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©Antonino Condorelli

Cop26: il grande imbroglio temuto dal continente africano

Per chi vive nella parte del nord del mondo la sensibilità per i cambiamenti climatici non può essere la stessa di chi vive in quel sud del mondo, povero, che non inquina pur subendo gli effetti di chi, nel nord, ha inquinato e si è arricchito. È una questione di prospettive.

Come è andata Cop26 per il continente africano? Se Glasgow, in generale, è stata vista dagli osservatori come – nonostante tutto – un passo avanti e non uno indietro, le discussioni e gli accordi raggiunti nelle sale della città scozzese sembrano ancora lontani dai bisogni dell’Africa, il cui appello non è riuscito a trovare sufficiente sostegno in seno all’assemblea dei rappresentanti dei 196 Paesi della Conferenza delle Parti (Cop) chiamati a trovare strumenti per mettere in cantina i combustibili fossili e aprire a un mondo in grado di ridurre le emissioni inquinanti e preservare i sistemi di vita del pianeta. Per chi vive nella parte del nord del mondo, la parte ricca, la sensibilità per i cambiamenti climatici, per il rispetto della natura e i rischi dell’inquinamento non può essere la stessa di chi vive in quel sud del mondo, povero, che non inquina pur subendo gli effetti di chi, nel nord, ha inquinato e si è arricchito. È una questione di prospettive, semplice e allo stesso tempo fondamentale per capire posizioni altrimenti difficili da metabolizzare.

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Qualche dato può aiutare a capire meglio, fermo restando che un elemento cruciale per lo sviluppo e la crescita dell’Africa nel prossimo futuro sarà la capacità o meno di far fronte all’impatto dei cambiamenti climatici e degli eventi naturali estremi. A fronte di un contributo alle emissioni inquinanti globali stimato in solo il 4% del totale, il continente africano è oggi il luogo dove gli effetti delle variazioni dei modelli climatici si avvertono maggiormente. Secondo i dati dell’Agenzia governativa statunitense che si occupa di meteorologia e climatologia (Noaa), i dieci anni più caldi registrati in Africa sono compresi tutti negli ultimi quindici. Un fattore, questo, che già da solo fornisce abbastanza elementi di riflessione. Ne sono consapevoli in Africa? La risposta è sì. Ed è un sì legato alla continua espansione del Sahara, al venir meno di risorse idriche, al moltiplicarsi di scontri intracomunitari per l’insufficienza di risorse, all’aumento di fenomeni climatici estremi.
Cosa pensa dunque l’Africa degli sforzi che un’altra parte del mondo sta facendo per contenere l’aumento delle temperature? La risposta non è così semplice e si annida nelle complessità determinate in questa semplice frase: perché dobbiamo sacrificare il nostro sviluppo e ancora una volta pagare noi per gli errori di un mondo che prima ci ha sottratto risorse, ha inquinato e adesso ci impone ancora una volta una sua soluzione mettendo dei paletti alla tanto attesa crescita economica? Certo, la questione è delicata, ma l’argomentazione tanto immediata quanto vera nella sua crudezza.

Qualche mese fa, sulle colonne di Foreign Affairs, il tema è stato trattato da Yemi Osinbajo con un articolo dal titolo che farebbe accapponare la pelle a Greta Thunberg e che è il seguente: “The Divestment Delusion. Why Banning Fossil Fuel Investments Would Crush Africa” ovvero “L’illusione del disinvestimento. Perché vietare gli investimenti in combustibili fossili schiaccerebbe l’Africa”. Diciamolo subito. Da vice presidente della Nigeria, Osinbajo è molto di parte, poiché rappresenta il principale produttore di petrolio del continente africano, ma è interessante notare che questa è la posizione di una parte almeno dell’Africa, la cui voce stenta a farsi sentire anche nei corridoi della Cop. Scrive Osinbajo: “Dopo decenni di profitto da petrolio e gas, un numero crescente di nazioni ricche ha vietato o limitato gli investimenti pubblici nei combustibili fossili, incluso il gas naturale. Tali politiche spesso non distinguono tra diversi tipi di combustibili, né considerano il ruolo vitale che alcuni combustibili svolgono nel sostenere la crescita delle economie in via di sviluppo, specialmente nell’Africa subsahariana (…). Limitare gli investimenti nel gas naturale in Africa farà poco per limitare le emissioni di carbonio a livello globale, ma molto per danneggiare le prospettive economiche del continente”. Continuando nella lettura, Osinbajo invita a tener conto delle differenze economiche tra i Paesi, parla di un’Africa affamata di energia e sostiene che la transizione energetica pur necessaria non deve avvenire a spese di un’energia accessibile e affidabile per le persone, le città e l’industria. Al contrario, dovrebbe essere inclusiva, equa e giusta, preservando “il diritto allo sviluppo sostenibile e all’eliminazione della povertà”. Una riflessione, si diceva, non isolata all’interno del continente africano.

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La passerella di Glasgow, benché positiva, ancora una volta non ha tenuto conto delle posizioni e delle problematiche di chi sta peggio. La transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in Africa deve rappresentare un’opportunità di sviluppo e rivelarsi un trampolino per risolvere gli impedimenti strutturali che ancora esistono. “Siamo favorevoli allo stop alle fonti fossili – ha detto il gabonese Tanguy Gahouma Bekalé, capo negoziatore del gruppo Africa alla Cop26 – ma l’Africa ha ancora bisogno di queste fonti per il proprio sviluppo. Non siamo sullo stesso livello: i Paesi ricchi parlano di cambiare modello energetico, noi parliamo di accesso all’energia. Dobbiamo raggiungere alcuni criteri di sviluppo prima di fermare l’utilizzo di queste fonti di energia”.
Sulla carta, le richieste che vengono dall’Africa sono ben note ai Paesi ricchi. Quel che è mancata però è stata la volontà di arrivare a soluzioni concrete. “Accogliamo con favore gli sforzi per mitigare le emissioni, aumentare i finanziamenti, sostenere l’adattamento e affrontare le perdite e i danni. Tuttavia, siamo preoccupati che la Cop26 non abbia identificato azioni tangibili per mantenere gli impegni in queste aree, che saranno essenziali per proteggere le comunità vulnerabili in tutto il mondo ed evitare conseguenze devastanti per milioni di rifugiati, sfollati interni e apolidi” ha detto Andrew Harper, consigliere speciale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Temi e impegni rinviati al prossimo anno, durante la Cop27 che sarà ospitata in Egitto.

 

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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