Davos, l’Africa e i rischi della globalizzazione
In occasione del World Economic Forum uno dei dibattiti ha riguardato la formazione dell’area di libero scambio africana promossa dall’Unione Africana. Un’iniziativa che potrebbe rivoluzionare gli scambi commerciali ma che, come avverte Oxfam International, presenta delle sfide.
Immaginiamo di avere un ufficio in Marocco con due impiegati, uno originario della Repubblica Democratica del Congo e uno del Camerun, e immaginiamo che debbano recarsi per lavoro in Kenya: al primo serviranno settimane per ottenere un visto d’ingresso, per il secondo invece sarà quasi impossibile. Di fronte alla platea accorsa a Davos per il consueto appuntamento del World Economic Forum, questo è uno degli esempi proposti per dare un’idea di cosa significhi oggi spostarsi tra un Paese africano e l’altro. Difficoltà a volte insormontabili e frontiere che bloccano il libero movimento delle persone ma anche delle cose. A spiegarlo, ancora con un altro esempio illuminante, nel corso di un Panel dedicato all’Accordo sulla zona continentale di libero scambio (AfCfta) firmato lo scorso anno a Kigali e promosso dall’Unione Africana, è stato Bernard Gautier, vice amministratore delegato di Wendel Group, una società di investimenti francese. “Oggi – ha detto Gautier – costa meno trasportare un’automobile da Parigi a Lagos piuttosto che da Accra a Lagos”.
Se questa è la situazione reale e se è più facile ed economico effettuare un trasporto tra Europa ed Africa (coprendo nel caso dell’esempio una distanza di oltre 6000 chilometri in maniera più agevole rispetto ai 450 chilometri che separano la metropoli nigeriana dalla capitale del Ghana), è opinione comune di molti economisti che essa di fatto costituisca un freno a uno sviluppo sostenibile e armonico del continente africano e che l’AfCfta sia una possibile soluzione.
Una soluzione che potremmo definire figlia della globalizzazione ma che, proprio per questo motivo, apre allo stesso tempo dubbi o quantomeno induce a riflettere anche sui rischi che possono essere determinati da una soluzione di questo tipo.
In quello stesso panel di Davos, si sono così confrontati il presidente della Banca africana di sviluppo (AfDB), Akinwumi Adesina, e Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Oxfam International, che alla vigilia del Forum aveva diffuso un rapporto sulle crescenti differenze tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più esclusi da una reale condivisione di sviluppo. E il punto centrale della discussione ha riguardato proprio l’AfCfta, questo nuovo blocco commerciale fortemente voluto dall’Unione Africana che è stato firmato da 49 Paesi sui 54 che costituiscono l’Unione e ratificato da 18 (bastano altre quattro ratifiche perché l’accordo entri in vigore).
Non è un mistero come l’AfDB sia a favore dell’Accordo, che ha l’obiettivo di consentire il libero movimento di beni e servizi e pervenire a un passaporto comune africano abbattendo così le frontiere anche per le persone. Abbattere questi muri – ha detto Adesina alla platea di decisori politici ed economici riuniti nella cittadina svizzera – significa cogliere il massimo delle potenzialità determinate dal rapido aumento della popolazione e dal costante progresso economico. “Pensate a una nuova Cina – ha insistito – perché stiamo parlando esattamente di questo. L’area di libero scambio continentale avrà un pil combinato di 3 trilioni di dollari, questo è il mercato su cui focalizzarsi”. Nel suo recente African Economic Outlook, l’AfDB si spinge oltre, ipotizzando che un iniziale aumento dei traffici commerciali Africa-Africa del 15%, grazie alla rimozione di dazi e dogane bilaterali, consentirebbe benefici immediati quantificabili in 2,8 miliardi di dollari. L’eliminazione di ulteriori barriere, secondo questa lettura, spingerebbe ancora più su l’asticella con volumi aggiuntivi per 37 miliardi di dollari e rimesse commerciali in crescita di oltre il 100%. Di questa spinta, ancora secondo l’AfDB, beneficerebbero soprattutto le piccole e medie imprese che rappresentano il 75% del comparto imprenditoriale africano.
A tirare le orecchie e mettere le mani avanti avvertendo dei rischi di una globalizzazione senza sufficiente attenzione e controlli, è stata la direttrice di Oxfam International. Se è vero che il 75% del mondo imprenditoriale africano rientra fra le piccole e medie imprese, è altrettanto vero che solo il 20% di queste ha accesso a strumenti finanziari; inoltre, altro punto fondamentale, 15 Paesi, guidati dal Sudafrica, contano per l’85% delle transazioni commerciali. Un’area di libero scambio favorirebbe di conseguenza chi ha accesso oggi alla finanza e darebbe un vantaggio enorme a chi già esercita una sorta di monopolio commerciale. La questione – ha detto Winnie Byanyima – è come affrontare le ingiustizie economiche. L’Africa e soprattutto le sue donne e i suoi giovani, ha detto, hanno bisogno di lavori che garantiscano sicurezza e non di una povertà che è assimilabile alla schiavitù: “Dobbiamo evitare che il nostro blocco commerciale consenta ai Paesi più ricchi di minare alle fondamenta il nostro sviluppo industriale”.