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Il dividendo della cooperazione e il ruolo dell’Italia

Sottolineare i vantaggi che la cooperazione apporta a quei Paesi che sono beneficiari di iniziative italiane può essere un esercizio semplice. Più difficile, forse, è raccontare i vantaggi che quelle stesse azioni restituiscono all’Italia nel segno di una reciprocità che è essa stessa peculiarità della cooperazione.


Sono più di cinque anni che la cooperazione italiana opera all’interno di una nuova cornice, quella dettata dalla legge 125, la stessa che ha portato alla creazione dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). Sono stati anni nel corso dei quali è stato avviato un processo di implementazione che ha aperto strade nuove, accolto nuovi attori della cooperazione, avviato modalità per coinvolgere – come mai prima era stato fatto – il settore privato.

Sottolineare i vantaggi che la cooperazione apporta a quei Paesi che sono beneficiari di iniziative italiane può essere un esercizio semplice. Più difficile, forse, è raccontare i vantaggi che quelle stesse azioni restituiscono all’Italia, nel segno di una reciprocità che è essa stessa peculiarità della cooperazione. In un’epoca segnata dalla pandemia e dal rischio che essa metta in discussione le relazioni tra i Paesi e costringa a chiudere costruttivi tavoli di confronto, l’orizzonte della cooperazione resta quello disegnato nella legge 125: sradicamento della povertà e riduzione delle disuguaglianze, promozione dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere, sostegno alla democrazia liberale e alla costruzione dello stato di diritto.

La farmacia di un ospedale in Camerun @InfoAfrica

La crisi pandemica ci pone di fronte al nesso inscindibile tra tutela della salute globale, sviluppo economico, stabilità finanziaria, clima, biodiversità, sicurezza e pace, la cui salvaguardia può dipendere solo da un approccio multilaterale, ha detto in un’intervista rilasciata al mensile Africa e Affari, la vice ministra degli Esteri Marina Sereni. Per poi aggiungere: “La cooperazione rappresenta uno strumento essenziale per assicurare credibilità, efficacia e coerenza alle iniziative globali, aiutando la creazione di modelli di sviluppo capaci di coniugare l’economia con l’esigenza di difendere l’equilibrio ambientale del nostro pianeta. In questo scenario ritengo che soprattutto l’Africa costituisca un banco di prova per noi che ci occupiamo di cooperazione”.

L’Africa come banco di prova della cooperazione e la cooperazione come strumento operativo da impiegare per uno sviluppo armonioso e globale. Da più parti, ormai, si sottolinea come l’Africa sia destinata a essere protagonista di fenomeni già in atto o prossimi a palesarsi, con ripercussioni ben oltre i confini continentali: il forte incremento demografico che si registrerà da qui ai prossimi 30, 50, 100 anni avverrà soprattutto in Africa; sempre in Africa, si assisterà a massicci spostamenti di popolazioni e alla trasformazione delle campagne in contesti urbani; i cambiamenti climatici, questione sempre più pressante, già oggi mostrano effetti su diversi Paesi del continente. Tutto questo avviene non in camere stagne, in ambienti scollegati gli uni dagli altri. Al contrario, occorre leggere e interpretare i dati e mettere i fatti in relazione tra loro: non potremmo comprendere le questioni di sicurezza del Sahel senza agganciarle alle tendenze demografiche e sociali, così come agli effetti di prolungati periodi di siccità.

La viceministra Marina Sereni

In questo ampio contesto, all’interno del quale la Cooperazione italiana opera dando priorità in Africa a 11 Paesi (Burkina Faso, Egitto, Etiopia, Kenya, Mozambico, Niger, Senegal, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Tunisia), l’Italia si è dotata lo scorso anno di un documento guida, “Il Partenariato con l’Africa”, individuando nel continente un partner privilegiato e indispensabile. “In termini di cooperazione – è ancora la vice ministra Sereni che parla – l’obiettivo è valorizzare un approccio capace di agire per uno sviluppo inclusivo e condiviso, superando la tradizionale dicotomia tra donatori e beneficiari, e lavorando per il raggiungimento di soluzioni durevoli e di lungo periodo ai problemi che affliggono molti Paesi africani”.

Passando dalle parole ai fatti, interessante è l’esempio della cooperazione condotta in Senegal. Interessante anche perché rende evidente quella reciprocità che sta alla base di una relazione sana tra Paesi diversi.
In un’intervista ad Africa e Affari, l’Ambasciatore italiano a Dakar, Giovanni Umberto De Vito, sottolinea come la comunità senegalese in Italia – molto numerosa, sempre più radicata nel territorio e attiva nel creare occasioni di scambio – rappresenti un tassello importante sia in ottica di rapporti commerciali sia in ottica di cooperazione. Diverse imprese italiane che si sono stabilite a Dakar, per esempio, hanno trovato partner locali che parlano italiano o che hanno vissuto e lavorato in Italia per anni. Allo stesso tempo, fino allo scoppio della pandemia, si era registrato un costante aumento delle rimesse dei lavoratori senegalesi emigrati, con l’invio di 375 milioni di euro dall’Italia nel 2019. Con l’Istituto italiano di cultura e con l’Ufficio Aics Dakar, l’Ambasciata sta ora lavorando per valorizzare questa diaspora, nell’idea che i senegalesi all’estero possano contribuire alla promozione dello sviluppo socio-economico del loro Paese d’origine.

Comboni College a Khartoum ©InfoAfrica

La cooperazione tra Italia e Senegal è stata oggetto a giugno 2021 di una revisione congiunta alla presenza del ministro senegalese dell’Economia, della Pianificazione e della Cooperazione internazionale Amadou Hott, e di Sereni. L’incontro si è concluso con l’apprezzamento da parte senegalese del contributo offerto dall’Italia a sostegno delle riforme nazionali e del rilancio sostenibile e inclusivo post-pandemia. E con la raccomandazione della formulazione di un nuovo programma Paese Senegal-Italia per il periodo 2022-2025. Altre raccomandazioni emerse dal colloquio hanno riguardato il miglioramento del sistema di monitoraggio, valutazione e reporting, i temi trasversali della disabilità, del genere, della migrazione e dell’ambiente, il rafforzamento della comunicazione verso i beneficiari dei progetti, la condivisione delle lezioni apprese e il rafforzamento della promozione dello sviluppo economico attraverso il sostegno alle pmi. Tali sostegni non devono essere aiuti a perdere, ma devono aprire piuttosto a forme di collaborazione più intense e di impatto capaci di innescare processi positivi, utilizzando la forza in mano alla diaspora come ponte di dialogo in grado anche di informare e sensibilizzare su temi sentiti come quelli legati ai flussi migratori.

 

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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