Myanmar, il rischio di una crisi ambientale-alimentare sistemica
Camminando nelle foreste a nord di Myitkyina, nel Myanmar settentrionale, s’incontrano palissandri del Siam, acacie, ficus del caucciù, avvolti dalla selva delle felci e degli arrampicanti. Siamo in uno dei polmoni verdi della terra.
Il Myanmar, secondo il Global Forest Resource Assessment (FRA, 2016) della FAO, ha anche il terzo più alto tasso di deforestazione al mondo, con 546.000 ha di perdita netta di foreste all’anno (periodo 2010-2015) dopo e il Brasile. Dal punto di vista climatico questo significa 335 milioni di tonnellate di emissioni di CO₂. Quasi l’equivalente di quanto emette l’Italia (352Mt) in un anno.
I driver della deforestazione sono i soliti: mercato illegale del legname, attività mineraria, necessità di nuovi terreni agricoli e cattivo sfruttamento di quelli esistenti, uso domestico della legna (riscaldamento e cucina) legato all’aumento della popolazione. E la tendenza è in aumento invece che diminuire. Nel 2017 si sono tagliati alberi otto volte di più che nel 2001. Il 41% di questo suolo , illustra Global Forest Watch, non tornerà più ad essere foresta. Le regioni più colpite: Mon, Kachin e Naypyitaw.
Non si può nemmeno affermare che la deforestazione sta offrendo opportunità per aumentare la sicurezza alimentare. Il Myanmar ha un GHI (Global Hunger Index, indice globale della fame) superiore a 20, quindi considerato “serio”.
«Conflitti persistenti, violenza intercomunitaria, povertà cronica e shock legati al clima stanno attualmente guidando alti livelli di grave insicurezza alimentare», spiega Xavier Bouan, Senior Technical Advisor di FAO in Myanmar, intervistato da Oltremare. «Secondo l’ONU circa 823.600 persone colpite dal conflitto che vivono negli stati di Kachin, Kayin, Rakhine e North Shan sono vulnerabili a una grave insicurezza alimentare».
La mancanza di un’agricoltura specializzata e avanzata, insieme all’insicurezza alimentare, ha accelerato la deforestazione (alimentata dal mercato illegale del legname) per fare spazio a nuovi campi, creati velocemente e senza pianificazione, bruciando e disboscando senza controllo. Comportando un grave danno alla sicurezza alimentare del paese. Le foreste infatti, oltre che assorbire CO2, forniscono anche servizi ecosistemici essenziali che supportano l’agricoltura sostenibile regolando i flussi d’acqua, stabilizzando i suoli, mantenendo la fertilità del suolo, regolando il clima e fornendo un habitat vitale agli impollinatori selvatici e ai predatori di parassiti agricoli.
Deforestazione e allagamenti
Gli effetti si sono fatti vedere anche quest’anno. Da Giugno a Ottobre 2018 inondazioni di grandi dimensioni hanno causato devastazione nelle aree rurali del paese. Centomila persone hanno perso le proprie abitazioni. Oltre 527.000 ettari di colture sono stati distrutti, per la maggioranza riso, 242.000 capi di bestiame sono stati uccisi. Gli agricoltori hanno subito la perdita di attrezzi e fertilizzanti, sistemi d’irrigazione e barche da pesca sono stati irrimediabilmente danneggiati. Il danno economico e alimentare ha messo in ginocchio decine di migliaia di famiglie.
«Il Myanmar è molto vulnerabile ai cambiamenti climatici e alle condizioni meteorologiche estreme», spiega Andrea Berloffa – Senior Resilience Officer della FAO. «ed è uno dei paesi più disastrati dell’Asia. Si classifica al terzo posto su 187 paesi nel Global Climate Risk Index. Si posiziona inoltre al 12 ° posto su 191 paesi nell’Indice of Risk Management (INFORM) e al quarto posto in termini di esposizione ai rischi naturali e climatici». Il paese è soggetto a una serie di pericoli naturali tra cui cicloni, tempeste, alluvioni, frane, terremoti, tsunami, siccità, piogge irregolari e incendi boschivi.
A rendere ulteriormente vulnerabile il paese sarebbe proprio il taglio incontrollato degli alberi. «L’eliminazione degli alberi significa maggiore esposizione a questi fenomeni. Non a caso le regioni più esposte sono Ayeyarwady, Mon, Rakhine e Dry Zone, quelle regioni che hanno avuto i più alti tassi di deforestazione negli ultimi 10 – 15 anni», continua Franz Arnold – Forestry Officer locale della FAO.
Non mancano i progetti di cooperazione internazionale per fermare questa catastrofe, che è bene ricordare ha impatti ben al di fuori dei confini nazionali. FAO ha lanciato una serie di progetti per promuovere la conservazione e la valorizzazione delle risorse carboni attraverso una gestione sostenibile del cambiamento di uso del suolo e alla silvicoltura. «Si rafforzeranno le pratiche correnti di gestione sostenibile del territorio (SLM), gestione sostenibile delle foreste (SFM) e Climate Smart Agriculture (CSA). Il progetto persegue un approccio innovativo per la pianificazione integrata dell’uso del territorio, il rafforzamento delle capacità a tutti i livelli, il coinvolgimento della comunità e la promozione e l’upscaling delle migliori pratiche per la gestione sostenibile delle foreste e l’agricoltura intelligente del clima in tutto il paesaggio», spiega Berloffa.
Tanta attenzione anche per il programma per la lotta alla deforestazione e la promozione della riforestazione UN-REDD, attivo in Myanmar dal 2014 con un sostegno mirato e dal 2016 con un programma nazionale completo. In questo contesto, la FAO sostiene il potenziamento del sistema nazionale di monitoraggio delle foreste, compresa la pianificazione e la progettazione di un inventario forestale nazionale, il miglioramento del monitoraggio dei terreni e delle foreste via satellite, nonché lo sviluppo di un sistema di informazione di salvaguardia per REDD +.
Cox Bazar
A rendere difficilmente controllabile la deforestazione, oltre la presenza di società cinesi poco trasparenti e di gruppi criminali locali legati al commercio del legno (8000 tonnellate di legno confiscate nel solo 2018, secondo il giornale Global New Light of Myanmar, ma le stime reali sarebbero molto più alte) sono le continue ritorsioni dell’esercito birmano – approvate anche dal premio Nobel Auug San Suu Ky – contro le minoranze etniche. A causa delle persecuzioni militari nei confronti dei Rohingya, una minoranza musulmana osteggiata dal governo di orientamento buddista, un milione di profughi ha abbandonato lo stato del Rakhine per riparare sulle alture circostanti a Cox’s Bazar, una cittadina in territorio bengalese. Questa catastrofe umanitaria ha avuto forti impatti sulla situazione forestale dentro e fuori il confine. Secondo il giornalista Sumon Corraya di Asia News “le famiglie Rohingya che risiedono nei campi profughi di Ukhia e Teknaf bruciano ogni giorno circa 2.250 tonnellate di legna da ardere solo per cucinare”. La deforestazione incontrollata (e purtroppo necessaria), che ad oggi ha visto scomparire 7mila ettari di foresta, ha contribuito grandemente agli allagamenti di fine estate, che hanno reso la vita nei campi profughi ancora più difficile. Per cercare di porre rimedio alla situazione IOM e FAO hanno piantato a Cox’s Bazar 45.000 alberi con il supporto dei rifugiati Rohingya e dagli abitanti dei villaggi Bazar. Un contributo per invertire i danni ambientali causati dall’arrivo di circa 730.000 rifugiati Rohingya dal Myanmar nella zona solo da gennaio. Le due Agenzie Onu pianteranno altri 36.500 alberi e milioni di talee entro la fine dell’anno. Altre associazioni come Caritas, stanno lavorando per distribuire bombole del gas ai rifugiati, in modo che non abbattano più gli alberi.