Due gradi in più e sarà un altro Mediterraneo
I cambiamenti climatici sono una realtà e mai come ora servirebbe unità, perché in discussione ci sono temi e fenomeni che “vanno oltre le frontiere stabilite dagli uomini” sottolineano al Ciheam di Bari
Impatto, adattamento ai cambiamenti climatici e vulnerabilità legati a un aumento di gradi centigradi saranno al centro della prossima Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici (Cop27), in programma in Egitto dal 7 al 18 novembre. Con una differenza sostanziale rispetto alle precedenti edizioni: il mondo che si era ritrovato lo scorso anno a Glasgow non è lo stesso che si ritroverà a Sharm el Sheikh. Di mezzo ci sono una crisi economica globale innescata dalla pandemia e una guerra ancora in corso con conseguenze e inevitabili riflessi non soltanto sulla Cop ma su qualunque tipo di consesso internazionale.
“Eppure mai come ora servirebbero unità e pace, perché in discussione ci sono temi e fenomeni che vanno oltre le frontiere stabilite dagli uomini” sottolinea a Oltremare Maurizio Raeli, direttore del Ciheam Bari. Il mare, afferma Raeli, è uno di quegli elementi che più sta risentendo del cambiamento del clima, che di certo non può essere circoscritto all’interno di confini fisici. In altre parole, se il livello delle acque aumenterà non farà eccezioni; così come, se le temperature cresceranno, questo avverrà dappertutto. Il riferimento è in particolare al Mediterraneo, che è un bacino semichiuso, con scambi limitati con l’oceano e che proprio per questi motivi più risente dell’innalzamento delle temperature. Quanto sta avvenendo ha un effetto sul ciclo dell’acqua: evaporazione, condensazione, precipitazione, infiltrazione, scorrimento e flusso sotterraneo. L’aumento delle temperature sta modificando i tempi di passaggio dell’acqua da uno stato all’altro. I risultati sono molteplici: precipitazioni più importanti e in un ridotto lasso di tempo (come avvenuto nelle Marche a settembre); prolungati periodi di siccità con i fiumi che si prosciugano aprendo al tempo stesso a fenomeni di risalita delle acque marine. Seguendo questa traiettoria, sono poi evidenti gli effetti sulla biodiversità, sulla crisi degli ecosistemi attuali, sull’arrivo di specie aliene. E infine, c’è il risvolto sociale, con milioni di migranti climatici che si spostano da un luogo all’altro.
È in atto un disequilibrio che ha un impatto anche economico e che è certificato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc i rischi associati al cambiamento climatico previsto sono particolarmente elevati per le persone e gli ecosistemi nel bacino del Mediterraneo a causa della combinazione di vari fattori: una popolazione urbana numerosa e in aumento; un numero elevato di persone che vivono in città colpite dall’innalzamento del livello del mare; una grave e inarrestabile carenza idrica, già sperimentata oggi da Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente; una crescente domanda di acqua da parte del comparto agricolo per l’irrigazione; una elevata dipendenza economica dal turismo, che rischia di risentire dell’aumento del caldo; la perdita di ecosistemi marini e di ecosistemi nelle zone umide, nei fiumi e nelle zone montane.
Nel suo rapporto, l’Ipcc prospetta cinque possibili scenari. Pur ipotizzando uno scenario intermedio di innalzamento delle temperature, gli effetti sarebbero significativi. Nella sezione del documento dedicata al Mediterraneo si evidenzia come in Europa meridionale il numero di giorni con siccità e insufficienti risorse idriche aumenti in tutti e cinque gli scenari ipotizzati, anche in quelli più positivi. Nelle prospettive di un aumento della temperatura globale di 1,5°C e di 2°C la scarsità idrica riguarderà rispettivamente il 18% e il 54% della popolazione. Da qui la necessità di attuare politiche e iniziative che rafforzino la capacità di resilienza delle comunità costiere e al tempo stesso aprano nuove strade di sviluppo economico, così da evitare un sovrasfruttamento delle risorse.
Lungo questa linea si muovono alcuni progetti condotti da Ciheam Bari e finanziati dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). “Progetti che rispondono a una strategia molto chiara che fa perno su assistenza tecnica, scambio di conoscenze, trasferimento di know-how” sottolinea Massimo Zuccaro, coordinatore della Knowledge Unit su “Blue Economy e sviluppo sostenibile delle aree costiere” del Ciheam Bari. “Nei nostri progetti lo scopo fondamentale è quello di migliorare la qualità del lavoro e, in questo modo, la produzione e il benessere delle comunità coinvolte. Ciò significa ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali e rispondere anche così agli effetti dell’impatto climatico” spiega Zuccaro.
I progetti in cui questa strategia trova poi terreno di applicazione sono diversi. In Tunisia, “l’alleanza” tra Aics e Ciheam Bari ha condotto allo sviluppo del progetto Nemo Kantara a sostegno delle comunità costiere dei governatorati di Medenine e Gabes. La pianificazione è partita dal basso e sono stati realizzati interventi per migliorare le condizioni di lavoro dei pescatori artigianali. Ad esempio, sono stati costruiti cinque pontili per l’attracco delle imbarcazioni da pesca che consentono il recupero di sistemi di pesca tradizionali, come la charfiyah, una tecnica, premiata dall’Unesco e inserita nella lista del patrimonio immateriale dell’umanità, che sfrutta i bassi fondali delle isole Kerkenna. Ma si lavora anche sulla possibilità di diversificare le attività. Da due anni, infatti, il governo ha vietato la raccolta delle vongole perché divenuta una significativa fonte di pressione ecologica. Aics e Ciheam Bari si sono quindi attivati per sostenere migliaia di donne che erano dedite a questo tipo di attività, nelle zone di Medenine e Gabes in particolare, creando dei percorsi di formazione per avviare nuove attività.
“La diversificazione è per noi una parola chiave, uno dei nostri punti di riferimento” dice ancora Zuccaro, citando Mare, un progetto di assistenza tecnica al ministero dell’Agricoltura albanese realizzato da Ciheam Bari e Aics. “Abbiamo operato lungo la costa e nei laghi, immaginando interventi a sostegno dell’economia del mare”. Sono stati promossi sistemi di gestione che non conducono necessariamente allo sfruttamento della pesca ma favoriscono altre attività, come l’ecoturismo. Altre iniziative, poi, puntano a rafforzare la qualità del lavoro e la sicurezza alimentare della pesca albanese, come la riqualificazione dei principali porti di pesca (Durazzo, Valona e San Giovanni) e la realizzazione di landing site gestiti da organizzazioni di pescatori artigianali per una cogestione delle risorse marine e costiere.
Operazioni nate sulla scorta di un’esperienza pluridecennale maturata in vari contesti (in Libano per esempio) che ha trovato sintesi nel corso di alta formazione “Sviluppo Sostenibile delle Comunità Costiere”, realizzato grazie al contributo della Cooperazione Italiana. Il corso, che si tiene ogni anno per dieci settimane nel periodo da maggio a luglio, è rivolto a funzionari dei ministeri dell’Agricoltura e della pesca dei Paesi mediterranei e dell’Oceano Indiano e vuole trasferire una visione di sviluppo integrato e sostenibile delle comunità e dei territori costieri. Il corso si tiene presso la sede di Tricase del Ciheam Bari, nell’antico porto della città salentina; un “avamposto” di formazione, ricerca e cooperazione per la crescita sostenibile e integrata delle comunità rurali e costiere. Questo “avamposto”, conclude Zuccaro, è oggi un crocevia di dialogo tra organismi nazionali ed internazionali e promuove iniziative incentrate sulla difesa della diversità degli ecosistemi e sulla valorizzazione economica, sociale e ambientale delle zone costiere. E lo fa curando la formazione di quadri, tecnici e operatori a favore delle comunità costiere e rurali mediterranee; facendo ricerca e monitoraggio sugli ecosistemi marini e costieri; elaborando azioni di cooperazione e sviluppo.
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.