La lotta al traffico delle specie protette, una sfida per la cooperazione
Un business da 23 miliardi di euro, che impatta comunità locali ed ecosistemi. Isabella Pratesi, Wwf Italia: le ong devono occuparsi del tema
Pangolini dal Myanmar, rinoceronti dal Sud Africa, pinne di squalo dalla Florida, volatili rari dall’Europa, piante medicinali dall’Himalaya e dalla foresta amazzonica. Il mercato di specie protette è fiorente più che mai, alimentando reti criminali e impoverendo comunità rurali. Eppure il mondo della cooperazione italiana si occupa poco di biodiversità e animal trafficking. Affrontare questo mercato illegale potrebbe permettere un sviluppo economico in aree poco sviluppate – soprattutto turismo sostenibile – con impatti positivi su economia, ambiente e anche salute. Anzi soprattutto la salute, visto che molte specie possono essere causa di zoonosi pericolosissime. Come abbiamo imparato con il Sars-Cov-2, l’agente patogeno responsabile del Covid-19. Oltremare ha parlato con Isabella Pratesi, direttrice conservazione di Wwf Italia, per comprendere meglio il valore della tutela delle specie protette e della lotta al bracconaggio ed invitare a mettere la questione al centro dell’agenda dei cooperanti.
Quale è la situazione del commercio internazionale di specie protette?
Il quadro generale è abbastanza drammatico. Negli ultimi 15 anni ha raggiunto un livello assolutamente insostenibile. Dall’aumento della disponibilità economica in paesi interessati alle specie rare, all’accelerazione dei commerci globali, passando per la mancanza di controlli effettivi nei grandi porti africani o cinesi dove passano centinaia di migliaia di container ogni giorno, le cause non mancano. Una geografia che vede i traffici muoversi dai Paesi africani principalmente verso i Paesi asiatici, ma non esclude rotte che vanno dall’Europa all’Asia, dall’Asia all’Australia o dall’America Latina all’Europa o Nord America. Va rilevato che un volume impressionante di queste merci transita attraverso l’Europa, per l’assenza di controlli dedicati. Chi sospetterebbe che il traffico di pangolini passa per Roma? Studi del Wwf hanno dimostrato che l’Europa e anche l’Italia hanno un ruolo importante nel commercio illegale di tigri, di pelli di serpente e altri animali a rischio estinzione.
Quanto vale questo traffico illegale?
Parliamo di un commercio che ha un valore globale di 23 miliardi, solo per le specie di animali e piante protette. Che salgono a 213 miliardi per tutto il mercato illecito di risorse naturali, legname incluso. Questo commercio impoverisce drammaticamente i Paesi che hanno queste risorse naturali e arricchisce in modo altrettttno drammatico quelle reti criminali che oramai riescono a creare potentissimi network e che abbracciano tutto il pianeta. Sulle rotte del traffico delle specie protette viaggiano droga, armi ed esseri umani. Mercati che si rafforzano a vicenda.
Anche in Italia?
Purtroppo è confermato il ruolo della criminalità organizzata mafiosa nel anche nel traffico di specie o di piante o di animali.
I controlli sono laschi…
I controlli e le leggi non sono sufficienti. Senza un miglioramento numerose specie rischiano l’estinzione. Come i pangolini, piccoli mammiferi insettivori, animali importantissimi anche negli equilibri ecologici, le cui scaglie sono molto richieste dalla medicina tradizionale asiatica e la carne particolarmente apprezzata. Una specie che ha avuto un calo del 90% per cento della popolazione.
Nel 2020 abbiamo visto come il commercio e il consumo illegale di specie selvatiche e protette può essere alla base di fenomeni di zoonosi, le malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo. Se c’è una cosa che ha insegnato la pandemia è quella evitare il contatto con le specie selvatiche. Eppure il commercio illegale prosegue e la prossima pandemia potrebbe generarsi a causa dell’acquisto di un animale infetto da un privato o dal traffico illegale di specie infette.
Questi traffici offrono un opportunità unica per nuovi virus. Quando mai in natura un pangolino si trova nelle mani di un uomo? Wwf già nel 2016 denunciava l’allarme per il rischio di zoonosi legate al commercio illegale. Certo pensavamo a focolai di malattie e non certo una pandemia. Oramai è certo: quando rompiamo l’equilibrio naturale ci esponiamo a gravissimi rischi, con virus che possono rapidamente distribuirsi a causa dell’elevata mobilità umana.
Cosa si può fare per sostenere le comunità locali?
Innanzitutto bisogna prestare attenzione alle aree più critiche e cruciali per il futuro del pianeta, come l’Amazzonia, una foresta sterminata che regola il clima, la raccolta delle acque la disponibilità di cibo, la biodiversità. Nella foresta amazzonica si sta facendo moltissimo con le comunità locali, in quanto sono i più importanti custodi della natura, anche più efficaci delle leggi e dei governi. In generale deve essere prioritario lavorare con queste comunità per la tutela ambientale. Creando sviluppo locale si può fermare il traffico delle specie.
Ci sono progetti prioritari?
Dalla gestione sostenibile delle foreste alle produzioni agro-forestali sostenibili alla conservazione dei saperi tradizionali e il turismo intelligente.
Che ruolo può avere la diplomazia nella lotta alla perdita di biodiversità?
È importante che i diplomatici scoprano la questione. Per essere attori propositivi bisogna davvero capire cosa comporta la perdita di biodiversità, cosa significa la tratta delle specie protette. Quando si parla di natura, non sempre c’è cogenza del fatto che si parla di servizi naturali necessari al benessere dell’uomo, alla stabilità economica dei Paesi. Molti esperti di affari esteri hanno una grande cultura umanista, ma manca uno sguardo olistico sul funzionamento dei sistemi naturali. Conoscere il ruolo degli alberi, l’importanza della fertilità dei suoli, la tutela degli oceani, il funzionamento delle catene alimentari. Serve tanta diffusione delle conoscenza. In Italia c’è un grandissimo ritardo su questi temi anche tra chi governa e chi prende decisioni su come funziona. Per parlare di transizione ecologica e Accordo di Parigi bisogna conoscere davvero come la natura funziona.
Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.