G20, buona geopolitica, mediocre diplomazia climatica
Il summit a guida indiana di settembre ha ribadito gli impegni nei confronti dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e riportato al centro dell'attenzione il Sud Globale, a partire dall'Africa, ma senza menzionare qualsivoglia impegno sulle fonti di energia fossili
“Siamo una terra, una famiglia e condividiamo un futuro”. Questa è la frase di apertura della Dichiarazione dei leader del Gruppo dei 20 di Nuova Delhi, in cui i leader si impegnano a “sfruttare il potere di convocazione del G20 e la sua determinazione collettiva per attuare pienamente ed efficacemente l’Agenda 2030 e accelerare i progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.
I leader del G20 si sono incontrati in India, dal 9 al 10 settembre 2023, per rafforzare il dialogo internazionale. Nel contesto internazionale attuale il summit a guida indiana poteva ridursi a un mero esercizio di stile per portare attenzione mediatica globale sull’India e sottolineare un discorso importante quanto ovvio, ovvero il sostegno generico all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, giunta a metà del suo cammino.
Invece Delhi ha provato a ravvivare la piattaforma aprendo al Global South e cercando importanti intese con l’Europa, con la Cina che rimane sullo sfondo (assente Xi Jinping) e la Russia che gioisce per il fatto che la questione Ucraina non ha avuto il ruolo predominante che Kiev aspettava dal summit di Delhi. Il tentativo di spallata al G20 della Cina per rafforzare il consesso dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e la Shangai Cooperation Organization non ha avuto effetto, non rimanendo altro a Pechino che “supportare pienamente” il comunicato finale del G20. Per il premier Narendra Modi, un vero successo diplomatico, sebbene il documento finale sia deboluccio, specie sulle questioni ambientali e sull’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile.
La centralità del Global South
Durante il summit, il Gruppo dei 20 ha confermato l’ingresso dell’Unione Africana (Ua) come membro permanente, un potente riconoscimento dell’Africa, in linea con gli sforzi già ribaditi al recente Africa Climate Summit, in cerca di una voce forte e condivisa nei summit internazionali Onu e nelle organizzazioni multilaterali.
“Congratulazioni a tutta l’Africa!” ha detto il presidente del Senegal Macky Sall, l’ex presidente dell’Ua che ha contribuito a spingere per l’adesione. Fino ad ora, il Sudafrica era l’unico membro del G20 del blocco. L’entra del mondo africano costituisce un ulteriore passo per accelerare la riforma delle banche multilaterali e la riconversione del debito, per un continente che da sempre paga tassi più alti per i prestiti per i piani strutturali nazionali e che necessita importanti risorse per la transizione ecologica.
A ribadire il ruolo dei Paesi del sud del mondo è stata anche l’Allenza mondiale per i biocarburanti, voluta soprattutto da India, Brasile e Usa, con l’Italia come firmataria insieme a Bangladesh, Argentina, Sudafrica, Mauritius ed Emirati Arabi Uniti. La Global Biofuel Alliance si concentrerà sulla facilitazione della cooperazione attraverso la condivisione delle migliori pratiche e la sensibilizzazione sui vantaggi dei biocarburanti sostenibili. Faciliterà, inoltre, il commercio globale di biocarburanti, svilupperà una politica concreta sulla condivisione delle conoscenze e semplificherà la fornitura di supporto tecnico per i programmi nazionali sui biocarburanti in tutto il mondo.
Nessuna menzione alle fossili nel comunicato finale
A Dubai, all’interno dei negoziati della Cop28, i paesi partecipanti dovranno approvare il primo Global Stocktake, una sorta di riassunto di quanto fatto da ogni Paese per la riduzione delle emissioni climalteranti, finalizzato ad individuare aree di miglioramento (modificando i propri NDCs) per poter raggiungere una riduzione delle temperature ben al di sotto dei 2°C come richiesto dall’Accordo di Parigi.
Per farlo il G20 avrebbe dovuto dare due indicazioni chiare. La prima: avanti tutta con le energie rinnovabili; la seconda: stop almeno al 2050-2065 con la produzione di fonti fossili. Purtroppo solo la prima indicazione è arrivata nel comunicato finale, triplicando lo sforzo di installazione di nuove fonti rinnovabili. Mentre nessun riferimento è rinvenibile nel testo a riguardo alle fonti fossili, che incassano così un silenzio assordante da parte delle più grandi nazioni della Terra (che da sole producono l’80% delle emissioni di gas serra, con una percentuale simile di prodotto interno lordo). Nemmeno una frase su phase out/down di carbone, petrolio e gas naturale né sulla questione dei sussidi fossili (di cui si parlò la prima volta al G20 di Pittsburgh nel 2009).
A porre il veto sulla risoluzione sono stati i Paesi petroliferi Arabia Saudita, Russia e Australia e i paesi legati al carbone, India e Sud Africa. Eppure il bando (con orizzonte temporale amplio) delle fossili è una conditio sine qua non per raggiungere gli obiettivi climatici, su cui il G20 non può esimersi dal prendere una decisione.
Il corridoio indiano
Durante la giornata conclusiva il primo ministro Narendra Modi ha annunciato il piano di creare un corridoio di trasporto marittimo e ferroviario che collega i Paesi del Medio Oriente, dell’Asia meridionale e dell’Europa a margine del vertice del G20 in corso a Nuova Delhi.
“Una forte connettività e infrastrutture sono la base dello sviluppo dell’umanità. L’India ha dato priorità a questo nel suo percorso di sviluppo”, ha affermato il Primo Ministro Modi intervenendo alla conferenza del Partenariato per gli investimenti in infrastrutture globali (PGII) con i leader del G20.
Un progetto di porti e ferrovie che interessa particolarmente i paesi del Medio Oriente (Pakistan e Iran esclusi), l’Europa e gli Stati Uniti, dato che potrebbe rafforzare rotte commerciali oggi estremamente lente e inefficienti. Il nuovo corridoio favorirà gli scambi energetici, commerciali e di telecomunicazioni. Un progetto che per vari analisti potrebbe favorire un rinascimento del Medio Oriente. “Renderà gli scambi commerciali più veloci del 40%”, ha commentato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Le reti passeranno all’interno della penisola araba, attraverso la Giordania e Israele, per arrivare poi in Europa e anche negli Usa. Uno schiaffo alla Belt and Road Initiative cinese – che ha visto un leggero declino della propria influenza, anche in Africa – che arriva in un momento critico per il commercio cinese e che apre alla sfida della produzione di semiconduttori e processori indiana oltre che al settore dell’energia e automotive indiano.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.