Ucraina, danni collaterali all’ambiente
Dagli impatti ambientali al rischio nucleare, passando per emissioni climalteranti e infrastruttura idrica, la guerra in ucraina ha avuto impatti fortissimi. La cooperazione internazionale dovrà trovare soluzioni green per la ricostruzione
“I pesanti bombardamenti e il movimento di truppe e carri armati hanno inquinato l’aria, l’acqua e la terra, oltre a uccidere migliaia di persone e decimare l’economia del Paese”. Così esordiva al negoziato per il Clima Cop27, Svitlana Grynchuk, assistente del ministro dell’Ambiente dell’Ucraina, presente con una delegazione di diplomatici e tecnici di Kiev al summit Onu di Sharm el-Sheik dello scorso dicembre. Difficile avere una misura reale dei danni che ha causato e continua a causare la guerra perdurante in termini di clima, di risorse naturali, di suolo, biodiversità. Secondo stime del governo ucraino un quinto delle aree protette del Paese è stato rovinato dalla guerra e i danni ambientali, ad un anno dall’inizio delle ostilità ammonterebbero complessivamente a 51,4 miliardi di dollari. Incalcolabili i danni alla rete idrica, con dighe, canali, depuratori bombardati e distrutti, eliminando la fornitura idrica per milioni di civili, ma danneggiando anche ambiente e territori. Inconoscibili le conseguenze sulla biodiversità, così come sono difficilmente calcolabili le emissioni legate all’uso di fonti fossili per i mezzi militari (controbilanciate in parte dal triste stop all’economia ucraina e all’embargo russo).
“Questa non è semplicemente una guerra, questo è terrorismo di Stato ed è ecocidio“, ha continuato Grynchuk. “L’invasione ha ucciso la fauna selvatica, generato inquinamento e causato instabilità sociale. Lo stato terrorista continua a inviare missili alle nostre centrali elettriche. Il nostro ambiente è minacciato a causa di questo attacco terroristico”. Come tutti gli innocenti coinvolti di ogni parte, l’ambiente è un’altra vittima delle ostilità.
Danni ambientali
I danni più grandi sono quelli sui territori ucraini, in particolare quelli contesi, su tutti il Donbass. Durante il conflitto si sono verificati innumerevoli incidenti con dispersione di sostanze tossiche: carburanti, acidi, lubrificanti, sostanze tossiche di vario tipo rilasciati da bombardamenti, esplosioni, droni bomba, incendi del numero complessivo e delle location non si hanno informazioni esatte. “Nel 2015, abbiamo avuto un incendio in un impianto petrolifero che è stato uno dei più grandi disastri ambientali nella storia ucraina”, ha dichiarato al giornale online Grist, Yevheniia Zasiadko, capo del dipartimento climatico di Ecoaction, un’organizzazione no profit ucraina. “Da quando i russi hanno invaso, ci sono state più di 40 strutture di questo tipo distrutte in tutta l’Ucraina”.
L’intera gamma e la gravità delle conseguenze richiederanno una verifica e una valutazione dettagliata. Si è già mossa a proposito l‘Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, che sta supportando il governo ucraino nel monitoraggio dell’impatto ambientale da remoto e si sta preparando a intraprendere valutazioni dell’impatto sul campo, un compito colossale vista la portata e la diffusione geografica degli incidenti segnalati. L’organizzazione ha condotto una prima visita esplorativa in Ucraina nel 2022, a sostegno del coordinatore residente delle Nazioni Unite e su richiesta delle autorità ucraine e sta mobilitando maggiore sostegno per aiutare a valutare l’ampia gamma di impatti ambientali.
“La mappatura e lo screening iniziale dei rischi ambientali servono solo a confermare che la guerra è letteralmente tossica“, ha affermato in un comunicato la direttrice esecutiva dell’Unep Inger Andersen. “La priorità è che questa distruzione insensata finisca ora. L’ambiente riguarda le persone: si tratta di mezzi di sussistenza, salute pubblica, aria e acqua pulite e sistemi alimentari di base. Si tratta di un futuro sicuro per gli ucraini e i loro vicini, e non si devono fare ulteriori danni”.
Pericolo Nucleare
Se il Doomsday Clock, l’orologio del giorno del giudizio che misura il pericolo di un’ipotetica fine del mondo a cui l’umanità è sottoposta è quanto mai vicino alla mezzanotte, continua anche a persistere il rischio nucleare legato alla centrale di Zaporizhzhia, dove la probabilità di un incidente atomico rimane alta. “Non so per quanto tempo saremo fortunati ad evitare un incidente nucleare”, ha dichiarato alla stampa a fine gennaio Rafael Grossi, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). È una “situazione bizzarra [quella della centrale atomica]: una struttura ucraina nel territorio controllato dalla Russia, gestita da russi, ma operato da ucraini”. Sfortunatamente, non dobbiamo preoccuparci solo di Zaporizhzhia. Sebbene non sia stata prestata loro molta attenzione, ci sono, infatti, altre 14 centrali nucleari nel teatro del conflitto e la Russia ha sequestrato anche l’impianto in rovina di Chernobyl, dove ci sono ancora notevoli scorie radioattive calde che devono essere mantenute fresche. La possibilità di un incidente rimane concreta.
Ricostruzione e ambiente
La guerra provoca emissioni, così come le sue conseguenze. L’Ucraina stima che la ricostruzione delle sue città, città e industrie distrutte causerà l’emissione di quasi 50 milioni di tonnellate di anidride carbonica, in un processo che dovrà essere indirizzato in maniere intelligente, favorendo processi moderni a basso costo e basse emissioni come le costruzioni prefabbricate off-site e il ripristino dei mezzi di trasporto pubblici. Per questo la cooperazione internazionale è chiamata fin da ora ad immagine un piano Marshall green di ricostruzione del Paese.
Sebbene un accordo di pace al momento sembra ancora lontano, si sono tenute già numerose conferenze per valutare la ricostruzione del paese. Si parla di circa mille miliardi di euro per la ricostruzione, tra infrastrutture, bonifiche e gestione degli ordigni inesplosi. A consigliare il governo di Volodymyr Zelenskyy sarà la banca di investimenti americana Jp Morgan Chase, che si è detta pienamente a disposizione, stando alle parole dell’amministratore delegato Jamie Dimon. Serviranno però aziende e know-how locali, specie per infrastrutture energetiche, idriche e di trasporto, che però andranno formati per adottare soluzioni cost-effective e a ridotto impatto ambientale, due condizioni che dovrebbero essere assunte come principio per qualsiasi investimento e fondo per la ricostruzione green – dato che molti saranno stranieri viste le casse all’osso del governo di Kiev. Le Nazioni Unite dovranno avere un grande ruolo insieme alla Banca Mondiale e al Fondo d’Investimento. “Milioni di ucraini sfollati hanno bisogno di un ambiente sano e sicuro in cui tornare a casa se ci si aspetta che possano riprendersi la vita. Non appena finire i combattimenti finiscono, e devono presto, deve essere sostenuta una colossale operazione di ripristino”, ha affermato Osnat Lubrani, coordinatore delle Nazioni Unite in Ucraina. Un compito monumentale, ma mai imponente e apparentemente impossibile quanto ripristinare la pace nella regione.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.