Clima, natura ed energia sempre più centrali per la cooperazione
A Coopera2022 il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, Dario Scannapieco di Cdp e Francesco La Camera di Irena, tra gli ospiti di una vivace discussione su energia, clima e cooperazione
Fino a pochi anni fa pochissimi progetti di cooperazione allo sviluppo internazionale affrontavano in maniera sistemica questioni come mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Parole come capitalismo naturale non venivano mai pronunciate. Decarbonizzazione o tutela della biodiversità erano punti minori dei progetti delle agenzie di cooperazione o delle Ong. Sicurezza energetica o tutela del rischio non venivano discussi di sovente nei processi bilaterali o multilaterali. Se c’è invece una notizia che esce potente da Coopera 2022, la Conferenza Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo, è che la questione ambientale-climatica è diventate centrale a ogni livello, dalla cooperazione decentrata a quella governativa e multilaterale.
Durante la due giorni, convocata dal ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e tenutasi lo scorso 23 e 24 giugno all’Auditorium della Conciliazione di Roma, dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al mondo delle Ong, è stata ribadita numerosissime volte la centralità della sfida climatica. “La pandemia ha reso evidente che in un mondo interconnesso non esistono soluzioni locali a sfide globali, come quelle dell’emergenza sanitaria, dei cambiamenti climatici, della povertà estrema, dell’insicurezza alimentare”, ha dichiarato il presidente nel discorso di apertura ricordando anche che “la guerra […] rende più difficile la collaborazione internazionale in materia climatica e ambientale”.
Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha sottolineato la necessità di sostenere il trasferimento tecnologico nei Paesi meno sviluppati e ricordato la necessità del processo multilaterale, offrendo speranza. “Gli obiettivi di decarbonizzazione sono ancora raggiungibili, ma non si può fare la transizione ecologica senza abbattere le diseguaglianze globali. Non siamo riusciti a raggiungere i 100 miliardi di dollari promessi dall’accordo di Parigi e sono di curioso di vedere cosa succederà alla Cop27 (che si terrà in novembre in Egitto, Nda) con la guerra in corso”.
Oltre che ribadire l’impegno dell’Italia nella riduzione delle emissioni al 2030 del 55%, Cingolani ha sottolineato la necessità di promuovere innovazione e di tecnologia sia in qui paesi dove solo una piccola parte ha accesso all’energia sia per i paesi sviluppati che per “aggiungere emissioni nette zero hanno bisogno dal 1 gennaio 2031 di creare nuove soluzioni tecnologiche”. L’auto anche elettrica non basta, così come serve spingere su “suolo, foreste e oceani, le forme più avanzate di carbon capture and storage”. Il ministro dimentica però nella suo rapido intervento la necessità di maggiore cooperazione tra Mite e Maeci, specie su progetti bilaterali, e dimentica di analizzare i pessimi risultati del negoziato intermedio a Bonn sul clima che hanno visto l’Europa frenare le richieste dei paesi emergenti, stati insulari e Ldcs di accelerare sul meccanismo di Loss&Damage.
Tanta attenzione agli interventi di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) intervenuta sia con l’amministratore delegato, Dario Scannapieco che con la direttrice della Cooperazione internazionale allo sviluppo, Antonella Baldino, che hanno ribadito il sostegno centrale dell’organizzazione alla cooperazione internazionale su clima e ambiente. “Oggi il 50% degli interventi di Cdp sono di finanza climatica”, ha ricordato Baldino. Secondo la direttrice la finanza di sviluppo gioca un ruolo di avanguardia e che presto sarà seguita da una finanza tradizionale che sarà una leva fondamentale per mobilizzare le risorse necessarie per la sfida climatica. “Le banche di sviluppo sono un’opportunità per creare un ecosistema della transizione, sono sostenitori di investimenti di lungo termine in quanto attenti a impatti lungo periodo”. Per questo Cdp è entrata in un’alleanza di livello globale per la finanza per lo sviluppo, Finance in Commom con 550 istituzioni finanziarie e bancarie».
Per l’Ad Scannapieco un ruolo centrale lo giocherà il Fondo Italiano per il Clima, 840 milioni l’anno fino al 2026 per azioni sul clima e impiega per il raggiungimento degli obiettivi di tutela ambientale. “Serve però che la cooperazione verde sia costruita bene. Ci sono più risorse che pipeline di progetti di qualità”, ha spiegato il manager, che non ha risparmiato una stoccata. “Noi, insieme alla finanza buona, cerchiamo di portare anche valori su come devono essere fatte le cose nel rispetto dei diritti, e questo molto spesso implica una penalizzazione nel breve termine per le risorse e per l’approccio europeo. Ma è invece molto importante aderire a quei criteri di rispetto della natura, del clima e dei diritti dell’uomo che dobbiamo necessariamente applicare”. E ha concluso auspicando una maggiore presenza diretta come banca di investimento nei territori prioritari per l’Italia.
Occhi puntati soprattutto sull’Africa, continente che, ha ricordato Federico Bonaglia, vice direttore, del Centro Sviluppo dell’Ocse, rischia di perdere 15 punti del Pil a causa del cambiamento climatico e con tanti Stati dove è difficile investire in primis a causa di mercati finanziari sufficientemente sviluppati e della mancanza di regole certe per offrire serenità agli investitori. Eppure il continente rimane centrale per la rivoluzione delle rinnovabili, ha raccontato il direttore di Irena, Francesco La Camera, in uno degli interventi più interessanti ed ottimisti. “A causa della guerra nel breve termine servirà riaprire le centrali a carbone per non reinvestire in forme di energia tradizionale – ha detto – ma nel lungo periodo l’impatto potrebbe essere positivo, con il ruolo chiave delle rinnovabili, idrogeno verde e uso sostenibile della biomassa. Qui l’Africa avrà un grande ruolo. Le fonti rinnovabili non sono solo la forma di energia più economica del pianeta, portano occupazione e hanno il più elevato impatto sul Pil, ma ora hanno dimostrato un altro valore aggiunto: rendono i paesi più indipendenti dalle fonti fossili”.
Una strategia dunque di maggiore stabilità e pace duratura, con sempre più sistemi di produzione energetica centralizzata, “dove anche l’idrogeno avrà un ruolo importante. Non tanto in Italia ma soprattutto per i paesi africani e dell’America latina”. Rimane il fatto che in Africa si investe solo il 2% di tutti gli investimenti a livello globale e l’elettrificazione del continente è rimasta ferma al decennio precedente. Serve dunque accelerare sulle piattaforme e sui progetti di cooperazione per comunità energetiche, impianti domestici diffusi e innovazioni tecnologiche. “Ma serve anche creare consapevolezza sulle opportunità in Africa”, ha concluso Roberto Vigotti, segretario generale della fondazione Res4Africa. “Senza di questo non sarà semplice trovare progetti bancabili, sia sull’energia che sui materiali”. Un’opportunità mancata anche per il mondo industriale italiano. E un invito alla cooperazione e alle organizzazioni non governative ad accelerare su progetti di decarbonizzazione e adattamento.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.