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Riparte la diplomazia per il clima: Usa e Cina di nuovo intorno a un tavolo

Joe Biden rilancia la diplomazia climatica con una due giorni virtuale. Cina ed Europa rispondono positivamente. Migliora l’outlook per i negoziati Cop26 di Glasgow di Novembre.

È stato un vertice insolito, forse uno degli ultimi grandi summit dell’era della pandemia, l’incontro di due giorni voluto il 22 Aprile dalla Casa Bianca. Riuniti intorno al tavolo virtuale, anche se per un breve momento nazioni rivali come Stati Uniti ed alleati, Cina, Russia, con l’obiettivo di trovare un nuovo impegno nella cooperazione sul clima. Oltre il formato televisivo del summit, con alcuni scivoloni tecnici – l’interruzione di Putin del discorso di Macron – è stato un vertice che ha saputo ridare speranza agli osservatori del processo internazionale sul clima, che ha come architrave l’accordo di Parigi. Innanzitutto perché gli Stati Uniti – tornati finalmente al tavolo dei negoziati – e una mezza dozzina di alleati si sono impegnati in nuovi significativi sforzi e finanziamenti per ridurre le emissioni dannose per il clima.

Ridurre le emissioni di combustibili fossili degli Stati Uniti fino al 50-52% entro il 2030. Questo l’impegno che Joe Biden ha annunciato, un raddoppio delle riduzioni che l’amministrazione Obama si era impegnata a realizzare nel Paris Agreement nel 2015. Secondo gli ambientalisti sarebbe stato auspicabile un 57%, obiettivo in linea con la scienza e il traguardo di contenimento dell’aumento di temperature globali sotto 1,5°C. ma non si può dire che l’annuncio non sia ambizioso, trattandosi di Stati Uniti.

“Siamo risoluti ad agire. Rispondendo e combattendo i cambiamenti climatici vedo l’occasione di creare milioni di posti di lavoro. È il decennio decisivo per evitare le conseguenze peggiori: dobbiamo agire. Questo vertice è il primo passo del cammino che dobbiamo fare insieme” ha detto Joe Biden.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden durante il Summit © AP Photo/Evan Vucci

Cina, Europa e gli altri

Si attendeva un nuovo annuncio da parte della Cina, che ha invece ribadito l’intenzione a raggiungere emissioni nette zero al 2060 e il picco delle emissioni entro il 2030. Il messaggio più importante però l’ha rivolto all’audience domestica. Nel suo discorso il presidente Xi Jingping ha evidenziato la necessità di muoversi più velocemente per rallentare la costruzione cinese di nuove centrali elettriche a carbone. “Vogliamo controllare rigorosamente l’energia del carbone”, un messaggio rivolto soprattutto ai funzionari provinciali cinesi sui futuri progetti di centrali a carbone. Secondo gli analisti la reticenza cinese a proclamare nuovi impegni è dovuta all’organizzazione americana dell’evento. Dunque bisognerà attendere la Cop26, il negoziato delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici un forum multilaterale, che si terrà a Glasgow a novembre, per conoscere i nuovi obiettivi cinesi.

L’Europa ha ufficialmente annunciato il suo impegno a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e l’obiettivo intermedio di ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.

Deboli gli annunci da parte di Giappone, Corea del Sud e Canada, su cui l’inviato per il clima John Kerry aveva fatto molte pressioni nelle ultime settimane. Il paese del Sol levante punta a -46% di riduzione entro il 2030, rispetto però ai livelli del 2013. L’obiettivo precedente era del 26%. Seul ha annunciato solamente di voler raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, e cancellare i finanziamenti pubblici a nuove centrali a carbone (all’estero). Il Canada di Justin Trudeau arriva solo ad un taglio del 40-45% rispetto ai livelli del 2005. Un +10% certo, ma pur sempre il segnale di un Paese green solo a parole, ancora troppo dipendente dalle fonti fossili e con troppi interessi legati al riscaldamento dell’artico.

Il capo di stato brasiliano, Jair Bolsonaro, manda il messaggio più controverso di tutti, dopo aver dato via libera al taglio indiscriminato dell’Amazzonia annuncia di azzerare la deforestazione (nel 2030). Il suo vero scopo? Farsi dare oltre 1 miliardo da Usa e Norvegia per un fondo speciale per la lotta alla deforestazione e fare incetta di risorse economiche per impegni che difficilmente rispetterà. Stessa linea per Putin che ha usato frasi di circostanza, sostanzialmente prive di contenuto. Certo già la sua presenza è un risultato dopo che Biden lo aveva definito un killer, mentre Mosca ammassa truppe al confine dell’Ucraina.

Giudizio positivo, riparte il multilateralismo

Difficile però non considerare il summit un successo diplomatico verde di John Kerry e dell’amministrazione Biden. La Cina, che guida l’amplio gruppo dei paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione, ha riconfermato l’interesse a proseguire nei negoziati sul clima che potrebbero vedere la conclusione definitiva del testo e delle regole di implementazione dell’Accordo di Parigi (mancano ancora i capitoli su finanza e meccanismi di verifica e monitoraggio). Una quadra politica che era mancata nel 2019 nel fallimentare summit di Madrid.

«I nuovi obiettivi presentati dai principali paesi occidentali invitati all’evento, primi su tutti gli Stati Uniti, sembrano portare ad una riduzione della forbice tra azioni necessarie a rimanere entro +1,5° gradi e impegni correnti del 12/14%», spiega Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network, una associazione il cui scopo è analizzare e promuovere politiche climatiche. Un buon passo avanti che dovrà però essere seguito da ulteriori e numerosi passi concreti in vista della Cop26. Servono strumenti politici e amministrativi ambiziosi per colmare il restante 86% dal traguardo. Questo Summit dovrà essere solo l’inizio del nuovo percorso multilaterale di ambizione sul clima. Percorso che, sei anni dopo la stretta di mano tra Obama e Xi Jinping, con Biden sembra vedere un ritorno al timone della coppia Stati Uniti-Cina».

Finanza Climatica

Intanto gli Usa provano ad accelerare sulla finanza climatica. Il presidente degli Stati Uniti ha chiesto al Congresso un aumento del 12% dei finanziamenti per il Dipartimento di Stato e altri programmi internazionali nell’anno fiscale da ottobre 2021 a settembre 2022 in cooperazione climatica. Questa proposta, che sarà discussa e utilizzata come guida dal Congresso, include un contributo di 1,2 miliardi di dollari al Green Climate Fund (Gcf) sostenuto dalle Nazioni Unite e 1,3 miliardi di dollari per altri programmi climatici bilaterali e multilaterali. Secondo Joe del Thwaites World Resources Institute: “Questo rimette in gioco gli Stati Uniti, ma non è all’altezza di ciò che è necessario per ripristinare la credibilità globale dell’America sul clima”. Sotto Barack Obama, gli Stati Uniti avevano promesso di finanziare tre miliardi di dollari, ma avevano erogato solo un miliardo di dollari prima che Donald Trump ritirasse il sostegno degli Stati Uniti dal Gcf. L’amministrazione Biden ha promesso di “mantenere” l’impegno dell’amministrazione Obama, ma 1,2 miliardi di dollari sono meno dei due miliardi di dollari che andrebbero riallocati nel Gfc.

 

Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center  IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.

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