Pianeta: Il 2018…visto dalla Terra
Il 2018 è stato un anno importante per i temi ambientali globali. Innanzitutto per l’allarme climatico. Le emissioni di gas serra sono tornate a crescere (+2,7). L'Osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii ha rilevato una concentrazione media di biossido di carbonio atmosferico, il principale gas serra, superiore a 410 parti per milione (ppm), la media mensile più alta mai registrata dall’uomo e secondo i paleoclimatologi, il valore più elevato degli ultimi 800.000 anni.
Per fronteggiare l’allarme clima, il Panel Intergovernamentale sui Cambiamenti Climatici ha pubblicato un importante report per mostrare le differenze tra un aumento medio delle temperature globali di 1,5°C e 2°C entro il 2100, l’attuale goal dell’Accordo di Parigi. Con l’obbiettivo meno ambizioso (2°C) rischiamo decine di milioni di morti in più, la distruzione della barriera corallina, un aumento di oltre 0.10 metri del livello globale dei mari, maggiori impatti legati a malattie e disastri meteo. Attualmente però l’aumento previsto, se non implementiamo l’Accordo di Parigi, sarebbe di 3,8°, uno scenario catastrofico.
Su Oltremare abbiamo raccontato in dettaglio gli impatti sulla salute legati al climate change. Numerosi studi hanno accertato che il riscaldamento climatico a lungo termine tende a favorire l’espansione geografica di diverse malattie infettive e che gli eventi meteorologici estremi possono contribuire a creare opportunità per epidemie o focolai di malattie, in cluster, luoghi e tempi non tradizionali. A conti fatti le epidemie potrebbero raddoppiare nei prossimi vent’anni.
Bisogna lavorare dunque su mitigazione e adattamento. Partendo anche dalla cooperazione allo sviluppo, che deve lavorare concretamente su progetti sempre più orientati alla sostenibilità ambientale e alla resilienza a questi fenomeni estremi. Focalizzando il lavoro anche in ambiti come il turismo, che molto spesso devasta aree ancora incontaminate nei LDCs, non portando reale beneficio alle popolazioni locali, piuttosto privandole delle risorse naturali a loro disposizione.
Sempre più risorse economiche dovranno essere veicolate nella lotta al cambiamento climatico, sia attraverso le agenzie di cooperazione allo sviluppo, che tramite le Ong e i progetti bilaterali. La finanza climatica è la chiave di volta per sostenere questa rinnovata azione di cooperazione allo sviluppo. 100 miliardi di dollari l’anno per la lotta al cambiamento climatico a partire dal 2020, questa è la cifra che secondo le Nazioni Unite dovrebbe essere movimentata per aiutare gli stati più poveri ad affrontare il climate change. Una sfida ambiziosa, che dovrà raccogliere risorse da numerosi canali, dai grandi fondi multilaterali pubblici come il Green Climate Fund, alle partnership pubblico-private. L’Italia in questo c’è, avendo erogato nel biennio 2015-2016 la somma di 729,75 milioni di dollari per progetti di cooperazione e sviluppo inerenti al clima. Finanziamenti che serviranno soprattutto per garantire la sicurezza alimentare, messa a serio repentaglio dal cambiamento climatico. Oppure per sostenere processi di riforestazione, una delle chiavi per assorbire dall’atmosfera la terribile CO2, partendo dai paesi più esposti alla deforestazione, come Indonesia, Cambogia, Brasile, Colombia, Myanmar, lavorando attivamente sui conflitti sociali e politici che spesso sono alla radice di estese campagne di deforestazione.
Il 2018 sarà anche l’anno con il più alto numero di vittime tra i difensori della terra? Nel 2017 sono stati uccisi ogni settimana quattro ambientalisti e difensori del pianeta. Quest’anno potrebbero essere oltre 250, se i dati saranno confermati. Cresce soprattutto il numero di donne ammazzate per difendere la terra: 18 lo scorso anno e sei uccise durane la prima metà del 2018. Le donne “guardiane della terra” hanno sofferto numerose minacce di genere, in particolare violenza sessuale. Sono state spesso sottoposte a campagne diffamatorie, hanno ricevuto minacce contro i loro figli e hanno subito assalti e distruzione di proprietà. In tante sono intimate di “stare al loro posto”, sfruttando la diffusa cultura machista, impedendo così di assumere posizioni di leadership, come racconta l’economista femminista Meriama Williams
Una delle vittime più note è stata Berta Caceres, premio Goldman per l’ambiente per la sua lotta in Honduras per fermare il complesso idroelettrico Aqua Zarca, che avrebbe devastato le terre della sua comunità indigena. È stata uccisa nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016, a colpi di arma da fuoco, nella sua abitazione in Honduras. A oggi ancora i suoi sicari sono ancora a piede libero. Caceres è stata un’altra vittima del watergrabbing, il fenomeno di accaparramento delle risorse idriche, che di anno in anno si fa più grave, a causa dell’aumento dei consumi, dell’inquinamento e del cambiamento climatico. Sarà possibile raggiungere una pace blu? Le guerre per l’acqua rischiano di aumentare, in particolare nei grandi bacini fluviali come il Nilo e il Mekong che bagnano plurime nazioni. 276 laghi e bacini transnazionali sono condivisi da due o più Paesi, per un totale di 150 stati che impiegano la metà delle acque di superficie, e sono fonte del 60% dell’acqua dolce. Inoltre circa il 40% della popolazione vive lungo fiumi e bacini idrici che appartengono a due o più paesi con due miliardi di persone che condividono circa 300 sistemi acquiferi transfrontalieri. Una risorsa condivisa che se non gestita diplomaticamente può esacerbare conflitti. Dal 1948 al 2017 le Nazioni Unite hanno registrato trentasette incidenti politici che hanno portato a conflitti aperti legati all’acqua, mentre nello stesso periodo 295 accordi internazionali multilaterali sulla gestione idrica sono stati stipulati tra la parti, garantendo la pace e la collaborazione. Serve garantire il diritto internazionale all’acqua e favorire trattati per una gestione transfrontaliera delle acque.
Un ultimo dato. Nel 2018 è stata certificata l’estinzione del 60% delle specie di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi, avvenuta nel periodo tra il 1970 e il 2014. A lanciare l’allarme è il Wwf con il suo Living Planet Report 2018. La biodiversità è il confine planetario più critico di oggi. E la distruzione dell’uomo non si arresta. L’augurio è che il vento planetario possa cambiare nei prossimi due anni. Il 2020 è una data importante per segnare uno spartiacque sul futuro della Terra. L’Italia saprà essere un leader globale per il clima e per l’ambiente?