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© Mehret Tewolde

Donne, diaspora e la lezione del grande Eduardo De Filippo

La storia di Mehret Tewolde e delle tante donne che ce l’hanno fatta e rappresentano oggi un ponte di sviluppo e di umanità tra l’Italia che hanno scelto e i Paesi di origine.

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Occhi profondi, sguardo deciso, modi gentili. Mehret Tewolde la incontri e ti dà subito l’idea di una donna che guarda senza paure alla vita e che affronta le questioni con un coraggio naturalmente celato sotto questo strato di genuina gentilezza. Una carriera ventennale come dirigente bancaria alle spalle, un presente di impegno come direttrice esecutiva dell’Italia-Africa Business Week, piattaforma di incontri, ma anche di formazione e informazione, ideata insieme a Cleophas Adrien Dioma con il preciso obiettivo di far incontrare il mondo imprenditoriale e istituzionale dell’Italia e dei Paesi africani attraverso la diaspora.

Un percorso cercato con caparbia e dove hanno contato anche gli insegnamenti di un insospettabile maestro, il grande Eduardo De Filippo.

“Avevo 13 anni quando ho lasciato Asmara e l’Eritrea per trasferirmi a Roma. Mia mamma viveva in Italia già da qualche tempo e, dopo un anno dal mio arrivo in Italia, iniziò a lavorare come domestica proprio per Eduardo. È stato l’incontro che ha cambiato la mia vita, un nonno che mi dava consigli di vita che ancora oggi hanno senso e che hanno contribuito a rendermi la persona che sono, a riconoscere l’Altro come essere e non come un fenomeno o un numero. A rispettare se stessi e gli altri. Questo mi ha insegnato Eduardo, è riuscito a darmi una iniezione di fiducia che dura ancora adesso”.

Così la giovane Mehret studia e poi lavora per 27 anni nella banca del Vaticano (lo Ior) dove è la prima dirigente donna e dove riceve, tiene a precisare, “uno stipendio pari a quello dei colleghi uomini”. Essere di origine straniera ed essere donna, in un contesto come quello italiano può costituire un problema. Ma il problema, sottolinea spesso Mehret, è nel non riconoscere nell’Altro una persona: “il riconoscimento reciproco è il fondamento sul quale costruire una relazione e anche la base per una sana inclusione”.

Proprio su questo concetto di riconoscimento reciproco, di conoscenza, di condivisione di informazioni è stata costruita l’esperienza dell’Italia-Africa Business Week che ha, appunto, l’obiettivo di facilitare la conoscenza tra il mondo economico, commerciale e finanziario africano e italiano. “Un modo nuovo di fare cooperazione – aggiunge Mehret – che contribuisce a migliorare le relazioni e a favorire la creazione di reti, arrivando in questo modo a una crescita condivisa e reciproca”. Un percorso in cui la diaspora è chiamata a giocare un ruolo di primo piano e in cui le donne imprenditrici hanno a loro volta un palcoscenico importante benché più complesso da far valere. “Emergere in Italia come donna è complesso – dice ancora Mehret – come donna immigrata lo è ancora di più”.

 

© Mehret Tewolde

 

Secondo i dati dell’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere (aggiornati al giugno del 2018) le imprese gestite da immigrati sono 596.000 e di queste 142.738 sono a conduzione femminile, ovvero il 23,9%. Su base nazionale, la componente straniera guidata da donne rappresenta il 10,7% delle quasi 1 milione 335 mila imprese rosa in Italia.

Sanità e assistenza sociale (62,6%), servizi alla persona (57,3%), istruzione (50,9%) sono le attività dove le capitane d’impresa immigrate incidono maggiormente nel tessuto imprenditoriale straniero. Ma in termini assoluti il commercio resta di gran lunga il settore con la presenza più consistente di imprese femminili straniere (33,6%), seguito da servizi di alloggio e ristorazione (12,4%) e manifatturiero (11%). Lombardia, Lazio e Toscana – si sottolinea ancora nel documento – sono le regioni con il numero più elevato di iniziative femminili straniere in Italia, oltre 57.000 imprese ovvero il 40% di quelle complessivamente fondate da imprenditrici immigrate.

Interessanti anche gli elementi che emergono nel Rapporto Immigrazione e Imprenditoria pubblicato nel 2017 dal Centro Studi e Ricerche Idos e in particolare in un’analisi firmata da Maurizio Ambrosini, noto sociologo dell’Università di Milano. A fronte di una classifica che, per numero di imprese condotte, vede al primo posto le donne cinesi, il rapporto di Idos ma anche quello di Unioncamere mostrano la presenza al secondo e al terzo posto di donne rumene e marocchine con rispettivamente 11.827 e 8.705 titolari d’impresa (le cinesi sono invece 24.458): “una smentita – scrive Ambrosini – della passività e dipendenza delle donne originarie da Paesi a dominante musulmana”. Rumeni, marocchini e cinesi, in valori assoluti, occupano rispettivamente il primo, il terzo e il quarto posto nella classifica delle comunità straniere più numerose residenti in Italia al 2018 (il secondo posto è occupato dagli albanesi).

Sono profili inediti quelli che vengono fuori dalla ricerca compiuta da Idos, perché danno l’idea di un fenomeno – quello della partecipazione delle donne immigrate alle attività indipendenti – che ha assunto dimensioni significative pur essendo stato messo, finora, solo parzialmente in evidenza. Un fenomeno che può essere letto quasi come una reazione a un dato preoccupante che viene invece dal Dossier Statistico Immigrazione del 2018, anch’esso realizzato dal Centro Idos. Nel Dossier si sottolinea il fenomeno dei giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa. Ebbene, relativamente alle giovani straniere di 15-29 anni, l’incidenza di coloro che si trovano in questa condizione fa segnare un divario con le giovani italiane superiore ai dieci punti percentuali (quando invece il divario è nullo se la comparazione viene fatta tra maschi italiani e stranieri).

Quindi, se facciamo un bilancio di quanto sta avvenendo, dobbiamo considerare che le donne immigrate tendono ad avere meno opportunità delle coetanee italiane; allo stesso tempo, il fenomeno delle donne imprenditrici tra chi è immigrato in Italia è cresciuto, assumendo dimensioni significative.

Un aiuto a dare dei volti a questo fenomeno ci viene dal Moneygram Award, il premio assegnato ogni anno a imprenditori di origine straniera che hanno eccelso nelle rispettive attività. Nelle ultime due edizioni, il premio principale è stato assegnato a due donne. Nel 2017 a vincere è stata Yafreisy Berenice Brow Omage, della Repubblica Dominicana: trasferitasi in Italia nel 2012, Yafreisy con grande sforzo e determinazione ha rilevato un supermercato e un panificio diventando quindi la fornitrice di decine tra negozi e ristoranti. Nel 2018 invece il premio è andato a Marie Terese Mukamitsindo: giunta in Italia in fuga dal Rwanda – erano gli anni del genocidio – Marie Terese nel 2004 riesce a dare vita a una propria cooperativa sociale con cui prendono il via progetti di accoglienza anche per minori non accompagnati. La cooperativa è inoltre attiva in Africa con corsi di formazione per giovani in Ghana e Rwanda.

 

© Mehret Tewolde

 

Una storia simile a quella di Prisca Ojoc, fuggita invece dalle violenze che negli anni ‘80 avevano fatto del nord dell’Uganda un campo di battaglia. Prisca, che oggi vive a Bassano del Grappa, ha fondato l’associazione Mar Lawoti che in lingua acholi significa “amatevi gli uni agli altri”. In un’intervista all’agenzia di stampa Dire, Prisca ha raccontato del progetto ‘Donne per le donne’ e degli sforzi condotti per creare lavoro, grazie a donazioni italiane e in Uganda, a giovani donne e madri, scampate a schiavitù e violenze e impiegate ora in un atelier di moda ugandese. D’altra parte, è la stessa Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo a fare tanto in Africa e in altre regioni proprio a favore delle donne e della loro formazione con progetti specifici come il programma di ‘Upper Step Etiopia’, che va a supporto della formazione e dei processi di trasformazione di piccole-medie imprese ed enti governativi.

E pochi sanno che un volto noto per il suo passato di attrice, come è quello di Zeudi Araya, è oggi una imprenditrice di successo, in grado di rilanciare insieme a Massimo Cristaldi le attività della Cristaldifilm acquisendo nel 1996 la Lux Film e consentendo in questo modo la creazione di una delle più importanti Library di film classici italiani, composta da più di 300 film tra cui, oltre ai tre premi Oscar ‘Divorzio all’italiana’, ‘Amarcord’ e ‘Nuovo Cinema Paradiso’, anche titoli come ‘I soliti ignoti’, ‘Il Nome della Rosa’ e ‘Siamo uomini o caporali?’, solo per citarne alcuni.

“Eritrea come me – racconta ancora Mehret Tewolde – Zeudi Araya è un esempio di imprenditrice, di cui molti ricordano le incursioni cinematografiche, ma di cui pochi conoscono le capacità che è riuscita a esprimere come produttrice. E noi abbiamo bisogno di esempi, perché è da questi che si trae forza: per me, vedere negli anni ‘80 sulla Rai la rubrica del Tg2 Nonsolonero condotta dalla giornalista di origine capoverdiana Maria De Lourdes Jesus, fu un esempio e un messaggio di possibilità. Perché mi dicevo: se lei ce l’ha fatta, anche io posso farcela”.

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