Africa: Area di libero scambio, un cantiere per il panafricanismo
Entrata in vigore a gennaio, l’Area di libero scambio continentale (Afcfta) apre un capitolo nuovo che può contribuire a trasformare l’Africa, a dare gambe e braccia a un sogno, quello del panafricanismo, che era rimasto nei cassetti del post-indipendenza
La notizia dell’anno, di questo inizio di anno, in Africa è l’entrata in vigore dell’Area di libero scambio continentale (Afcfta). Di quest’Area di libero scambio fanno parte tutti i Paesi africani ad eccezione dell’Eritrea. L’accordo apre di fatto alla possibilità di far circolare liberamente persone e merci da un Paese all’altro del continente. In sostanza, sta avvenendo quanto è avvenuto con l’Unione Europea. Con la differenza che parliamo di un continente con oltre un miliardo di persone, che saliranno a tre miliardi fra pochi decenni.
L’accordo di libero scambio favorirà il commercio interno africano, che oggi in media conta solo per l’8 per cento, ovvero soltanto l’8 per cento dell’export di un Paese africano è diretto verso un altro Paese africano, perché mancano le infrastrutture, manca la catena del freddo ma anche perché ci sono barriere tariffarie. Queste ultime con l’Afcfta andranno a cadere. La possibilità, quindi, di muoversi liberamente unita a uno sviluppo delle infrastrutture cambierà tutto, benché ci vorrà del tempo prima che i buoni propositi si trasformino da parole in fatti concreti.
Un rapporto della Banca mondiale pubblicato lo scorso luglio e intitolato “The African Continental Free Trade Area, economic and distributional effects”, sottolinea come l’Afcfta abbia il potenziale di far uscire milioni di persone dalla povertà e di fornire un valido cuscinetto contro gli effetti negativi del Covid-19. Secondo il rapporto, l’accordo, attuato integralmente, potrebbe aumentare il reddito continentale del 7 per cento, ovvero di 450 miliardi di dollari, accelerare la crescita dei salari per le donne e sollevare 30 milioni di persone dalla povertà estrema entro il 2035. Obiettivi raggiungibili e legati indissolubilmente al decollo del commercio intra-africano, al momento più che marginale nelle bilance di qualunque Paese africano.
L’idea di fondo, quella che anima l’area di libero scambio, è porre le basi perché i Paesi africani comincino a creare valore aggiunto, cioè a lavorare le materie prime di cui sono ricchi, a dotarsi per esempio di impianti di trasformazione dei prodotti agricoli. E tutto questo porterà a una maggiore prosperità e creerà milioni di posti di lavoro. L’area di libero scambio ha la forza di innescare questo processo. Un processo lungo, che non si esaurirà in poco tempo e che dovrà essere accompagnato da infrastrutture e implementazione di quanto al momento è solo su carta.
Il dibattito non è mancato, così come non sono mancate perplessità e critiche soprattutto nelle fasi preliminari e di discussione. C’è da dire allo stesso tempo che il progetto è stato varato con un certo entusiasmo. In un editoriale firmato da Rabah Arezki e Adeleke Salami, rispettivamente Vice-presidente e Principal Macroeconomist della Banca africana di sviluppo (Afdb), è stato sottolineato come proprio la pandemia stia in qualche modo obbligando ad accelerare una serie di percorsi che erano già stati pensati. “L’Africa – scrivono i due rappresentanti di quella che è la principale istituzione finanziaria panafricana – deve diversificare le proprie esportazioni, svincolandole dalle risorse naturali e dalle materie prime, che sono sensibili alle fluttuazioni dei prezzi, e orientandole verso prodotti trasformati e a valore aggiunto. Inoltre deve diversificare i partner commerciali, in modo da non lasciarsi sorprendere da improvvise variazioni della domanda da parte dei Paesi importatori di materie prime. A tal fine, l’Accordo di libero scambio ha iniziato a ridurre le barriere commerciali tra i Paesi africani e ha contribuito ad aumentare il valore del commercio intracontinentale”. In altre parole, con l’accordo l’Africa diventa più autonoma e indipendente dal resto del mondo, comincia a produrre per se stessa, si libera dal rischio di essere un semplice esportatore di materie prime grezze e un grande importatore di prodotti finiti.
Per Moono Mupotola, Direttrice del Dipartimento integrazione regionale della stessa Afdb, siamo di fronte a un passaggio storico, una pietra miliare sulla strada dell’unità africana. “L’Afcfta crea un mercato unico africano per tre miliardi di persone, guardando alle proiezioni demografiche, e un prodotto interno per il continente di circa 3.400 miliardi di dollari” sottolinea Mupotola in un’intervista al mensile Africa e Affari. “Ma quello che è più importante – aggiunge – è che questa zona di libero scambio va oltre il concetto tradizionale di area di libero scambio perché intende concentrarsi sulla circolazione transfrontaliera di merci ma anche di persone e investimenti e spingere la creazione di una maggiore connettività in tutto il continente. Quello che comincia quest’anno è un percorso”.
Un percorso che guarda al futuro: “Sono due i concetti prioritari che svilupperemo nei prossimi anni. Il primo è la creazione di catene di valore a livello regionale: per ora produciamo al massimo beni intermedi che poi vengono inviati in altre zone del mondo, mentre questi dovranno essere finiti in Africa. La seconda linea d’azione è l’abolizione delle barriere non tariffarie, il vero ostacolo al commercio interno africano. Abbiamo calcolato che solo rimuovendo questa voce il commercio intra-africano aumenterebbe del 50 per cento”.
Lasciando i numeri da parte, è stato Jean-Léonard Touadi, presidente del Centro relazioni con l’Africa della Società geografica italiana, a dare un po’ il senso degli sviluppi che forse, da questo lato del Mediterraneo, vengono appena percepiti ma che pure avranno grandi conseguenze: “L’Afcfta – ha scritto Touadi in un corsivo pubblicato ancora da Africa e Affari – è un pilastro fondamentale di un nuovo panafricanismo pragmatico che si incardina nella sfida delle cose da realizzare dentro il grande cantiere della ricerca di una via africana alla globalizzazione” e tra i progetti da realizzare Touadi cita la creazione di una moneta comune, di infrastrutture transcontinentali, di una maggiore autonomia di intervento nei conflitti e, appunto, di un mercato comune in grado di intensificare l’esiguo commercio intra-africano, anzi, per molti esperti africani, il mercato unico è la chiave per la rinascita economica del continente dopo la crisi di Covid-19. “L’Afcfta non è un sogno – conclude Touadi – ma un gigantesco cantiere che mette il panafricanismo sui binari della concretezza, del coraggio politico che conferisce al sogno delle gambe e delle braccia”.