L’azzardo di Lula, l’internazionalismo progressista si fa strada al G20
In un biennio che vedrà il Brasile guidare prima il G20 e poi presiedere alla 30° COP sui cambiamenti climatici, a dieci anni di distanza dall’Accordo di Parigi, il presidente Lula punta a ristabilire il prestigio della più grande nazione dell’America Latina.
“Brazil is back”, è la frase che viene ripetuta da tempo per sottolineare il ritorno del Brasile capitanato dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva entro il perimetro della politica e geopolitica tradizionale, dopo il tornado dell’ex presidente populista Jair Bolsonaro.
Sebbene perdurino i problemi domestici, dall’occupazione all’aborto alla difficoltà ad implementare la lotta alla deforestazione, l’attenzione di Lula è concentrata sulle relazioni internazionali in un biennio che vedrà il Brasile guidare prima il G20 e poi presiedere alla 30° COP sui cambiamenti climatici, a dieci anni di distanza dall’Accordo di Parigi. Nel tentativo di ristabilire il prestigio della più grande nazione dell’America Latina.
L’obiettivo di Lula è riavvicinarsi ad Europa e Stati Uniti, mantenendo allo stesso tempo un ottimo rapporto con i paesi del BRICS e del Sud globale, alla ricerca di un ordine globale progressista e ambientalista (ma anche di nuovi accordi commerciali geopolitici in ottica di real-politik).
Al momento però, a metà della presidenza brasiliana del G20, la visione di Lula non è stata trasposta in maniera concreta nell’agone geopolitico. “Le sue dichiarazioni e le sue azioni hanno messo in dubbio il suo ruolo di pacificatore, di costruttore di coalizioni e di paladino degli emarginati”, scrive su Foreign Policy Matias Spektor, professore di relazioni internazionali presso la Fundação Getulio Vargas a São Paulo. “Anche sull’ambiente la sua leadership è stata adombrata dalle sue decisioni di rafforzare il Brasile come petrostato”, aggiunge. Non è bastato licenziare l’Ad della compagnia petrolifera nazionale, Petrobras per fermare gli enormi investimenti in atto per rafforzare l’estrazione di gas naturale e petrolio offshore al largo delle foci del Rio delle Amazzoni e potenziare la raffinazione di fertilizzanti e altri prodotti petrolchimici.
Non a caso negli ultimi mesi è scoppiata la crisi tra il presidente e la sua potentissima ministra dell’Ambiente, l’ecologista Marina Silva, proprio a partire dal piano di esplorazione petrolifera nel nord del paese e dal trasferimento dell’ANA, l’Agenzia Nazionale dell’Acqua, dal ministero di Silva al Ministero dell’integrazione e sviluppo regionale.
Infine, Lula rimane ancor in scacco della lobby degli allevamenti e di una parte dell’agroalimentare oltre che di reti criminali che stanno lavorando duramente per distruggere l’integrità ecologica della foresta amazzonica e sfruttare quante più risorse naturali possibile.
Dunque il Brasile non parte certo da una posizione solida per negoziare nuove politiche internazionali di lotta alla povertà, al cambiamento climatico e biodiversità, una visione sociale e ambientale congiunta da sempre cara sia a Lula che a Silva, che vede nella giusta transizione, nell’inclusione delle comunità locali e indigene e nella lotta alla green-gentrification un elemento fondamentale per il successo della riduzione delle emissioni e della tutela della biodiversità. Ma per Brasilia non c’è spazio per l’insuccesso. Se nascerà una rafforzata governance globale su ambiente, sociale e sviluppo sostenibile, sarà grazie al ruolo (quasi messianico) di Lula e del Brasile.
Come obiettivo del G20 il Brasile “ha dichiarato un’agenda in tre punti, ovvero la lotta alla fame, alla povertà e alla disuguaglianza, l’attenzione alle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (economica, sociale e ambientale) e la riforma della governance globale”, spiega Purvaja Modak, analista del Centre for Social and Economic Progress. Il motto scelto dalla presidenza brasiliana è “Costruire un mondo giusto e un pianeta sostenibile“.
Uno dei primi obiettivi è stato realizzare una task force chiamata Alleanza Globale contro la Fame e la Povertà, che dovrà lavorare su questioni come l’agricoltura a basse emissioni di carbonio, le riforme delle assicurazioni agricole, soprattutto nei Paesi a rischio alimentare, il sostegno finanziario di altre nazioni per acqua e infrastrutture. Secondo un comunicato FAO del 24 luglio “per il terzo anno consecutivo, il numero degli affamati non accenna a diminuire, mentre il mondo è afflitto da crisi [alimentari] sempre più profonde. Nel 2023, una persona su undici, in tutto il mondo, e una persona su cinque nella sola Africa, è stata vittima della fame”.
Il Brasile spera di sfruttare l’esperienza del suo programma di punta, il Piano Brasile Senza Fame (Plano Brasil Sem Fome), un’iniziativa guidata dal Ministero dello Sviluppo e dell’Assistenza Sociale, della Famiglia e della Lotta alla Fame (Ministério do Desenvolvimento e Assistência Social, Família e Combate á Fome/MDS) come modello di azione. La Task Force, che ha già un documento costituente, sarà ufficializzata al summit G20 di novembre
Il secondo tema “caldo” è quello della minimum tax per i super ricchi. Durante l’incontro del 24 luglio dei ministri delle finanze è stata avanzata dal governo brasiliano (e sostenuta da Sudafrica, Germania e Spagna, ma non l’Italia) di una tassa globale del 2% sulla ricchezza dei miliardari del mondo. Anche se colpirebbe solo 3.000 paperoni, raccoglierebbe circa 250 miliardi di dollari (227 miliardi di euro): un contributo significativo ai fondi globali per la riduzione della povertà, tutela della biodiversità e clima. La proposta è stata strutturata dall’economista e direttore dell’Osservatorio Fiscale Europeo Gabriel Zucman, ma attualmente fortemente opposta dagli Stati Uniti, in particolare dalla segretaria al Tesoro, Janet Yellen.
“Mentre sentiamo sempre dire che i finanziamenti pubblici sono scarsi, l’estrema concentrazione di ricchezza danneggia tutti. Tassare di più coloro che sono responsabili dell’inquinamento più elevato e che rimangono in gran parte esenti dal pagamento delle tasse, è una strategia vantaggiosa per tutti: è un modo radicale per sbloccare i bilanci degli Stati e allo stesso tempo combattere efficacemente l’evasione fiscale“, ha dichiarato Rebecca Thissen, Global Advocacy Lead di CAN International, in una nota ricevuta dall’autore.
Sebbene non sia stata presa una posizione forte al summit dei ministri delle finanze di luglio, per vari analisti, ci sono ancora possibilità di trovare una menzione nel comunicato finale di novembre.
Finanza Climatica. Dal G20 a COP30
C’è poi il dossier clima e ambiente, importantissimo per il governo di Lula. Il presidente e il suo entourage sperano di convincere i Paesi membri del G20 ad aumentare i loro contributi finanziari per affrontare il cambiamento climatico e rafforzare gli impegni all’interno dell’Accordo di Parigi (in vista del rinnovo degli NDC nel 2025). Per raggiungere questo obiettivo, il Brasile ha proposto la G20 Taskforce on a Global Mobilization against Climate Change (TF-CLIMA), presieduta delle economiste Mariana Mazzucato e Vera Songwe. La task force promuoverà un dialogo di alto livello tra governi, istituzioni finanziarie e organizzazioni internazionali per migliorare l’allineamento macroeconomico e finanziario globale al fine di attuare gli obiettivi della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e dell’Accordo di Parigi
Facendo della riforma della governance globale una priorità, il Brasile spera di incoraggiare una maggiore partecipazione dei Paesi emergenti alle decisioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, spingendo per la riforma delle MDB (banche multilaterali di sviluppo), sulla rotta della Bridgetown agenda. Lula vorrebbe proseguire il lavoro avviato dalla Presidenza indiana del G20 per il rafforzamento delle MDB, aumentandone la capacità finanziaria, potenziando l’azione congiunta sul clima, solidificando il cofinanziamento e l’ambizione delle MDB di cooperare per incrementare la mobilitazione di capitali privati e la riduzione del debito. Secondo Barbara Buchner, Giovanna de Miranda e Maria Netto del think tank Climate Policy Initiative “è tempo di attuare le specifiche raccomandazioni di riforma delle MDB”, con specifici riferimenti al Fondo Monetario Internazionale, “suggerendo revisioni del ruolo che [FMI] potrebbe avere nel sostenere e valutare l’esposizione fiscale e le riforme, nonché le misure di risposta rapida e il sostegno necessario per i paesi vulnerabili”.
FMI dovrebbe svolgere un ruolo più significativo nella regolamentazione generale del sistema finanziario globale per ampliare la mobilitazione degli investimenti internazionali e nazionali e integrare i rischi climatici nel costo del capitale, rafforzando il prezzo del carbonio e la revisione degli standard di rating in base agli sforzi dei paesi nella lotta contro il climate change.
Sebbene di obiettivi finanziari globali si parlerà sia alla COP29-Clima di Baku a novembre che alla COP16-Biodiversità di Calì, in Colombia, in Ottobre, le difficoltà che perdurano all’interno dei negoziati potrebbero vedere rimandate decisioni importanti, che potrebbero essere tutelate sia da un forte comunicato finale al G20 in novembre, sia in un negoziato di successo a COP30 a Belem, entrambi a guida brasiliana.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. È Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019), Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018), Che cosa è l’economia circolare (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.