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Mari, la sfida dimenticata della sicurezza alimentare

Il cambiamento climatico ha un impatto importante sulla pesca. Dalla riduzione del numero di alcune specie all’impatto sulle dimensioni, fino alle modifiche di areale. Questo in alcune aree del pianeta può avere conseguenze rilevanti sulla food security

Per i pescatori di Zarsis, Tunisia, qualcosa sta cambiando nel mar Mediterraneo. “Le acque sono sempre più calde, i pesci sembrano più piccoli e troviamo specie che non finivano prima nelle nostre reti”, spiega Aziz, che lavora con un piccolo peschereccio lungo le coste tunisine. L’osservazione empirica di Aziz si accosta perfettamente a quanto sta osservando la scienza. Le temperature innanzitutto. Il Mar Mediterraneo è sempre più caldo: le temperature record che negli ultimi mesi hanno colpito l’area mediterranea continuano ad avere un impatto anche sul riscaldamento delle acque. Secondo il servizio di monitoraggio dell’ambiente marino del sistema satellitare Copernicus, la temperatura della superficie del mare registrata il 22 luglio scorso mostrava «un’anomalia fino a +5°». Ma il Mediterraneo non è l’unico mare a riscaldarsi.

L’anno scorso si è registrato un record di calore nei primi 2.000 metri della colonna d’acqua di tutti gli oceani del mondo, nonostante fosse in corso La Niña, un evento ricorrente che raffredda le acque del Pacifico. Per raggiungere le temperature del 2021 bisogna tornare al 1955. Ma quella si trattò di un’anomalia climatica, visto che gli anni precedenti e seguenti erano perfettamente nella media dell’epoca. Mentre il secondo anno più caldo per gli oceani dopo il 2021 è stato il 2020, e il terzo più caldo il 2019.

Gli impatti del clima sulla pesca

Oceani più caldi significa maggiore innalzamento dei livelli del mare (il calore ne espande il volume), tempeste di maggiori intensità (con rischi correlati per la navigazione), ma anche impatti sulla biodiversità e biomassa marina. Secondo numerose ricerche, una delle più recenti uscita su Frontiers in Marine Science dai ricercatori dell’Università della Columbia britannica, in mancanza di provvedimenti drastici, entro il 2100 il pesce catturato nelle acque marine in molti casi sarà ridotto a una frazione rispetto a quello presente oggi.

pescatore

L’insieme di diversi fattori come la pesca eccessiva, il riscaldamento delle acque e l’accumulo di mercurio potrebbero compromettere pesantemente la possibilità di continuare a ricorrere al Mare Nostrum e agli altri mari come fonte alimentare di primaria importanza. Già nel 2050 si potrebbero verificare riduzione degli stock ittici del 40% nelle aree tropicali (anche se in alcune aree settentrionali è previsto un aumento della pescosità). Cambia la quantità, ma cambiano anche le misure delle specie. La tesi è stata recentemente riconfermata da Jorge Avaria-Llautureo et. al sulla rivista Nature, dove si dimostra che alcune specie di pesci come le acciughe vedono una riduzione della massa corporea in acque più calde e con minore presenza di ossigeno. “la dimensione corporea dei pesci diminuisce dal 20 al 30% per ogni aumento di 1 grado Celsius della temperatura dell’acqua”, afferma William Cheung, direttore scientifico del programma Nippon Foundation- Università di Nereus. Ma la riduzione dell’ossigeno nelle acque marine dovuto a temperature più elevate impatterà anche e soprattutto alcune specie di grandi dimensioni.

Oltre alla riduzione degli stock varierà la distribuzione. È illuminante un recente studio pubblicato su Global Change Biology secondo il quale entro il 2100 gli effetti dei cambiamenti climatici porteranno quasi la metà dei pesci che ora nuotano in una o più zone economiche esclusive (Zee, la porzione di mare adiacente alle acque territoriali) a migrare dai propri habitat storici, rischiando di creare seri conflitti internazionali. Già al 2030, in assenza di un’accelerazione nella riduzione di emissioni di CO2, il 23% di queste risorse ittiche non vivrà più nel proprio habitat storico, e il 78% delle Zee sarà interessato dallo spostamento di almeno una risorsa ittica; entro il 2100 queste percentuali saliranno, con la migrazione del 45% delle risorse e il coinvolgimento dell’81% delle Zee.

Sicurezza Alimentare

I settori della pesca e dell’acquacoltura stanno diventando sempre più complessi dal punto di vista sociale ed economico. Danno lavoro a 260 milioni di persone, apportano una media globale di 17 chilogrammi per persona all’anno di alimenti, contribuiscono con circa 100 miliardi di dollari all’anno al commercio mondiale. L’aumento della resa della pesca di cattura marina nella seconda metà del XX secolo è stato quasi interamente dovuto all’espansione dello sforzo di pesca in mare aperto e ai tropici e gli aumenti della resa si sono stabilizzati negli ultimi 20 anni. Ora alla stagnazione della resa della pesca si aggiungono i fenomeni correlati al cambiamento climatico, riduzione degli stock, modifica degli areali di pesca e ridimensionamento del pescato, come si è appena visto.

pesce

Eppure il pescato è un prodotto chiave per la sicurezza alimentare globale. “Il pesce – e gli alimenti acquatici in generale – sono in gran parte ignorati nel dialogo sulla politica alimentare”, afferma Kristin Kleisner, scienziata capo del programma Environmental Defense Fund Oceans e autrice di un importante paper sul tema. “Si tratta di un’enorme svista, poiché il pesce offre una fonte fondamentale di nutrimento senza precedenti rispetto a qualsiasi altro tipo di cibo e spesso è l’unica fonte di nutrienti chiave per le popolazioni vulnerabili di tutto il mondo. Concentrandoci nuovamente sulla nutrizione, oltre ai molti altri vantaggi offerti dalla pesca, stiamo amplificando un invito all’azione per la cooperazione, le organizzazioni internazionali per lo sviluppo e la società in generale per investire nella sostenibilità della pesca di cattura e dell’acquacoltura”, aggiunge Kleisner. Le banche di sviluppo multilaterali e le grandi fondazioni, come la Gates Foundation, hanno dato poca attenzione ai processi di rigenerazione della pesca e sottolineato il grave danno del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare garantita dall’industria ittica.

Dunque, per preservare il ruolo chiave della pesca oggi è fondamentale investire in due direzioni. La prima, scontata, è sostenere l’applicazione dell’Accordo di Parigi e farne una politica di sicurezza alimentare in tutti i paesi sviluppati e in via di sviluppo, con coinvolgimento del settore ittico, riducendo ad esempio l’uso di combustibili fossili a favore di biocarburanti e carburanti sintetici alternativi (ammoniaca, idrogeno). Secondo implementare con forza l’Accordo di Montreal della Cop15 sulla biodiversità che si chiuderà a dicembre in Canada. Garantire una quota importante di aree marine protette del 30% (attualmente sono solo il 7,5%) sarà fondamentale per la rigenerazione degli stock ittici e per contrastare gli effetti negativi della crisi climatica. Lavorare con le comunità di pescatori su progetti di tutela nelle aree dei paesi sviluppati, come fatto anche in passato dalla Ong Oikos in Mozambico e Myanmar, sarà sempre più una strategia fondamentale per la food security, per la decarbonizzazione (le aree protette hanno maggiore capacità di assorbimento della CO2) e di tutela della biodiversità marina e di tutti i servizi naturali, non alimentari, che i nostri mari e oceani ci forniscono ogni giorno.

Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.

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