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COP Desertificazione, cresce la partecipazione al negoziato

Si è conclusa il 14 dicembre a Riyadh COP16-desertificazione, il terzo negoziato ONU di un anno intensissimo per la diplomazia ambientale. Il summit della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione (UNCCD) è stato un successo di partecipazione con più di 20.000 presenze (un record assoluto), di cui circa 3.500 membri della società civile, con più di 600 eventi nell'ambito della prima Agenda d'azione per gli attori non statali. Bene anche gli impegni finanziari per sostenere progetti di rigenerazione dei suoli e lotta alla siccità: i pledge hanno superato complessivamente i 12 miliardi di dollari, un segnale importante che vede crescere il sostegno pubblico e privato.

Anna Luise, Chair della Commitee of the Whole COP16

C’era molta aspettativa soprattutto sul tema siccità, dato che si sarebbe dovuto approvare un framework globale di lavoro sul tema, ma la richiesta non negoziabile dei paesi africani di avere un vero e proprio Protocollo sulla siccità, legalmente vincolante, ha mandato in stallo il negoziato, reinviando la decisione alla prossima COP17 sulla desertificazione che si terrà in Mongolia nel 2026. A opporsi alla richiesta spinta dai paesi africani (e sostenuta da tutto il blocco dei developing countries) sono stati soprattutto gli Stati Uniti, che da sempre sono contrari a protocolli e trattati legalmente vincolanti che obbligano i paesi a sborsare risorse economiche o dover intraprendere percorsi obbligatori, di fatto irricevibili dal Congresso Usa.

Si sono però poste le basi per un futuro regime globale sulla siccità, e questo è già un grande risultato”, spiega la negoziatrice italiana Anna Luise, di Ispra e Chair della Commitee of the Whole all’interno del negoziato. “Inoltre, va ricordato che questa COP ha mostrato quante azioni già ora si possono intraprendere, coinvolgendo le comunità locali, quelle indigene, le donne e i giovani, lavorando su temi chiave come la riforma dei regimi fondiari dei suoli.

Spazio a popolazioni indigene e mondo industriale

Come tutti i negoziati sono stati numerosissimi i temi trattati e approvati. Tra i principali accordi raggiunti alla COP16 Desertificazione vi sono la creazione di un Caucus per le popolazioni indigene e di un Caucus per le comunità locali, per garantire che le loro prospettive e sfide uniche siano adeguatamente rappresentate. Grande soddisfazione tra i delegati. “Oggi è stata fatta la storia“, ha dichiarato il rappresentante degli indigeni australiani Oliver Tester. “Non vediamo l’ora di sostenere il nostro impegno a proteggere la Madre Terra attraverso un Caucus dedicato, lasciamo COP consapevoli che le nostre voci sono state ascoltate“. Come accaduto già all’interno del Global Biodiversity Framework, a COP16 a Cali, da ora in avanti la Convenzione dovrà tenere in grande considerazione le comunità indigene e locali nella governance per la rigenerazione dei suoli e della siccità. Si rende più difficile realizzare progetti di lotta alla siccità o alla desertificazione che abbiano impatto diretto su queste comunità fragili, come purtroppo accaduto in passato con dei meccanismi Onu per la lotta al cambiamento climatico come i Clean Development Mechanism.

Foltissima la presenza di aziende del settore idrico privato e del mondo agricolo. Con l’iniziativa Business4Land la convenzione sostiene a tutta forza le partnership pubblico-private per la gestione sostenibile della terra e dell’acqua. L’obiettivo di Business4Land è ripristinare 1,5 miliardi di ettari di terreno entro il 2030, contribuendo alla Land Degradation Neutrality (LDN), un concetto che cerca meccanismi di compensazione per gli impatti inevitabili dell’agrobusiness. Si è stabilito inoltre di rafforzare la collaborazione tra mondo scientifico e decisori politici per contribuire all’azzeramento del degrado dei terreni entro il 2030 e a migliorare la resilienza alla siccità.

Finanza contro la desertificazione

All’interno del negoziato è stata ripetuta più volte la cifra madre necessaria a ripristinare più di un miliardo di ettari di terreni degradati e costruire strategie di resilienza alla siccità: 2.600 miliardi di dollari di investimenti complessivi entro il 2030. Ovviamente si parla di risorse di ogni tipo, incluse quelle da spendere nei paesi industrializzati, e queste cifre si sovrappongono al conto presentato dal cambiamento climatico e dalla perdita di biodiversità.

Quindi i 12,1 miliardi di dollari raccolti attraverso il Partenariato globale per la resilienza alla siccità di Riyadh, per sostenere 80 dei paesi più vulnerabili del mondo nella costruzione della loro resilienza alla siccità, sono un piccolo ma importante progresso. Non ci si aspettava quasi nessun annuncio, e il contributo di dieci miliardi di dollari da parte del solo Gruppo di coordinamento arabo ha sicuramente portato una folata di ottimismo in questo negoziato.

Gli Stati Uniti e diversi paesi e organizzazioni partner hanno annunciato investimenti complessivi per quasi 70 milioni di dollari per portare avanti la Vision for Adapted Crops and Soils (VACS). L’iniziativa mira a costruire sistemi alimentari resilienti basati su colture diverse, nutrienti e adattate al clima, coltivate in terreni sani.

L’Arabia Saudita ha annunciato cinque nuovi progetti per un valore di 60 milioni di dollari per incrementare gli sforzi a favore del clima e dell’ambiente nell’ambito della Saudi Green Initiative. La presidenza della COP16 dell’UNCCD ha inoltre annunciato il lancio di un’iniziativa internazionale di monitoraggio delle tempeste di sabbia e polvere. Questo sforzo, parte di un sistema regionale di allerta precoce, mira a integrare gli sforzi esistenti supervisionati dall’Organizzazione meteorologica mondiale.

Italia, protagonista a COP16

Oltre ad aver avuto la presidenza della COW, la Committee of the Whole, assemblea centrale della convenzione, l’Italia ha cercato di ritagliarsi un ruolo importante, visto anche l’interesse nostrano ad ospitare il World Water Forum nel 2030, dopo l’Arabia Saudita e gli sforzi profusi nell’Africa subsahariana con il Piano Mattei.

Attraverso il MASE l’Italia ha mobilitato 11 milioni di euro per il ripristino del suolo nel Sahel, parte dell’iniziativa Great Green Wall. Il progetto, implementato dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN), mira a rafforzare e ad allargare i risultati ottenuti con la prima fase in Burkina Faso, Niger e Ghana, includendo ora anche due nuovi paesi target della regione africana: Benin e Senegal. L’inviato speciale per il cambiamento climatico del governo italiano, Francesco Corvaro, ha sottolineato “l’importanza dell’impegno a fianco delle comunità locali, con un progetto che nasce dall’ascolto dei bisogni e delle esperienze delle popolazioni coinvolte e valorizza i risultati già ottenuti negli anni per creare opportunità di sviluppo sostenibile, adattamento al cambiamento climatico e reddito diffuso”.

AICS, inoltre, ha numerosi progetti già attivi sul tema idrico e per la lotta alla desertificazione, in particolare sui sistemi di allerta. Il 10 dicembre l’Agenzia ha tenuto il side event “If You Want to Go Fast, Go Alone. If You Want to Go Far, Go Together: A Proverb Inspiring Drought Resilience in Africa” per presentare i progressi sul Africa Multi-Hazard Early Warning and Early Action System (AMHEWAS) e mostrare le opportunità di investimento legate al Piano Mattei. L’obiettivo è stato quello di promuovere un dialogo su temi come il monitoraggio, l’allerta precoce e il capacity building per affrontare siccità e alluvioni nel continente più vulnerabile agli eventi climatici estremi.

Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. È Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019), Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018), Che cosa è l’economia circolare (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.
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