Per Espen Stoknes al Festival della Diplomazia: cerchiamo un nuovo modello di crescita
Oltremare ha intervistato l’economista e psicologo norvegese per fare il punto sul tema della crescita tra greenwashing, falsa sostenibiltà, mancata inclusione sociale e metriche economiche classiche
Dal 20 al 28 ottobre torna a Roma il Festival della Diplomazia, una no-stop di nove giorni con oltre 100 eventi in 25 sedi diverse della capitale con tanti ospiti internazionali. Si parlerà di sicurezza energetica, cooperazione, cybersecurity e transizione ecologica. Uno degli incontri più attesi, per chi si occupa di economia ambientale, è quello con Per Espen Stoknes autore di “L’economia di domani. Una guida per creare una crescita sana e green”, in uscita per Franco Angeli Editore. Classe 1967, Per Espen Stoknes è psicologo ed economista. Dirige a Oslo il Master of management ma è stato anche dal 2017 al 2021 parlamentare dei Verdi. È membro del Club di Roma e startupper fondatore di GasPlas, che produce di idrogeno e grafene da biogas. Oltremare lo ha intervistato per approfondire la sua visione sul complesso tema della crescita.
Nel suo libro propone una discussione molto innovativa sulla dicotomia crescita-decrescita, la prima paradigma dell’economia neoclassica la seconda principio di un’ecologia radicale e riduzionista, andando oltre e cercando una nuova dimensione di riflessione socio-economica.
Il dibattito economico sulla crescita è una fallacia teologica. O la crescita ci porta il paradiso o ci porta l’inferno. Lo stesso tipo di polarizzazione è impiegata quando si parla di decrescita. Siamo bloccati in un dogmatico aut-aut. Il tentativo principale nel libro è di contribuire a una comprensione più sfumata della crescita. Che tipo di crescita e quale crescita in cosa? Apprezziamo la crescita del benessere e la crescita della realizzazione spirituale, mentre vediamo come negativa la crescita nella disuguaglianza o crescita nell’uso delle risorse. Se invece si discute di tutela dell’ambiente e coesione sociale, parlare di decrescita, è come spararsi nei piedi. Serve invece una crescita sana basata sull’espansione della creazione di valore aggiunto dove le aziende possano conciliare le loro attività in modo sistemico e auto-rinforzante con le preoccupazioni di tipo ambientale e ridistributivo. Possiamo riconfigurare i numeri del vecchio Pil in modi completamente nuovi; per esempio, verificando che la crescita preveda un uso sufficientemente produttivo delle risorse e sia abbastanza inclusiva. Tanto i favorevoli quanto i contrari alla crescita, sia gli investitori di lungo termine sia gli attivisti, dovrebbero essere in grado di accogliere favorevolmente la crescita del valore aggiunto che genera sufficiente produttività delle risorse e produttività sociale.
Nel titolo si parla di una crescita verde ma che lei afferma che non può essere divisa dal concetto di crescita sana.
Noi possiamo avere una finta crescita verde, dove non ci sono apprezzabili differenze nell’impatto, ovvero dove dipingiamo solo di verde un’azienda che non riduce realmente uno dei tre criteri di misura collegati all’impronta ambientale: l’impronta di carbonio (le emissioni di gas serra in tonnellate), l’impronta dei materiali (misurata come consumo complessivo di biomassa, fossili, metalli e minerali in tonnellate) e l’impronta ecologica (in ettari globali di biocapacità). Tutti e tre sono metodi di misurazione dell’impronta ambientale di qualunque attività economica. Se c’è crescita economica ma aumenta l’impronta ambientale sussiste una crescita grigia. Così come una riduzione della ricchezza (il Pil è una misura imperfetta) può generare impatti ambientali positivi ma ha impatti sociali conseguenti, che determinano una decrescita grigia. Se invece noi abbiamo una produttività delle risorse maggiore del tasso di cambiamento del Pil reale abbiamo una crescita verde. Ma dobbiamo andare oltre il modello della crescita verde, serve anche una crescita sana, dunque inclusiva e non disequilibrata con un importante tasso di cambiamento del valore aggiunto/riduzione impatto ambientale per anno. Questa è una crescita verde genuina. Lo spiega dettagliatamente con formule e calcoli, una delle parti più intriganti e complesse del libro.
Nella terza parte del libro parla invece di come raggiungere questa crescita sana e green. Quale modello dobbiamo applicare?
Dobbiamo creare un sistema triangolare. Il problema con l’economia tradizionale è che si concentra solo su individui e aziende. I governi si dice devono sempre avere un ruolo ridotto nel mercato, almeno nella visione neoliberista dell’economia. Mentre per raggiungere l’equilibrio del triangolo, abbiamo bisogno di un cambiamento rapido sia in ciò che fanno gli individui che in ciò che fanno le aziende, sia nel maggiore ruolo di chi governa la cosa pubblica. Se ad esempio le aziende escogitano prodotti verdi, ma non abbastanza individui li acquistano, o il governo non dà incentivi sufficienti, allora i prodotti più sostenibili e innovativi potrebbero non farcela sul mercato, perché è più economico fare e comprare prodotti inquinanti. Quindi ciò di cui le aziende veramente green e innovative hanno bisogno è che i politici alzino l’asticella, magari con un public procurement green, creando appalti che costringano il mercato alla produzione di prodotti verdi. Questo porterà ad una maggiore innovazione e riduzione dei costi. Infine c’è la relazione tra cittadini e governo: abbiamo appena visto in Italia che chi cerca di fare politiche sostenibili non viene rieletto. Serve una trasformazione ad ogni livello per attuare una transizione.
Fondamentali per capire gli impatti ambientali e sociali sono le metriche. Lei critica però gli Esg (Rating di sostenibilità) come insufficienti, come mai?
Oggi ci sono circa 600 diverse classifiche Esg, un vero caos. Sono metriche che non ci dicono quale sia il tasso di cambiamento. Guardano solo un anno di performance e poi classificano le aziende l’una rispetto all’altra. Se qualcuno è “un po’ meglio del peggio”, questo non lo rende necessariamente “bravo”. I ranking Esg non dicono se le aziende stanno contribuendo a cambiare il sistema economico abbastanza rapidamente. Per questo, nel libro propongo come metriche la produttività del carbonio e la produttività delle risorse per la dimensione verde e l’inclusione sociale o la produttività sociale per la dimensione sociale. Prendiamo le aziende petrolifere: sono state tutte create nel 1900 quando il problema del clima non si conosceva. Però oggi non abbiamo bisogno di puntare il dito contro di loro perché sono intrinsecamente cattivi. Se voglio puntare il dito, è perché non stanno contribuendo a una transizione sufficientemente rapida dal modello di business del 1900. E questo è il bello della produttività aziendale e della produttività sociale. Riguarda il tasso di cambiamento. Ti devi confrontare con la tua performance storica e ti doti di obiettivi basati sulla scienza (Sbts, Science Based Targets), che offrono una misurazione arbitraria. Dovremo sostituire Esg con i Sbts
Quale è l’importanza di creare una visione per il futuro per l’economia?
Se non riusciamo a immaginare un futuro più attraente, allora probabilmente non siamo in grado di costruirlo o di lavorare per esso. Molte aziende nel mondo utilizzano strumenti di scenario-building. Mentre per la politica, essendo spesso gli incarichi a breve termine, manca svolgere questo esercizio.
Servirebbe un’agenzia per il futuro del governo?
Serve fare come fanno le aziende che costruiscono esercizi anche finanziari su questo. La Taskforce for Climate Financial Disclosures (Tcfd) richiede che sia l’azienda segnalare gli scenari in uso: che tipo di clima futuro e che tipo di cambiamenti futuri del mercato stai pianificando? Altrimenti, gli investitori non investiranno nella tua azienda. Lo stesso devono chiedere i cittadini alla politica: in che futuro sto investendo votandoti?
Che indicazioni quindi dare per il mondo della diplomazia?
Usciamo dal modello di crescita lineare “di più uguale più grande” e introduciamo versioni della crescita più cicliche e complesse. Per utilizzare una metafora greca è ora di passare da Ercole a Hermes.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.