico e da sua madre, infermiera neonatale. Durante il periodo della Repubblica popolare si trasferisce in Francia per studiare medicina, specializzandosi in immunologia molecolare e epidemiologia malarica presso l’Istituto Pasteur di Parigi. Nel 1995 torna in Africa, a Franceville, in Gabon, come ricercatrice presso l’International Center for Medical Research. Lavora alacremente per rafforzare la capacità di ricerca sulla salute pubblica del continente africano, attraverso gli sforzi di coordinamento della rete dell’Africa centrale su tubercolosi, HIV / AIDS e malaria (CANTAM). Diviene presidente della Congolese Foundation for Medical Research (FCRM), che lei stessa ha fondato nel 2008, realizzando il primo laboratorio di biologia molecolare nell’Africa Centrale. Nota in tutto il mondo, è stata la prima donna dell’Africa subsahariana a ricevere il premio Georg Foster, per il suo lavoro di creazione di reti per combattere le malattie infettive in tutta l’Africa. Il suo obiettivo oggi è duplice: sconfiggere la malaria e promuovere l’equilibrio di genere nella scienza.
Professoressa Ntoumi, recentemente ha pubblicato un articolo sulla prestigiosa rivista The Lancet che ha riportato l’attenzione sul ruolo delle donne nella scienza in Africa e in generale negli LDCs…
Io mi occupo di infezioni come tubercolosi, AIDS, chikungunya e dengue, lavorando sul DNA a livello molecolare. Ma ci sono pochissime colleghe che hanno spazio per fare ricerche al mio livello, in Congo e in altri paesi. Medicina, biologia, fisica e matematica rimangono dominio maschile.
Che tipo di sfide ha dovuto affrontare per diventare una delle più importanti scienziate al mondo nella ricerca molecolare legate alle malattie infettive?
Nella mia famiglia non ho avuto problemi. Ero l’unica femmina di sei figli e i miei genitori mi hanno fatto studiare come i miei fratelli. I problemi sono iniziati quando sono rientrata in Congo dalla Francia alla fine dei miei studi. Durante le prime collaborazioni con scienziati congolesi ho realizzato che non mi ascoltavano. Durante i meeting era come se non esistevo. Perché non mi consideravano?
Anche nella scienza esistono ancora uomini che ritengono le donne inferiori…
La questione sta nei comportamenti. Le donne non rispondono immediatamente alle domande, ci ragionano; non sono aggressive e competitive come i maschi, sono ambiziose alla loro maniera. Gli uomini vogliono mettersi sempre in mostra per dimostrare quello che sanno, anche tacciando le colleghe.
Cosa l’ha resa una scienziata ascoltata da tutti?
La voglia di ri-portare la scienza nel mio Congo. Dopo aver coperto numerose posizioni in Europa sono tornata in Africa fondando la Congolese Foundation for Medical Research. Un patimento: non c’erano risorse, laboratori di ricerca. Ma con insistenza ho creato il primo laboratorio universitario di biologia molecolare, nell’unica facoltà pubblica del Congo. Nessun uomo aveva mai raggiunto un tale obiettivo. Questo mi ha fatto conquistare il rispetto di tutti, diventando una voce influente, conosciuta in tutto il paese. I colleghi maschi si sono ritrovarti costretti a dover lavorare nel mio laboratorio.
Un risultato impressionante.
Duro lavoro, capacità di trovare fondi e tenacia.
Questo sue successo è stato di ispirazione ad altre scienziate?
Direi a tante donne. Ho ricevuto numerosi premi, dalle grant della Gates Foundation al premio Georg Forster, che hanno mostrato a tante donne dell’Africa centrale che si può fare, si può essere scienziate di successo .Sono tantissime le ragazze che mi contattano ogni giorno.
E’ diventata un modello.
La situazione però è ancora preoccupante. Sono pochissime le scienziate, con l’eccezione del Sud Africa. La strada da fare è tanta. Anche per gli uomini, le possibilità di fare ricerca sono scarse. Rimane la convinzione che la scienza si possa praticare solo nei paesi sviluppati, che sia un lusso. Quando devi combattere per il cibo non hai tempo per la scienza. Non è vero. La scienza può accelerare lo sviluppo. Recentemente sono nati importanti centri di ricerca, in Kenya, Tanzania, Senegal. Anche se la maggioranza di questi gruppi rimane al maschile.
Servono più borse di studio per le donne, maggiori risorse anche da parte della cooperazione? Assolutamente si, servono risorse economiche. Ma non solo. Sposarsi in Africa ha una grande rilevanza culturale, fare un PhD richiede molti anni e le due cose possono confliggere: dunque servono misure di accompagnamento, con borse di studio targetizzate in particolare per le donne ma che possano sostenere anche i compagni. Spero che la cooperazione internazionale e il settore privato investano più risorse in questa direzione. Le donne spesso sono anche meglio degli uomini nella ricerca. Credo che quando le donne raggiungeranno le posizioni di potere ciò comporterà un’accelerazione nello sviluppo dei paesi africani.